Sì all’ora di educazione al saper vivere insieme - Un'inchiesta di Tuttoscuola
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Un'inchiesta di Tuttoscuola
Sì all’ora di educazione al saper vivere insieme




In un periodo in cui si stanno riscrivendo i programmi di insegnamento nella scuola (le "Indicazioni nazionali" per il secondo ciclo non sono ancora note) e in cui la società italiana è attraversata da tensioni e insofferenze verso "lo straniero", arriva dalle pagine del numero di "Tuttoscuola" in edicola una proposta concreta: inserire nei programmi uno spazio rivolto al saper vivere insieme, che è anche uno dei quattro grandi obiettivi dell’Unesco per tutti i sistemi educativi.

Con l’ultima riforma, le famiglie possono suggerire alle scuole alcune ore opzionali (obbligatorie per gli istituti). Perché non utilizzarne una parte, un’ora ad esempio, per dedicarla all’interdipendenza, all’interculturalità, al saper vivere insieme?
A caldeggiare e a dare contenuto alla proposta è Mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni e presidente della commissione della CEI per l'ecumenismo e il dialogo. E Tuttoscuola ha già raccolto i pareri favorevoli di larga parte del mondo della scuola, dai sindacati alle associazioni dei genitori e degli studenti, nonché di rappresentanti di altre religioni.

Secondo Mons. Paglia "la vera prospettiva per il futuro è quella di saper convivere. Ne consegue che apprendere la convivenza richiede un impegno prioritario. Oggi nelle nostre città culture, fedi, tradizioni diverse, sono le une accanto alle altre. E la convivenza non è né facile né spontanea. C’è un senso di paura dell’altro, soprattutto se diverso. Saremmo obbligati all’interdipendenza, ma essa non è possibile se non diventa l’arte del convivere assieme, che richiede applicazione, impegno, continuità, cultura e rispetto dell’altro, e anche pazienza, rinuncia quando è necessario. Dunque, trovare nella scuola uno spazio per comprendersi e per convivere è una delle priorità da assegnare all’agenda del mondo. Non possiamo non sentirne l’urgenza, anche perché ci troviamo di fronte al terrorismo e a molte conflittualità".

Ma come si può insegnare la convivenza fra le religioni? "Il primo passo è la conoscenza – risponde Mons. Paglia. L’ignoranza è la madre di tutti i disastri. E la scuola è chiamata in prima persona non solo a porsi il problema, ma ad avviarlo a soluzione. Conoscenza è conoscenza della cultura, della storia, della fede dell’altro. E la conoscenza porta non solo alla tolleranza, ma alla stima, all’accoglienza: sconfigge la cultura del nemico - aggiunge il vescovo di Terni -, i pregiudizi, la paura dell’altro. Tutto ciò coinvolge la responsabilità educativa: la trasmissione della conoscenza non è mai neutra, fredda, ma tesa alla convivenza".

In ogni caso, non va dimenticata la regola d’oro che appartiene a tutte le religioni: "Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te". Tutto questo è la premessa per iniziare un cammino educativo: "È una premessa religiosamente santa e umanamente saggia, l’unica via per sopravvivere e per vivere con gli altri".
Dunque, quale dovrebbe essere la finalità educativa di questa "ora" in classe per saper vivere insieme? "Quest’ora dovrebbe essere conoscenza e immersione nel mondo, dove si capisce la complessità della società".

La scuola, in questa ora di "interdipendenza" può educare al rispetto della vita, alla condanna di ogni forma di razzismo, alla tutela delle minoranze, ai valori della solidarietà. E può anche aiutare ad educare per combattere la povertà: "Povertà e pace sono due dimensioni legate fra loro – interviene Mons. Paglia. Non è possibile pensare ad un mondo di pace, quando il 20 per cento della popolazione mondiale detiene l’80 per cento della ricchezza. È un mondo folle che prima o poi si rovescia. Quindi, se è vero che l’interdipendenza dovrebbe diventare come l’Italiano (la nuova grammatica con cui bisogna insegnare tutto), educare alla convivenza può significare lottare contro la fame e per la pace. Se non cresce lo scandalo per la disparità, cresce il pericolo della guerra. Se cresce la solidarietà, la pace è più vicina".

Ma come reagisce il mondo della scuola a questa opportunità? Perché non coglierla in modo sistematico e organizzarla in modo capillare? I sindacati degli insegnanti guardano con attenzione alla proposta, convinti che debba essere rilanciata con forza all’inizio del prossimo anno scolastico.

