Stato di emergenza immigrazione: prove di democrazia autoritaria
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Stato di emergenza immigrazione: prove di democrazia autoritaria


Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Maroni, ha stabilito la “dichiarazione dello stato d’emergenza” su tutto il territorio nazionale per "il persistente ed eccezionale afflusso di extracomunitari… al fine di potenziare le attività di contrasto e di gestione del fenomeno".


La dichiarazione dello stato di emergenza nazionale è prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge 225 del 24 febbraio 1992, in base alla quale il presidente del Consiglio «delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità e alla natura degli eventi. Con le medesime modalità si procede alla eventuale revoca dello stato di emergenza al venir meno dei relativi presupposti».


La dichiarazione dello stato di emergenza si collega questa volta, a differenza che nel recente passato, ad un ulteriore inasprimento dei meccanismi di contrasto dell’immigrazione clandestina previsti dalla legge Turco Napolitano e poi dalla Bossi-Fini, leggi che nel loro complesso hanno prodotto una normativa centrata sulla considerazione del’immigrazione come un fenomeno negativo, un accidente, una questione di ordine pubblico e di sicurezza nazionale, da limitare e controllare con misure repressive. Al punto che persino la Corte Costituzionale in diverse occasioni, a partire dal 2001, aveva censurato l’impostazione di fondo del Testo Unico sull’immigrazione, cancellando (con la sentenza n.105 del 2001, e poi con altre sentenze nel 2004) le norme più odiose, come quella che consentiva l’allontanamento forzato dell’immigrato irregolare senza una effettiva possibilità di ricorso.


Secondo le contrastanti dichiarazioni di vari rappresentanti del governo, la conferma dello stato di emergenza si legherebbe soprattutto all’esigenza di aprire nuovi centri di detenzione per i migranti irregolari nelle regioni settentrionali, e non certo, come asserito da Maroni, per accogliere dignitosamente quanto sbarcano in Sicilia . Una misura “straordinaria” dunque, ma largamente annunciata, dopo le dichiarazioni del sottosegretario agli interni, secondo il quale tra poche settimane dovrebbero essere aperti sette nuovi CPT ( adesso ridenominati CIE, Centri di identificazione ed espulsione).


Una emergenza “prodotta”, più che dagli “sbarchi” in aumento a Lampedusa ed in Sicilia, dall’approvazione del decreto sicurezza, che sulla carta accelera le procedure per la espulsione degli irregolari, ma di fatto aumenta soltanto le sanzioni penali, una emergenza che diventerà esplosiva se sarà introdotto il reato di immigrazione clandestina. E si continua a giocare sull’equivoco terminologico tra centri di accoglienza, di prima accoglienza e di detenzione amministrativa, luoghi che dovrebbero essere governati da regole specifiche ma che di fatto sono esclusivamente affidati alla discrezionalità delle forze di polizia, con la complicità degli enti gestori. Al punto che, da Torino a Caltanissetta, se un immigrato muore all’improvviso con il sospetto di una omissione di soccorso, non si riescono neppure ad individuare le responsabilità.


Basta un poco di memoria per ricordare quali sono stati i precedenti delle pratiche di detenzione amministrativa stabilite in nome di uno stato di emergenza. Senza andare troppo indietro nel tempo, fino agli stadi usati in Puglia negli anni 90’ per rinchiudere gli albanesi in fuga dal loro paese.
Nel 1998 il ministro dell’interno Napolitano inaugurò all’insegna dell’emergenza (l’ingresso dell’Italia nel Trattato di Schengen) i primi centri di detenzione, i famigerati CPT, in Sicilia, a Trapani, a Caltanissetta e ad Agrigento, un anno prima che venisse approvato il regolamento che ne stabiliva le regole di funzionamento.
Ricordiamo ancora i disastri gestionali e le tragedie, come la strage del Vulpitta nel 1999, i troppi morti che caratterizzarono quella stagione sulla quale oggi si tace, forse perché per qualcuno è troppo imbarazzante ricordare.
Sempre a partire dal 1998 numerosi “centri di prima accoglienza”, che di fatto funzionavano come veri e propri centri di detenzione amministrativa, erano stati istituiti in base alle norme che consentivano interventi di emergenza, come la cd. legge Puglia. Nessuna effettiva garanzia di difesa, nessuna possibilità di ingresso per le associazioni indipendenti, nessun controllo effettivo sulla libertà personale da parte del magistrato, in violazione dell’art. 13 della Costituzione.
In Sicilia ricordiamo, a Catania, uno spazio di trattenimento forzato nell’area dell’aeroporto civile di Fontanarossa, vari capannoni industriali alla periferia di Agrigento, un capannone industriale a Termini Imerese, vicino Palermo, ancora una palestra scolastica a Trapani, temporaneamente adibita a centro di detenzione nel 2001, un centro di “prima accoglienza” a Pozzallo nell’area portuale, un altro centro di trattenimento e transito a Porto Empedocle, strutture chiuse e riaperte in varie occasioni, e poi il centro di prima accoglienza di Cassibile in provincia di Siracusa, la cui natura giuridica rimane incerta fino ad oggi. Anche il centro di permanenza temporanea di Lampedusa ha cambiato più volte denominazione e destinazione d’uso, secondo le convenienze politiche dei governi che si sono avvicendati nel tempo. A volte basta un tratto di penna, in un decreto governativo, e definire un intervento come emergenziale, per scavalcare non solo le norme sulla contabilità di stato, ma anche le più elementari garanzie dei diritti fondamentali della persona.


