da "il manifesto" del 16 Gennaio 2005 Il quartiere multietnico che non dorme mai
Roma, la buona convivenza delle tante etnie che popolano largo Sperlonga EMANUELE BISSATTINI,
Largo Sperlonga è una piazza grigia di tufo e cemento in mezzo al verde di prati incolti e campi sportivi, una specie di villaggio di stranieri arrampicato alle spalle della Cassia - bene, zona ricca a nord di Roma. Quattro lunghi caseggiati dello stesso grigio indifferenza, paralleli, tutti più o meno collegati tra loro da scale o passaggi. Ognuno è fatto di 80 appartamenti che vanno dai 20 ai 40 metri quadri, ma molto raramente superano i 30. Dentro ciascun appartamento almeno 5 persone, spesso di più: nonni, padri e figli, tre generazioni con, se va bene, 10 metri quadri a testa. In tutto, si tratta di almeno 1600 extracomunitari (probabilmente molti di più) di tante etnie diverse: cingalesi dello Sri-lanka, moldavi, ucraini e romeni dell'est europeo, filippini, capoverdiani. Una strada, nella pratica pubblica, secondo lo stato privata (perciò senza manutenzione) collega la parte bassa - con la piazza, gli spazi comuni e il phone center di Mohamed - a quella alta, che finisce in una specie di parcheggio erboso che ospita macchine, rottami e i tanti transessuali brasiliani della zona.
Si lavora sempre
Largo Sperlonga è un quartiere che si sveglia un po' alla volta, e non dorme mai. I muratori, quasi tutti moldavi, romeni o ex russi, vanno in cantiere alle cinque del mattino e tornano dopo le dieci di sera. A meno che non piova, oppure il padrone non voglia, o, ancora, non ci sia qualche problema con il permesso di soggiorno. Tutte cose che finiscono col tenere tra quattro mura gente pagata a ore, oppure a giornata. Se invece va bene, prima di rientrare si passa da Denzil, cingalese amico di tutti, per una birra, una sigaretta e quattro chiacchiere. I filippini (tanti) che fanno i domestici nelle ville dell'Olgiata si alzano alle sei, e tornano che è notte. La maggior parte, per la verità, non torna: vive nelle case in cui fa servizio, e a Largo ci torna solo di giovedì - il giorno libero dei domestici - e di domenica, e allora la piazza rimbomba di karaoke a volume troppo alto e odora di aglio, fritto e spezie. Chi lavora nei ristoranti, dai lavapiatti agli aiuto - cuochi, oppure in albergo, come molti srilankesi, si alza alle otto e attacca alle nove.
Tutti lavorano a turno, perciò la piazza non è mai vuota. Senza contare che ci sono anche i disoccupati, i lavoratori occasionali in forzato riposo, le famiglie. Per la piazza ci passa sempre qualcuno, che sia giorno o notte. Di notte, anzi, più che di giorno: al traffico degli scooter mezzi sfasciati e degli autobus arancioni che fanno capolinea sulla piazza (il 220 e il 224) si sostituisce, dopo le 21, quello continuo delle macchine di grossa cilindrata che portano in cima alla strada rotta gente interessata a favori sessuali consumati lontano da occhi indiscreti, dentro appartamenti piccoli ma affittati a carissimo prezzo, spesso senza contratto.
Il problema dell'affitto
Proprio quello degli affitti è un problema che mette un po' tutti d'accordo, a prescindere dalla nazionalità. Lo dice Chandana, consigliere comunale aggiunto per il ventesimo municipio, 30enne dello Sri-Lanka eletto proprio a Largo Sperlonga e soprattutto da Largo Sperlonga, presidente di un'associazione di cingalesi (promostra, promozione degli stranieri): «Da queste parti i proprietari affittano a prezzi altissimi, agli immigrati. Giocano sul fatto che vogliono stare vicino ai parenti, agli amici. Che hanno pochi documenti. E allora affittano a 8, 900, 1000 euro al mese». Da queste parti, del resto, gli affitti reagiscono in modo perverso alle oscillazioni di domanda e offerta. Semplicemente, aumentano. Come reagiscano a queste variazioni i migranti, lo chiarisce Chandana: «Cerchi di mettere più gente che puoi nella stessa casa, magari con 3 o 4 stipendi ce la fai, a pagartela. Però la qualità della vita, la salute, la serenità familiare, vanno tutte a farsi friggere». Senza contare che, spesso, gli affitti vengono corrisposti in nero, senza alcun contratto. E allora sono guai seri. Perché senza contratto un migrante non può dimostrare la cosiddetta «abitabilità», cioè il fatto che risieda stabilmente da qualche parte. E senza abitabilità non può chiedere al comune i contributi per l'affitto, che rimane alto. E nemmeno gli assegni familiari. Senza contratto d'affitto non può essere richiesto il permesso di soggiorno, né il ricongiungimento familiare. «Molti proprietari da queste parti preferiscono affittare casa agli immigrati irregolari. Niente contratto, niente tasse. Giocano sulla pelle di gente debole, che non protesta perché non può protestare».Ma se i singoli non protestano, la comunità reagisce. Reagisce ai soprusi e a un generale disinteresse da parte delle istituzioni nel modo più antico del mondo: organizzandosi. «Qui la gente ha pazienza, perché ha la coscienza che siamo tutti stranieri, tutti che cercano lavoro, tutti in condizione di bisogno - dice Vitalij, 36enne moldavo, in Italia con la moglie (che frequenta l'università), due figlie (che vanno a scuola), una gatta e un coniglio (che non vanno affatto d'accordo) - perciò c'è grande tolleranza, pazienza. Quando possiamo, ci aiutiamo, o facciamo le cose insieme». Sul problema degli affitti è critico anche Vitalij. «I proprietari sanno che chiedono somme alte, e sanno che altri le pagheranno, per evitare grane. Questa è una zona in cui vengono in tanti, ma se ne vanno in pochi». Quello degli affitti non è l'unico problema della zona. In prima fila c'è, ad esempio, il rapporto non proprio idilliaco con le forze dell'ordine.