"L’autonomia scolastica offre alle singole istituzioni molte possibilità – spiega Enrico Panini, segretario della FLC Cgil. In una situazione globale in rapidissima trasformazione, saper vivere insieme non è solo questione di disponibilità personale verso l’altro, di impegno ad accoglierlo e a capirne e rispettarne le sue radici. Saper vivere insieme è un fatto sempre più legato alla cultura e alla capacità di padroneggiare strumenti che aiutino a capire l’altro. In questa ottica la capacità di stare insieme agli altri non può essere delimitata in una "materia" ma deve diventare sempre più un punto di osservazione che deve attraversare l’intera programmazione scolastica. Riguarda i libri di testo e la loro impostazione, gli insegnamenti, i percorsi che ogni scuola decide autonomamente di attivare. Spazi appositamente dedicati, all’interno di questo contesto, possono svolgere un ruolo importante. Saper accogliere è una condizione fondamentale per consolidare ed allargare un mondo libero e per allontanare il crescente ricorso alla guerra come regolatrice dei rapporti e dei conflitti".

"Questa attività in molti casi è già entrata di fatto nella pratica didattica delle nostre scuole – dice Massimo Di Menna, segretario della Uil Scuola. Ma una iniziativa che punti a favorire questa esigenza in modo più strutturato, nelle varie discipline, da italiano, storia ad altre, è positiva perché segue la trasformazione della società italiana. Ed è bene che la scuola possa anche anticipare fenomeni sociali e culturali che riguarderanno sempre più l’intera cittadinanza. Sul piano operativo, è positivo che le scuole assumano questa modalità nei loro piani di offerta formativa".

Francesco Scrima, segretario della Cisl-scuola ritiene che "questa proposta risponde agli obiettivi di Lisbona e si pone in una logica di crescita culturale sui rapporti civili e sociali. È un’ipotesi da incoraggiare. L’unica preoccupazione è che non sia un aggiornamento della vecchia educazione civica, insegnamento minoritario e sostanzialmente fallito, nonostante le sue potenzialità. Occorre invece inventarsi qualcosa di nuovo sulla dimensione internazionale che obbliga ad un approfondimento culturale. E questa che Tuttoscuola propone è una strada".
Per Gino Galati, segretario dello Snals, "in una società sempre più multietnica e complessa, e anche di fronte alla Costituzione Europea, i programmi scolastici ne dovranno tener conto, ma io preferirei affrontare queste questioni all’interno di una materia più ampia, come ad esempio l’area delle discipline giuridiche".

Sul tema intervengono anche gli studenti. "Per quanto riguarda il dialogo fra le religioni, la questione dovrebbe essere affrontata nell’ora di insegnamento della religione cattolica che secondo noi dovrebbe diventare storia delle religioni – dice Giuseppe Beccia, dell’esecutivo nazionale dell’Unione degli Studenti. Per gli aspetti più strettamente civili e inter-culturali, che comprendono ovviamente i diritti umani, è assolutamente utile utilizzare lo spazio delle ore opzionali obbligatorie. In alcune scuole lo stiamo già sperimentando, grazie all’autonomia scolastica. In questi casi la materia noi la chiamiamo educazione alla pace".

Simone Esposito, del Movimento Studenti di Azione Cattolica: "Personalmente sono più a favore dell’interdisciplinarità, ma la proposta di un’ora da dedicare al tema può essere, comunque, utile come provocazione. Il saper vivere insieme non deve essere dimenticato nei programmi".

Secondo padre Antonio Maria Perrone, presidente della Fidae, la principale associazione di scuole cattoliche, "sottolineare, tra le ore opzionali, lo stare insieme, rispettandosi e aiutandosi a crescere, è fondamentale. Naturalmente, questo deve essere integrativo e non sostitutivo dell’insegnamento della religione cattolica".

E i genitori? Marco Fabbri, dell’Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche), condivide la scelta pedagogica di orientare la programmazione scolastica al saper vivere insieme, ma aggiunge che occorre verificare il metodo da utilizzare per raggiungere questo obiettivo: "L’educazione alla convivenza civile non si deve tradurre in una materia in più, ma deve caratterizzare tutto il lavoro degli insegnanti in modo interdisciplinare con il coinvolgimento delle famiglie".
Per Romolo Pierangelini, dell’A.Ge (Associazione italiana genitori), la proposta "è vivamente consigliata e tecnicamente fattibile".

Ma qual è il giudizio dei rappresentanti delle altre grandi religioni? "È una proposta interessante – risponde Mario Scialoja, direttore per l’Italia della Lega Musulmana Mondiale. Il problema è come organizzare l’ora, che non si può trasformare in un’ora di catechismo. Bisogna recuperare lo spirito con cui si faceva una volta educazione civica e adattarlo alla società di oggi".
Edoardo Patriarca, portavoce del Terzo Settore, conclude il nostro viaggio: "Da insegnante posso dire che questa è una bella proposta perché oggi la scuola dell’autonomia ha bisogno di costruire rapporti con il mondo della cittadinanza".

La versione integrale del servizio è consultabile nel numero in edicola del mensile "Tuttoscuola".









tuttoscuola.com lunedì 27 giugno 2005


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