Verso una cittadinanza inclusiva: quale ruolo per la scuola? Ubax Cristina Ali Farah - maggio 2004
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Verso una cittadinanza inclusiva: quale ruolo per la scuola?


di Ubax Cristina Ali Farah
25/05/04 


Roma - La presenza degli alunni con cittadinanza non italiana è un indicatore molto significativo del tipo di società multiculturale che si sta delineando in Italia. L’alunno rimanda alla presenza di una famiglia, o di parte di essa, e ad una dimensione di relativa stabilità.
L’incontro-dibattito tenutosi venerdì 21 maggio nell’Aula Magna dell’ITIS Galilei, si colloca nell’ambito dell’iniziativa New Young Europeans promossa dal British Coucil, e pone a confronto le esperienze maturate nel Regno Unito e in Italia.

Trevor Phillips, Presidente della Commision for Racial Equality, mette in luce come i dati specifici relativi al monitoraggio del successo scolastico degli alunni appartenenti alle minoranze etniche abbia costituito, in Gran Bretagna, un efficace strumento per lottare contro la dispersione scolastica. Mentre in Italia un tale tipo di monitoraggio risulterebbe politically incorrect, in UK l’appartenenza etnica è auto-certificata, ossia dichiarata dai genitori o dai ragazzi stessi, in base ad un criterio legato alla provenienza da un gruppo che si definisce come una comunità distinta. Una ricerca di questo genere rappresenta un approccio sconosciuto in Italia dove, come sottolineato da Vinicio Ongini del Ministero dell’Istruzione, l’insuccesso degli alunni che non hanno cittadinanza italiana è un tema nuovo. Solo da poco si hanno infatti dati precisi sul loro rendimento scolastico (il 2% di bocciature all’elementari rispetto ai bambini italiani sale all’8% nelle scuole medie e superiori).

Inoltre gli alunni che frequentano le superiori scelgono in grandissima maggioranza le scuole professionali. Manca una riflessione specifica su come l’insuccesso colpisca i gruppi etnici, mentre esiste una fotografia di carattere statistico delle presenze degli alunni stranieri. Un’analisi specifica dei percorsi seguiti dagli alunni stranieri è invece in previsione per l’autunno.

Secondo Trevor Phillips i dati specifici sui minority ethnic groups fanno capire fino in fondo le differenze, mostrando che certe minoranze etniche incontrano,in percentuale, difficoltà maggiori nel rendimento scolastico ed aiutano a trovare risposte reali invece di perseguire una retorica generica.

Adel Jabbar, sociologo, formatore all’Università Ca’ Foscari di Venezia, esprime la sua perplessità relativamente all’uso del concetto di ethnicity, concetto diverso da non cittadinanza. I figli che nascono e crescono in Italia sono perlopiù il prodotto della cultura italiana, l’identificazione con un gruppo etnico è difficile. A ciò si aggiunga l’uso sociale che viene fatto del termine etnia: spesso vengono chiamati etnici i gruppi deboli, ma non gli altri. In Italia il rischio è che la parola etnia etnicizzi i rapporti sociali.

Data la differenza storica tra Uk e Italia, dato che in Italia l’immigrazione è un fenomeno recente, affinché i dati sull’insuccesso scolastico abbiano un valore comparativo per l’Italia sarebbe utile sapere, in prospettiva, che rapporto esiste tra i dati relativi ai gruppi etnici appartenenti alle prime generazioni di immigrati in UK rispetto alle seconde, alle terze e così via.

Trevor Phillips sottolinea rispetto al termine ethnicity come tale caratteristica si affianchi ad una nazionalità britannica che prende diversi aspetti. Il termine non sta a designare determinati gruppi di stranieri, ma modi diversi di essere britannici. È interessante notare, relativamente ai dati sull’insuccesso scolastico, che essi permangono stabili per diverse generazioni, ciò quindi dimostra che le difficoltà non dipendono dall’arrivo recente e dalla mancata conoscenza linguistica, ma da elementi culturali che fanno sì che le persone appartenenti a quei gruppi etnici permangano in una situazione di svantaggio. Il multiculturalismo britannico si configura come un insieme di culture distinte poste l’una accanto all’altra che hanno in comune norme giuridiche da seguire.

