LE DINAMICHE INTERPERSONALI E IL CONFLITTO La sicurezza ontologica e l’identità personale

di LAURA TUSSI
Secondo la definizione di Laing, la sicurezza primaria e ontologica stabilisce un forte senso identitario costituito dalla fiducia in sè stessi e negli altri. Se questa fiducia risulta assente, l'aggressività può trasformarsi nell'unica modalità per esprimere se stessi e per rassicurarsi sul proprio modo di esistere e di essere. Infatti i momenti apicali dell'età evolutiva in cui si manifestano crisi d'identità, come l'adolescenza, presentano comportamenti aggressivi. I soggetti insicuri palesano difficoltà ad accettare i propri aspetti e sentimenti negativi, proiettandoli all'esterno su un nemico, come un compagno di classe, un gruppo sociale o una nazione. La sicurezza e l'identità personale si costruiscono sempre nel rapporto sociale, all'interno del gruppo famigliare nella relazione con l'adulto, in seguito con i coetanei e i gruppi di pari. Una solida sicurezza e un solido senso della propria identità si fonda sulle prime esperienze affettive nelle fasi primarie dello sviluppo. In questo ambito la scuola dovrebbe svolgere un ruolo importante in senso positivo, aiutando il bambino ad avere una buona sicurezza, il che comporta la sua personale valorizzazione e l'apprezzamento delle qualità positive personali, aiutandolo a conoscersi. La valorizzazione aiuta il bambino ad avere fiducia in se stesso consentendogli di superare senza timore e aggressività difensiva, gli ostacoli, gli insuccessi, le frustrazioni. Svalutare un bambino punendolo, non serve ad evitare il ripetersi dell’azione indesiderata e significa provocare indirettamente comportamenti aggressivi di tipo difensivo.
Esprimere se stessi e le proprie capacità
La sicurezza si rinforza e si costruisce in un contesto sistemico che offra l’opportunità di esprimere se stessi e le proprie capacità. Gli atteggiamenti aggressivi si ingenerano in un ambito scolastico che svaluta, inibisce e critica le potenzialità del ragazzo. L’educazione autoritaria è fautrice di atteggiamenti di risposta di tipo aggressivo, ponendosi come un’educazione frustrante e punitiva che limita l’allievo nel raggiungimento degli obiettivi e nella realizzazione di sé. L’aggressività è anche una delle più comuni reazioni alla frustrazione e serve ad abbattere l’ostacolo che si frappone alla realizzazione dell’obiettivo, difendendo la propria immagine minacciata dalla sconfitta. Una personalità aggressiva sempre in lotta per l’affermazione di sé viene costruita da un’educazione autoritaria. Questo non significa che la scuola, come la famiglia, non debbano porre limiti al ragazzo, infatti la sicurezza in sé si stabilisce nel progressivo incontro con le difficoltà commisurate alle proprie possibilità. Dunque anche un’educazione permissiva che impedisce al ragazzo ogni ostacolo ed ogni frustrazione, genera atteggiamenti aggressivi. Dunque il modello educativo che suscita comportamenti meno aggressivi non è né autoritario, né aggressivo, ma autorevole, che non evita ostacoli e punizioni, in un clima però di affetto e valorizzazione.
L’empatia con l’altro
L’identificazione con l’altro da sé è un concetto relativo alla sicurezza e costituisce un efficace inibitore dell’aggressività. Con l’identificazione per ognuno di noi è possibile riconoscere nell’altro una persona simile alla propria. Infatti secondo studi di etologia, l’essere umano possiede una facoltà di inibizione innata all’aggressività che gli impedisce di eliminare il proprio simile. Tale facoltà si basa sulla possibilità di identità ed empatia con l’altro percepito come essere uguale a sé. Un forte senso di identificazione, come la sicurezza, si forma, si sviluppa e si evolve nei rapporti individualizzati con adulti significativi, con le figure primarie nelle prime fasi di crescita, attraverso la reciproca relazione si costruisce il senso della propria identità, tramite il riconoscimento della personale realtà e della dimensione altrui. Ma queste primitive esperienze di certo determinanti, costituiscono una condizione necessaria, ma non sufficiente. Il senso di identificazione con l'altro deve essere però sempre riconfermato nel corso dell’età evolutiva e anche in quella adulta. Infatti l’essere umano annulla l’inibizione a fare del male al proprio simile attraverso il meccanismo della deumanizzazione, ossia della negazione dell'umanità dell'altro. Dunque l’uomo diventa violento verso l’altro da sé quando deumanizza, nega il principio di umanità nel proprio simile. L’altro viene degradato ad essere non umano, ad essere inferiore, quasi animale che è lecito e doveroso uccidere. Gli altri dunque diventano dei diversi senza umanità, in quanto il rapporto di identificazione è impedito e l’aggressività e la distruttività sono legittimate. Il processo di deumanizzazione si fonda su un meccanismo a base cognitiva ed emotiva che stabilisce la separazione dell’altro dalla personale identità, singola o estesa alla collettività. Da tale separazione dell’io dal soggetto altro, deriva un blocco del rapporto empatico, definibile con il termine “congelamento affettivo”. A causa di questa dinamica di deumanizzazione, individui e gruppi sociali, estremamente solidali al loro interno o nell’ambito del proprio gruppo di appartenenza, diventano fortemente distruttivi verso gli estranei, verso chi è giudicato diverso per cultura, razza, religione, fede politica.
Bibliografia Fonzi A, La genesi dei comportamenti cooperativi e competitivi nello sviluppo, in “Età evolutiva” 1986 Lewin K, Field Theory in Social Science, Haspers & Brothers, New York 1951 Cardarello R.- Mazza E., Comportamento agonistico e quasi agonistico: una verifica empirica, in “Età evolutiva” 1979
nome:Laura cognome:Tussi email:tussi.laura@tiscalinet.it
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