7 novembre 2005 Il disagio dell'altra Francia di Michele Calcaterra

I disordini che stanno investendo le periferie della Francia hanno un nome: emarginazione. È infatti la frattura sociale crescente che ha esasperato gli animi e che ha fatto traboccare la goccia dal vaso. Per rendersi conto del fenomeno bastano alcune cifre: i 6 milioni di francesi che vivono alle soglie della povertà (10% della popolazione complessiva), il tasso di disoccupazione nei quartieri-ghetto del 20,7%, il doppio della media nazionale, il 57% delle famiglie che non è fiscalmente imponibile contro il 40% del resto del Paese, il 19% che è proprietario di una casa, contro il 56% della media nazionale, infine i 68 atti di delinquenza ogni mille abitanti, rispetto al 47,3% dell’altra Francia.
Come a dire che esistono due Paesi. Il primo, benestante, che non ha problemi di occupazione, di istruzione, di vita in generale; il secondo invece che vive emarginato dalla società, confinato in una delle tante 700 Zus-Zone urbane sensibili che punteggiano l’Esagono. Una emarginazione che è frutto di una politica trentennale che non ha saputo integrare gli immigrati (ma non solo quelli) e che ha dunque fallito in quelli che sono i principi alla base dei valori repubblicani francesi: libertè, egalité e fraternitè.
La Libertè, nei quartieri di periferia non c’è: gli abitanti si stanno infatti ripiegando su loro stessi. L’Egalitè è un miraggio, anche se il Governo insiste sulle pari opportunità. La Fraternitè, poi, si è vista solo all’epoca della vittoria dei "bleu" ai mondiali di football del 1998, quando "blanc, black e beur" si sono stretti in un unico abbraccio.
È dunque in questa ottica che non solo la società francese, ma quella occidentale in generale, va rifondata. Del resto ha ragione il Ministro degli Interni, Nicolas Sarkozy, quando senza mezzi termini dichiara che il modello sociale francese ha fallito.
Il troppo garantismo dello Stato ha infatti finito per appiattire il desiderio di integrazione e di crescita sociale dei figli degli immigrati che, sebbene siano cittadini francesi a tutti gli effetti, non godono di fatto delle stesse opportunità dei francesi che hanno la fortuna di vivere nell’altra Francia.
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