Gianluca Ursini
“Era un uomo che poteva sedere nell’occhio del ciclone e da lì riuscire a farti sorridere”. Così una cooperante europea che ha lavorato insieme a lui per anni descrive Abdulkadir Yahya Ali, il più famoso degli attivisti somali impegnati nella pacificazione d’un Paese dilaniato da 14 anni di guerra civile. E’ stato brutalmente assassinato nella sua villa in periferia di Mogadiscio lunedì scorso da un gruppo di assalitori che hanno prima immobilizzato le sue cinque guardie del corpo e poi lo hanno ucciso di fronte alla moglie, intorno alle 2 del mattino. La sua Organizzazione non governativa, il ‘Centro per la ricerca e il Dialogo’ (‘Crd, Center for Research and Dialogue’ www.crdsomalia.org ) era la più conosciuta al di fuori della Somalia e nell’ambiente dei cooperanti internazionali. Secondo l‘uso musulmano il cadavere è stato già seppellito lunedì, ma per sabato è stata comunque indetta una cerimonia funebre, più che altro come commemorazione, vista la popolarità di cui godeva il personaggio, per il quale la capitale somala ha indetto una settimana di lutto e di eventi a lui dedicati. Di nuovo la Somalia al centro dell’attenzione internazionale, come in febbraio, dopo la morte della reporter Bbc Kate Peyton, 39 anni, assassinata da una raffica di mitra alla schiena.
Perdita irrimediabile. “Yahya era un mentore della pace e della riconciliazione molto impegnato, il cui ottimismo non veniva mai a mancare -ha dichiarato il rappresentante Onu per la Somalia Maxwell Gaylard- questa è una gravissima perdita per Mogadiscio e il Paese, proprio in un momento molto particolare in cui la sua tenacia e il suo coraggio sarebbero serviti parecchio”.
“Conoscevo Yahya da oltre 15 anni -ha riferito per telefono a PeaceReporter Matt Bryden della Ong Usa ‘International Crisis Group’, (Icg)- e tenere un conto di ogni sua attività è molto difficile: di sicuro aveva in corso decine di progetti, tra i quali l’addestramento e l’educazione di bambini che avevano fatto i soldati, come pure la smobilitazione e il reinserimento nella società civile di intere bande di milizie armate a cui forniva un addestramento professionale. Tramite la sua intermediazione si sono svolti parecchi forum aperti ai capi di diverse fazioni, in cui sono stati affrontati i punti da superare per un dialogo aperto. Grazie a lui erano possibili dialoghi tra fazioni che altrimenti non avrebbero mai dialogato. Dobbiamo ringraziare Yahya se i gruppi che si contendono Mogadiscio hanno accettato di liberare le strade dai loro blocchi intorno alla capitale, come prima mossa per stabilire un governo di transizione per il Paese”.
“Tra gli internazionali la notizia ha portato molto sconforto, mentre i somali sono assolutamente scioccati”, riferisce la cooperante che ha parlato con PeaceReporter, ma preferisce restare anonima, aggiungendo: "Sapeva ricavare da chiunque un sorriso, era in grado di ottenere il meglio di qualunque persona: un uomo con un carisma unico".