Sei mesi fa Chandana si reca dai carabinieri. Gli hanno staccato l'acqua perché a Largo Sperlonga, che una volta era un unico grosso complesso privato, non esistono numeri civici, perciò le bollette non arrivano, e la maggior parte della popolazione residente non è in condizione di chiedere l'accredito bancario. Dai carabinieri, la doccia fredda: «Mi hanno detto - racconta Chandana - che non avevano tempo da perdere con me, e poi mi hanno cacciato come una bestia. Mi sono vergognato, per me e per gli immigrati che rappresento».
La battaglia per la piazza

Una bella «cosa fatta insieme», una battaglia portata avanti e vinta dalla spremuta di popoli di Largo Sperlonga, è stata invece la ristrutturazione della piazza. «Quella della piazza è stata un po' una rivoluzione - dice Vitalij - prima era brutta, c'erano solo alberi che ci spuntavano le ruote dei motorini, smontati e lasciati lì, e i pezzi di lavatrice. Era un posto proprio non curato, dimenticato dal comune e da dio». Fatto sta che dopo anni di richieste, petizioni, esposti, nel 2003 iniziano i lavori di ristrutturazione, che si concludono ad aprile dell'anno successivo. Grande festa per l'inaugurazione, alla presenza, tra gli altri, del sindaco di Roma Walter Veltroni. Al posto del cimitero di pezzi di ricambio arrugginiti e malamente assortiti, di copertoni bucati e lattine stinte, una moderna area - giochi per i bambini, fortemente voluta dalla comunità. Rifatta e coperta da pensiline la zona in cui fanno capolinea gli autobus. Peccato che al passo fatto in direzione della notorietà sia seguito il solito tuffo nell'oblio. Perché poi di fatto la piazza, una volta inaugurata, è stata di nuovo abbandonata a se stessa. Con l'aggravante, stavolta, delle speranze frustrate. Questo perché la seconda fase del progetto prevedeva che una cooperativa sociale si prendesse cura della manutenzione di quanto costruito, e gestisse, per rientrare nei costi, un piccolo chiosco da installare proprio sulla piazza. In un primo momento doveva trattarsi della cooperativa sociale integrata «conto alla rovescia», che poi avrebbe girato l'incombenza a «Unistra», Unione degli stranieri, appositamente creata dagli abitanti di Largo Sperlonga.
Un'occasione mancata
Da allora è passato quasi un anno, e nessuno ha saputo più niente. Il diciottesimo dipartimento del comune di Roma, competente in materia di sicurezza urbana, a metà progetto ha finito i soldi. Perciò anche l'iniziale entusiasmo nei confronti della cooperativa si è trasformato in un'indifferenza un po' rabbiosa. Perché da queste parti creare una soggetto economico locale significa tante cose. Per qualcuno significa emergere, uscire dal lavoro nero e riciclarsi in un'attività economica regolare. Per qualcun altro trovare un contratto, che comunque è merce spendibile in una realtà, come quella degli stranieri in Italia, fatta di rapporti niente affatto semplici con questure e servizi sociali. Per tutti si tratta di un'occasione importante per andare verso un'integrazione scandita da un permesso di soggiorno da rinnovare una volta l'anno. Tra l'altro, la comunità di Largo Sperlonga ha attivato processi di breve (raccolta di fondi e materiali) e lungo periodo (progetti di adozione a distanza, ancora in fase di elaborazione) in favore delle vittime dello tsuami in Asia. La cooperativa poteva costituire un motore economico (e non solo) in più. Oltretutto era pronta. Trovato lo statuto, messi d'accordo i primi soci (moldavi, cingalesi, capoverdiani, un peruviano, tra gli altri), era stato eletto anche il presidente. Denzil, non a caso.
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