Secondo Paola Gabbrielli, consulente per l’intercultura dell’Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche del Comune di Roma, nel modello interculturale quasi scompare il concetto di maggioranza o minoranza, poiché si centralizza il ruolo dell’individuo, inteso come identità in divenire e non il ruolo dei gruppi. Identità dinamica faticosa de-stabilizzante, ma che si pone in alternativa alla formazione di rigidi schemi che portano infine, per forza di cose, a rivendicazioni e ad un multiculturalismo esasperato foriero di mancata coesione sociale. In relazione al concetto di maggioranza e minoranza, se si prendono in considerazione le migrazioni interne, i siciliani che si trasferivano a Torino erano una minoranza rispetto ad una maggioranza? Non erano forse tutti italiani? Il concetto di ethnicity serve a dare un’identità ad una dimensione, configurandosi come strumento di controllo e quindi di potere.

Paola Gabbrielli sottolinea la differenza storica profonda che esiste tra Uk, Germania, Francia e Italia dove l’immigrazione rappresenta un elemento particolarmente recente e dove pertanto vi è carenza di esperienza, una grande ignoranza rispetto a culture altre e dove i docenti, non formati per questo cambiamento, finalmente si rendono conto di non sapere, richiedendo l’aggiornamento professionale. «Quando si parla di cittadinanza inclusiva si deve tenere presente che la scuola non può fare tutto: la scuola è il primo punto di socializzazione, ma si preme troppo sull’aspetto pedagogico e didattico, mentre non si tiene in considerazione l’aspetto socio-economico e politico. Siamo in un paese dove non è riconosciuta la cittadinanza ai ragazzi nati o cresciuti in Italia, dove la possibilità di avere una rappresentanza all’interno delle istituzioni e stata riconosciuta da poco attraverso l’elezione dei consiglieri aggiunti i quali possono intervenire ma non votare. Nelle scuole la situazione è ancora più grave, i genitori migranti non sono presenti nei collegi scolastici, sono rarissimi».

Adel Jabbar rimarca il compito fondamentale della scuola di educare la cittadinanza, configurandosi come l’unico luogo dove i migranti e i figli vengono ascoltati e dove hanno un riconoscimento che nei luoghi di lavoro e dei servizi è completamente assente. Nella scuola sono presenti spazi per la valorizzazione della cultura, tuttavia essa non riesce da sola a svolgere questo compito

Il numero di recente pubblicazione della rivista trimestrale del Centro Studi Emigrazione, Le stesse differenze. Politiche ed esperienze di educazione interculturale in Europa, offre un variegato spettro di approcci e di prospettive nell’ambito dei vari sistemi educativi in Europa a seconda degli autori e dei contesti nazionali di riferimento.
Mentre una prima parte di saggi è più genericamente dedicata ai sistemi e alle prassi educative riguardanti l’inserimento degli alunni stranieri a scuola in Italia, Francia, Gran Bretagna, altri due blocchi tematici offrono una panoramica di interessanti filoni di ricerca nel contesto italiano e britannico.

Massimo Vedovelli ,dell’Università per stranieri di Siena, indaga il ruolo giocato dal concetto di intercultura nelle riflessioni teoriche di tipo linguistico arrivando a definire il contatto (inter)linguistico come luogo del contatto inter(culturale) «Il contatto significa il continuo trapasso di forme di identità da un codice all’altro, da una cultura all’altra; e il miscuglio dei codici, lungi dall’essere il luogo dell’imbastardimento della cultura, diventa la forma più pura della normale creatività linguistica».

Vinicio Ongini del Ministero dell’Istruzione partendo dalle peculiari caratteristiche della situazione italiana, caratterizzata dalla disomogeneità e differenziazione della presenza di alunni stranieri sul territorio e dalla velocità con cui questa presenza si è prima affacciata e poi accresciuta sui banchi di scuola, definisce la scuola italiana a “mantello d’Arlecchino” in virtù della straordinaria varietà di appartenenze nelle classi e nelle scuole (189 diverse cittadinanze , su 195 stati nel mondo).

Molti sono i contributi presenti nella rivista non ultimo quello di Mohsin Zulfiqar del “Local Education Authority” di Leeds, che analizza proprio la tematica affrontata durante il dibattito. Egli fornisce infatti interessanti osservazioni sulla realtà britannica documentando il suo rapporto con dati relativi al monitoraggio del successo scolastico degli alunni appartenenti alle minoranze etniche.

Studi emigrazione; rivista trimestrale del Centro Studi Emigrazione Roma, N.151,
Le stesse differenze. Politiche ed esperienze di educazione interculturale in Europa
a cura di Jan Hague e Sabina Eleonori
Info: news@roma-intercultura.it
tel. 065809764
http://www.migranews.it/stampaart.php?indice=190

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