Israele/Palestina "NIENTE E' SUCCESSO FINO A CHE NON VIENE DESCRITTO"
Cari amici, da settimane cerco di avere un po di tempo per scrivervi. Purtroppo non l’ho mai avuto, o quando c’era ero cosi’ stanca da non riuscire a trovare le parole. Ho provato a pensare di scrivervi una lettera, ma tutto cio’ che esce in questo momento e’ un’accozzaglia di pensieri raccolti in queste settimane, immagini che si intersecano ad avvenimenti e a sentimenti. Spero vi accontenterete.
Check point di Q’landia, un pomeriggio. E’ l’ultimo giorno dello Yom Kippur, festivita’ ebraica. Tutti sono tesi. I soldati chiudono a tratti i cancelli, cosi’ si formano lunghe code di gente stanca ed estenuata. Io in coda con loro per andare a Gerusalemme. All’improvviso un uomo si è messo a gridare, e 4 soldati lo spintonavano verso il passaggio.ho avuto un momento di paura. Temevo avrebbero potuto innervosirsi, e che ne so io...sparare?… mi sono istintivamente girata per salvare il viso neanche io so da cosa.
Parent’s Circle. Un gruppo di persone israeliane e palestinesi che hanno in comune il fatto di aver perduto un famigliare in un attentato o in un azione dell’esercito nei Territori. Il senso di questo gruppo? Incontrarsi nel dolore. Partire dal dolore comune ai due popoli per aver perduto una persona cara e cercare di usarlo come base per riconciliarsi, uscendo dal desiderio, umano, di vendetta...Uscendo dall’oscurità e dall’ombra, verso la speranza. Poiche’ la vendetta non riporta in vita i morti. Non si raggiunge la pace con un trattato. Si deve cominciare dalle vittime, dal basso. I palestinesi piangono le stesse lacrime degli israeliani. Riconciliarsi, non dimenticare. Eliminare la separazione tra cuore e testa.
"Niente è successo fino a che non viene descritto" V. Woolf sta scritto su un calendario di una NGO palestinese che cerca di diffondere informazioni sulla drammatica vita quotidiana della gente nei Territori Occupati. Cerco di ricordarmelo, di quando in quando, per ritrovare la spinta a scrivere e non fermarmi all’empatizzazione del dolore.
Al-Tuwani. Minuscolo villaggio di 300 anime a sud dui Hebron. Tutto intorno, deserto e insediamenti di coloni israeliani. Al villaggio c’e’ l’unica scuola della zona, tutti i bambini palestinesi dei villaggi attorno devono andare li’. Anche i bambini di Tuba. Tuba e’ un posto dove non ci sono case, la gente vive in grotte molto antiche, perche’ l’esercito di Israele ( che ha il totale controllo amministrativo della regione, cosiddetta “zona C”) vieta la costruzione di qualsiasi cosa. Sia essa una casa, una scuola, un acquedotto, una fogna, un palo della luce. A Tuba ci stanno 2 famiglie con le capre . hanno 6 bambini, che tutti i giorni si fanno 10 km andata e ritorno per andare a scuola, su un sentiero pericoloso che passa vicino all’avamposto dell’insediamento (considerato uno dei piu’ ideologici e pericolosi di tutta la West Bank), dove li hanno spesso aggrediti con pietre, spaventandoli con i cani e altre cose di questo genere. Ci sarebbe un altra strada, solo 2 km, ma non gliela fanno fare...ragioni militari, dicono. La realta’ e’ che i coloni cercano di rendere le cose difficili alla gente per costringerla a lasciare la terra. Da un mese accompagnamo i bambini per la strada corta. A volte la chiudono e ci obbligano a passare per quella lunga, sotto le baracche dei coloni che la prendono come una provocazione. Ieri 2 del gruppo, americani, sono stati aggrediti con bastoni e catene. Sono tutti e due all’ospedale, uno con un polmone collassato da un colpo molto forte. Io vado a sostituire una di loro. Gran groppo allo stomaco mentre scendo.
Serata nel villaggio. Non riusciamo a concentrarci a lungo su niente. Pensieri poco nonviolenti all’idea di un aggressione. Dormo poco e male, faccio brutti sogni. Fino a che abbiamo cose da fare stiamo abbastanza bene, ma quando non siamo impegnati viene fuori la paura, la tensione e l’ansia. Da tempo mi chiedo dove sono le donne in questo conflitto, che ruolo hanno ripetto alle violenze che vengono inflitte alle persone. Dove sono le donne? Eccone una scendere urlando dalle baracche dei coloni sulla collina, incinta, con la macchina fotografica.Una risata isterica. Mi ha fatto paura. Mi hanno fatto paura tutti. Arrogante brutalità della loro presenza tra gli alberi. Al rientro, mi è venuto da piangere. le lacrime erano sul ciglio ed io non riuscivo a fermarle. Ogni minuscola particella del mio corpo è tesa a guardarsi le spalle, e cercare di non farsi sorprendere. Desidero un momento di abbandono.
Abbiamo pregato, cantando, stasera. Una piccola candela in mezzo alla stanza.
I bambini di tuba. Le loro facce per la strada. I passi accelerati quando siamo vicino all’insediamento. Il sollievo quando passiamo oltre. Le canzoncine. I biscotti che abbiamo portato e che mangiano come fossero oro.
Un abbraccio
Salamshalom cri
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