‘La Base’ getta la sua ombra. L’esecuzione dell’omicidio fa credere che a eseguirlo sia stata un’organizzazione ben inquadrata, come il movimento jihadista che negli ultimi due anni nel Paese ha raccolto il testimone delle battaglie islamiste di al Qaeda. Un rapporto pubblicato lunedì scorso dalla ong ‘Icg’ monitorava la presenza nella capitale Mogadiscio di un nuovo gruppo affiliato alla ‘Base’ fondata da Osama bin Laden, che avrebbe portato a termine l’omicidio di quattro cooperanti internazionali tra ottobre 2003 e aprile 2004 nella regione semi autonoma del Somaliland, a nord ovest. Il rapporto sottolineava come nel caos seguito alla cacciata del dittatore Siad Barre nel 1991 si fosse già installato un gruppo chiamato ‘el Ittihad el Islami’, che voleva instaurare una dittatura teocratica nel Corno d’Africa. L’organizzazione è ufficialmente registrata come organo di carità musulmana, ma è stata segnalata dal governo Usa nella propria lista delle organizzazioni terroristiche più pericolose. Inoltre 14 anni d’instabilità hanno creato un ambiente favorevole a una comunità di “terroristi rifugiati dopo le campagne d’Afghanistan o irachena, spie etiopi ed esperti occidentali di controterrorismo”, come recita il rapporto. Il nuovo gruppo affiliato ad al Qaeda, guidato da un certo Aden Haslim Ayro, avrebbe una dozzina di membri; sopravvissuti dopo l’uccisione o la cattura di una dozzina di loro compagni da parte di servizi occidentali nelle regioni di Puntland e Somaliland. “Quel che ci fa meno preoccupare di loro -precisa Bryden- è che al momento sembra che godano di pochi appoggi e siano anzi respinti dalla comunità somala”.
Un frenata alla pace. “Adesso il processo di pacificazione conoscerà una brusca frenata -commenta Matt Bryden- quasi impossibile trovare per ogni gruppo un interlocutore che sia credibile come lui e che al tempo stesso goda della fiducia di tutte le parti coinvolte”. Yahya era indipendente dai movimenti e riceveva fondi per attuare i suoi progetti umanitari sia dalle agenzie Onu di Nairobi, Kenya - per esempio il Fondo Onu per lo Sviluppo (Undp) - come anche da clerici islamici. “Era in grado di ottenere un contatto oltre ogni trincea, ogni barricata, e in qualsiasi momento -continua Bryden- questo è quel che stupisce del suo assassinio: non si conoscevano suoi nemici, anche se era un uomo che non aveva nessun timore a dire come la pensasse, e questo poteva attirargli parecchie antipatie. Ma un omicidio del genere è una cosa senza precedenti”. “Un uomo come lui in grado di collegarsi a ogni fazione armata -commenta da Nairobi una cooperante europea che vuole mantenere l’anonimato- è una perdita immane, soprattutto adesso che il Governo è diviso sulla decisione se tornare o meno a Mogadiscio. Era stato in grado di smuovere la società civile somala: prima del suo arrivo tutti avevano timore di fronte le armi, lui era riuscito a coinvolgere le personalità più eminenti e a mostrare a tutti che i cittadini semplici avevano un potere in mano con le manifestazioni. Un uomo coraggioso, che conosceva i rischi legati a rimanere a Mogadiscio, ma non voleva abbandonare il suo Paese per l’Europa, anzi continuava a ideare iniziative, come di recente un gruppo di attivisti presi dalla società civile, che avrebbe dovuto servire da gruppo di pressione pro pacificazione. Non si può capire quanto è grande la perdita per la Somalia”.
A Nairobi gazzarre. Mentre Yahya veniva ucciso, i gruppi di ‘signori della guerra’ che hanno deciso di formare insieme due anni or sono un Governo di transizione a Nairobi stanno ancora discutendo le condizioni alle quali portare nuovamente un esecutivo somalo nella sua capitale. Intanto il presidente del parlamento Sharif Hasar Shaikh Adan e altri signori della guerra di quell’area nominati ministri premono perché Mogadiscio sia capitale effettiva. Il presidente Abdullahi Yusuf ha deciso di muovere dalla sua regione settentrionale verso il sud, reclutando quante maggiori milizie possibili per strada. Intanto la è una chimera sempre più lontana; oggi il presidente Yusuf ha chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di levare l'embargo alla vendita di armi al suo Paese, in vigore da 13 anni, per "permettere alle nostre forze nazionali ed alle forze di pace regionali di stabilizzare la situazione per il rientro del Governo". La Somalia sentirà a lungo la mancanza di n uomo come Abdulkadir Yahya Ali.
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