Le banlieue francesi: un fenomeno globale
Dopo più di 20 giorni di scontri e rivolte nelle periferie francesi, sembra essere tornata la calma. Ma la portata enorme della vicenda si lascia alle spalle uno strascico lunghissimo, che tocca temi cruciali di politica, sociologia e religione. E che travalica i confini territoriali, delineando problematiche comuni e globali, identificando diversi punti di contatto anche con l'Italia
Parigi - La morte di Ziad e Bouna, i due adolescenti scomparsi a Clichy-sous-Bois, una delle famigerate banlieue francesi, il 27 ottobre scorso, folgorati nella cabina elettrica di un cantiere dove si erano nascosti forse per sfuggire alle forze dell'ordine, ha preso la forma di una goccia, la fatidica goccia che fa traboccare il vaso. Da allora sono passati oltre 20 giorni, e, secondo la Polizia francese, la notte scorsa la situazione è tornata normale in tutta la Francia.
La Direzione generale della polizia nazionale ha precisato che sono stati bruciati 98 veicoli, media abituale di ogni notte in Francia, e che non sono stati segnalati né incendi né feriti. Nonostante il ritorno della calma nelle periferie, la Francia ha comunque prorogato di tre mesi lo stato di emergenza instaurato l'8 novembre per far fronte alla crisi.Acque dunque di nuovo calme, pare, ma le rivolte che hanno infiammato le banlieue si sono lasciate alle spalle distruzione, violenza, e tante, troppe domande rimaste senza risposta .
Secondo i dati dei Renseignements Généraux, ci sono stati 70 mila casi di violenze urbane in Francia dal primo gennaio scorso, 28 mila auto bruciate e 17.500 pattumiere, 5.760 atti di vandalismo contro l'arredo urbano, 442 scontri tra bande rivali, 3.832 episodi di violenza contro i servizi di sicurezza o di soccorso.Una situazione allarmante che ha radici profonde. Se la sinistra francese rifiuta di "gettare olio sul fuoco", come ha dichiarato il segretario del Ps, François Hollande, la destra si divide: Il Primo Ministro francese Dominique Villepin vuole dare un'immagine più sociale, mentre il Ministro dell'Interno francese Nicolas Sarkozy ha adottato il linguaggio e i modi dell'estrema destra .
Ma secondo Mario Pollo, sociologo docente alla Lumsa di Roma, " la politica c'entra fino a un certo punto. Il fenomeno è più ampio, ed è legato alla deterritorializzazione: oggi le persone non si identificano più con le realtà e le comunità locali , ma piuttosto con quelle che vengono chiamate comunità di destino o di sentimento". Praticamente, i ragazzi figli di immigrati anche di seconda o terza generazione, grazie ai media elettronici come internet o la tv, mantengono una sorta di affinità elettiva, totalmente virtuale, con la comunità di origine dei loro genitori, creando comunità altrettanto indefinite e aleatorie.
"Ma – continua Pollo – questa è un'idealizzazione che fa sì che tutti i processi di integrazione rallentino e seguano percorsi imprevedibili".La questione ha spesso assunto tinte fortemente religiose oltre che razziali, con l'Islam come sempre al centro del mirino. Ma Jacques Chirac, presidente della Repubblica francese, ha dichiarato: "I ragazzi dei quartieri difficili, quali che siano le loro origini, sono tutti figlie e figli della Repubblica".
Sempre secondo il presidente, la crisi delle banlieues urbane è "una crisi di direzione, di punti di riferimento, di identità. Questi avvenimenti testimoniano un malessere profondo; i ragazzi, gli adolescenti hanno bisogno di valori, di punti di riferimento: l' autorità dei genitori è fondamentale".
Sulla connotazione sociale piuttosto che religiosa è d'accordo anche Pollo, che però precisa: "Non si tratta di religione, ma non bisogna nemmeno stigmatizzare i genitori. Molto più semplicemente si tratta di quella forma di disagio che colpisce tipicamente gli adolescenti di oggi: con la crisi delle ideologie del secolo scorso, il futuro non è più percepito come una promessa, ma come una minaccia . Questo ha portato alla crisi dell'autorità anteriore: il genitore o l'insegnante non è più percepito come garante dell'inserimento nel futuro, e perde così ogni autorità".
Non sono mancati gli interventi di personaggi celebri, esponenti eccellenti di quella 'francesità' tanto celebrata e universalmente riconosciuta. Lilian Thuram, calciatore di fama mondiale, ha sottolineato: "Sono cresciuto in una banlieue e anche a me davano della feccia. Ma non lo ero". Thuram in realtà si è così espresso in seguito a una sparata di Sarkozy, che ha definito proprio come 'feccia' gli abitanti delle banlieue.
Un altro calciatore, l'italico Michel Platini ha affermato: " Non credo che il calcio sia l'unico modo per affrancarsi dalle banlieue, almeno spero che non lo sia. Però, d'altra parte, quando puoi dare ai giovani un passatempo come quello, certo che qualche problema lo risolvi". La dichiarazione di Platini delinea, forse in modo un po' ingenuo, quella che forse è una delle implicazioni sociali più significative della vicenda.
"Nelle Banlieue – argomenta Pollo – manca quella struttura sociale diffusa, rivolta ai giovani, che si trova altrove: oltre a non avere punti di riferimento o prospettive, i giovani mancano completamente di luoghi di aggregazione o di quel tessuto educativo necessario alla diffusione di valori che non siano solo quello del denaro ". La portata enorme del fenomeno mostra numerosi punti di contatto anche con l'Italia. Romano Prodi ha detto: "Parigi non è qui ma, se non agiamo per tempo, potrebbe non essere così lontana".
Il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu ha rincarato la dose: "Il controllo dei clandestini e l'integrazione appropriata dei regolari sono le due facce di una stessa medaglia. Oggi le periferie italiane non sono certo paragonabili alle banlieue francesi ma, in futuro, anche le nostre città avranno di che piangere se non risolveremo questo duplice problema". E' in qualche modo d'accordo Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera ed esperto in fenomeni migratori e minoranze etniche , che dichiara: "Secondigliano è forse meno pericolosa di Parigi? Io credo di no. Certo le periferie francesi sono disastrose, ma in casa nostra è la stessa cosa".
In Italia come in Francia, il quadro è quello di ragazzi respinti da una società che non gli ha dato nessuna carta da giocare. "La differenza principale tra Italia e Francia – continua Stella – è che in Italia manca una spinta politica o sociale forte. In assenza di tale spinta, il risultato è che la ribellione invece di prendere la forma della rivolta si risolve nella criminalità organizzata".
E in Italia come in Francia, è importante più di tutto evitare la segregazione e l'abbandono. "Noi italiani che abbiamo vissuto le 'Little Italy' – conclude Stella -, sappiamo che non erano affatto posti pittoreschi dove si trovava la Pizzeria bella Napoli o il Caffè Vesuvio: erano posti di emarginazione dove si alimentava l'odio. Sono convinto che la cosa fondamentale sia quella di non lasciare che si costituiscano 'Little Marocco' o 'Little Algeria'. E' necessario che la gente si mischi e si amalgami, consapevoli del fatto che l'integrazione è un processo estremamente lento, complesso e delicato".
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