Assisi: Benedetto XVI ha intrapreso la via della restaurazione - di GAD LERNER
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Benedetto XVI ha intrapreso la via della restaurazione
Il ritorno all'ordine dei fraticelli d'Assisi
di GAD LERNER

A meno di vent'anni dal 1986, decisivo momento di svolta nel pontificato di Karol Wojtyla, il suo successore Benedetto XVI ha intrapreso la via della restaurazione. Nel giro di pochi mesi Giovanni Paolo II aveva parlato a ottantamila giovani musulmani riuniti nello stadio di Casablanca (19 agosto 1985); varcato per la prima volta la soglia della sinagoga di Roma per abbracciarvi i "fratelli maggiori" ebrei (13 aprile 1986); proclamato una Giornata mondiale di preghiera per la pace ad Assisi, dove si recò pellegrino fra i pellegrini insieme ai capi delle religioni di tutto il mondo (27 ottobre 1986).

Una spinta ecumenica ardita e possente, culminata quel giorno nella città di san Francesco non certo in un'impossibile preghiera comune ma - come spiegò il cardinale Roger Etchegaray - nello "stare insieme per pregare".

Quel giorno fu proprio Etchegaray a preoccuparsi che i numerosi cardinali presenti al raduno conclusivo non occupassero tutte le prime file, in modo che ne uscisse esaltata la pluralità delle presenze religiose. George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II, annota che tale richiesta suscitò proteste. Del resto nella curia vaticana lo stesso progetto interreligioso di Assisi aveva destato numerose opposizioni.

Quell'evento naturalmente enfatizzò la speciale autonomia concessa nel 1969 da Paolo VI ai francescani di Assisi: la cittadella umbra diveniva capitale mondiale di una spiritualità ecumenica ben oltre i confini della cristianità che pure l'aveva generata. Impossibile prescindere dal ricordo di quella Giornata storica oggi che Benedetto XVI decide di ripristinare la disciplina vescovile sulla basilica di Assisi, col plauso dell'uscente monsignor Sergio Goretti che denuncia "queste assurde enclave autonome sulle quali non avevo nessun potere".


Papa Ratzinger non è certo uomo restio alla sfida delle idee. L'hanno dimostrato anche i suoi colloqui estivi a Castelgandolfo con il portavoce dei lefèbvriani, con Oriana Fallaci, con Hans Kung. Ma evidentemente la sua visione pessimistica circa lo stato di salute del cristianesimo nel mondo contemporaneo lo conduce a esercitare il suo pontificato innanzitutto come ripristino di una tradizione avvertita come pericolante. Nell'idea - presumo - che i fedeli sottoposti all'offensiva del pensiero scientista, nichilista o scettico, per non parlare dell'islam, debbano trovare un punto di riferimento saldo nella dottrina e nei suoi legittimi rappresentanti. Temo lo incoraggi in questa direzione anche lo spropositato peso politico attribuito alla Chiesa da leader e intellettuali ad essa estranei, portatori di un nuovo pensiero reazionario generato dal tempo di guerra.

Per intenderci, non è certo colpa di Benedetto XVI se Silvio Berlusconi ha fatto precedere la sua visita in Vaticano da una surreale copertina di Panorama in cui il pontefice giganteggia sull'insieme dell'intellighenzia italiana (da Antonio Fazio a Benigni, da Celentano a Mieli, da Casini a Cecchi Paone, da Pera a Scalfari). Diciamo che il clima mondano non aiuta.

Ma è un dato di fatto che il papa sta procedendo al ripristino della tradizione attraverso una serie di segnali coerenti, nell'intento probabile di porre fine a controversie aperte nel mondo cattolico fin dall'epoca
del Concilio.

Prima ancora della revoca dell'autonomia alla basilica di Assisi, merita di essere ricordata una decisione significativa in materia di dialogo con il mondo ebraico: la scelta di farsi rappresentare dal cardinale Lustiger, figura eminente e autorevole di ebreo convertito, alla celebrazione vaticana del quarantesimo anniversario della Nostra Aetate. Ben comprendo la decisione del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che ha disertato quella cerimonia. Non poteva sfuggire a Joseph Ratzinger, che partecipò ai lavori conciliari da giovane teologo, quanto avesse pesato in quell'acceso dibattito l'interrogativo sulla conversione degli ebrei.

Era stato proprio Ratzinger a confidare al cardinale Congar che Paolo VI "sarebbe convinto della responsabilità collettiva del popolo ebraico nella morte del Cristo" ("Storia del Concilio Vaticano II", vol.4, pag. 177, a cura di Giuseppe Alberigo, Peeters/Il Mulino). E in effetti il 21 maggio 1964 papa Montini aveva raccomandato per iscritto che al documento conciliare fossero aggiunte parole "circa la speranza della futura conversione d'Israele", in quanto "la condizione in cui gli ebrei si trovano ora - anche se degna di rispetto e simpatia - non è da approvarsi come perfetta e definitiva".

Dunque risulta difficile credere che la designazione del convertito Lustiger alla cerimonia dello scorso 27 ottobre in Vaticano sia stata casuale, o magari amichevole. Più corretto è annoverarla fra i suoi gesti di restaurazione dottrinale.

Certo il richiamo all'ordine gerarchico della basilica di Assisi è scelta assai più appariscente. Un messaggio preciso che farà il giro del mondo e non a caso ringalluzzisce tutti coloro che nella Chiesa mal sopportavano la vocazione ecumenica dei francescani, accusati di sincretismo religioso e di pacifismo irenistico. Giovanni Paolo II era già stato raggiunto dalle critiche di teologi tradizionalisti come Inos Biffi e Divo Barsotti ("L'ho scritto al papa, due volte, che non vedevo di buon occhio l'incontro interreligioso di Assisi dell'ottobre 1986"). Ora il successore evita di sferrare un attacco diretto a Wojtyla, ma ne delegittima la profezia dirompente. Restringe il significato della speranza ecumenica.

È evidente il tentativo di recidere per via amministrativa la linfa vitale dello spirito di Assisi: perché il dialogo intrapreso dagli eredi di frate Francesco presupponeva una disponibilità a lasciarsi vicendevolmente trasformare nella relazione con l'altro, senza timore di una contaminazione che di certo non allontana, ma semmai rivitalizza la fede. Da decenni la cittadella di Assisi è sede di incontri fecondi con la società italiana e con tante realtà mondiali. Immagino che adesso molti credenti leggeranno in una nuova luce la scelta altra di chi - come Enzo Bianchi - nel 1968 ha fondato a Bose una comunità monastica preservata al di fuori dai vincoli dell'ordinazione sacerdotale, e dunque della disciplina diocesana, anche per salvaguardarne la vocazione ecumenica.
Benedetto XVI ha eretto un nuovo recinto. Ma i recinti nel mondo contemporaneo non proteggono la fede, la mortificano. Per questo mi sento di adoperare la parola: restaurazione.

(22 novembre 2005)


http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/cronaca/ru486/ritor/ritor.html



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