Non sono degli ''immigrati'' che si rivoltano nelle periferie della grande Parigi, ma dei giovani e giovanissimi francesi, di terza generazione.
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Francesi di serie B

ANNA MARIA MERLO
il manifesto del 04 Novembre 2005


Non sono degli « immigrati » che si rivoltano nelle periferie della grande Parigi, ma dei giovani e giovanissimi francesi, di terza generazione, dopo che una scintilla ha fatto esplodere la rabbia che covano da tempo. Non è la maggioranza di questi giovani a bruciare le macchine dei loro vicini di casa e a prendere d'assalto i simboli dello stato, caserme di polizia e di pompieri, scuole, palestre, accanto ai simboli del consumo, concessionarie auto, agenzie bancarie, centri commerciali. Ma gli altri, che per il momento stanno a guardare e che hanno paura, ne condividono le motivazioni, se non il metodo. La morte di due di loro, che una voce subito ritenuta plausibile ha fatto credere che fossero inseguiti dalla polizia perché giudicati colpevoli di un furto (che non è mai esistito) e le parole irresponsabili del ministro degli interni, che li ha definiti indistantamente «gentaglia», non hanno fatto che confermare quello che sanno già : di essere giudicati senza prove come colpevoli a priori. Di essere cioè dei cittadini di serie B, meno eguali degli altri nella patria che annuncia l'égalité nel suo motto.

Non a caso la parola più ricorrente nei quartieri difficili è «rispetto». Chiedono rispetto alla polizia, che invece interviene senza ragione apparente, effettua controlli generalizzati, mentre non li difende e lascia agire impunite le bande degli spacciatori di droga e dei veri deliquenti. Chiedono rispetto agli imprenditori, che diradano le assunzioni quando i candidati portano un nome dall'assonanza straniera. La discriminazione esiste in Francia, le operazioni di testing di Sos Racisme lo dimostrano, persino per l'accesso alle discoteche.

Ma è sul terreno della disoccupazione che questa discriminazione è cresciuta. Questi ragazzini, nipoti degli operai emigrati per lavorare nella fabbriche negli anni del boom, alcuni dei quali non hanno mai visto i genitori alzarsi per andare a lavorare, non sanno più a chi credere. Il discorso ufficiale è l'«eguaglianza delle possibilità», che la scuola eguale per tutti dovrebbe garantire. Ma le loro scuole sono peggiori di quelle del centro città, gli insegnanti appena possono scappano verso aule più calme.

Uno studio ha rivelato che i ragazzini delle medie in banlieue hanno a disposizione una media di 400 parole, mentre i loro coetanei più fortunati ne dispongono di 2500. Quelli che non sanno esprimersi, trovano uno sfogo nella violenza, ma è più sorda e più terribile la rivolta che cova tra coloro che hanno creduto alla favola dell'«ascensore sociale» attraverso lo studio e che si ritrovano disoccupati. O precari, quando sono fortunati (condividendo in questo la sorte degli altri giovani europei, ma manca un movimento politico per canalizzare questa rabbia, in Francia come altrove). Vedono i caïd viaggiare con grosse auto, unico «modello» reale, mentre i pochi che riescono se ne vanno dai quartieri difficili, come ha già fatto la maggioranza dei franco-francesi che hanno potuto farlo.

Poco per volta si è costruito il ghetto, sociale ed etnico e oggi non c'è da stupirsi che le reazioni siano da ghettizzati: manca solo più l'espandersi del ripiego identitario, che già la presenza di imam radicali annuncia, anche se per il momento il fenomeno è ancora agli inizi (ma la confusione, volutamente incrementata dall'estrema destra, tra immigrati e giovani francesi di origine immigrata gli sta creando un terreno favorevole). E i politici al governo, intanto, si fanno una guerra per bande, perché i tempi della politica sono brevi - ci sono le presidenziali nel 2007 - mentre i tempi della ricostruzione sociale sono lunghi.




http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/04-Novembre-2005/art5.html



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