Sono le norme specifiche in materia di espulsione forzata contenute nel Testo Unico sull’immigrazione del 1998 che, in collegamento con i decreti che stabiliscono lo stato di emergenza, legittimano le prefetture ad adottare convenzioni con i privati per “agevolare” l’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento forzato degli immigrati irregolari. Secondo l’art.14 comma 9 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998, il Ministro dell’interno adotta i provvedimenti occorrenti per l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione, “anche mediante convenzioni con altre amministrazioni dello Stato, con gli enti locali, con i proprietari o concessionari di aree, strutture ed altre installazioni, nonché per la fornitura di beni e servizi. Eventuali deroghe alle disposizioni vigenti in materia finanziaria e di contabilità sono adottate di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica”.


Durante il governo Prodi, non solo non si era riusciti ad abrogare la legge Bossi-Fini, ma periodicamente erano state rinnovate le dichiarazioni di stato di emergenza, per consentire alle prefetture di approntare i mezzi necessari per la prima accoglienza, ricorrendo a tale fine anche a ordinanze di urgenza da protezione civile. Malgrado qualche recente progresso, il Servizio nazionale di protezione ed accoglienza per i richiedenti asilo (SPRAR) era rimasto largamente sottodimensionato, ed oggi anche quel sistema rischia di scoppiare. Di fatto si dava da tempo la possibilità ai prefetti ed ai sindaci di aprire centri di prima accoglienza, o di adottare altre misure utilizzando, sulla base della dichiarazione di uno stato di emergenza, fondi che altrimenti non si sarebbero potuti impegnare. Associazioni prive di qualsiasi professionalità, intuendo le potenzialità di profitto offerte da questo mercato dell’accoglienza si buttavano nell’affare ed ancora oggi lucrano milioni di euro e gestiscono in modo clientelare posti di lavoro, come al solito sulla pelle dei migranti. Nel 2007 alcuni centri di detenzione, come quello femminile di Ragusa, venivano intanto chiusi, dopo le ispezioni della Commissione De Mistura, perché si verificava la fondatezza delle denunce delle associazioni antirazziste. E agli inizi del 2008, di fronte alla diminuzione degli sbarchi ed al sostanziale stabilizzarsi dell’immigrazione clandestina in Italia, dal governo Prodi, ormai agli sgoccioli, veniva deciso di limitare lo stato di emergenza solo a quattro regioni, quelle meridionali più esposte agli sbarchi.


Adesso tutte le misure di protezione civile da “stato di emergenza” saranno adottate non per favorire l’accoglienza, o per fare fronte ad emergenze temporanee, ma per legittimare un disegno più vasto.
Si va nella direzione di moltiplicare i centri di detenzione per i migranti irregolari, probabilmente anche per coinvolgere enti locali e soggetti privati nelle attività custodia e di limitazione della libertà personale di coloro che devono essere identificati o di quanti si tenta di espellere o di respingere. Uno snaturamento gravissimo delle funzioni dell’associazionismo e della protezione civile in Italia, con l’avallo naturalmente del Commissario Bertolaso. Ma anche uno strappo alla Costituzione che affida esclusivamente allo Stato e sotto rigidi controlli da parte della magistratura, tutte le ipotesi di limitazione della libertà personale.


Nelle dichiarazioni dei rappresentanti del governo, permane comunque una confusione devastante tra la crescita degli sbarchi in Sicilia, triplicati rispetto allo scorso anno, che costituiscono però solo una minima parte dell’immigrazione irregolare in Italia, e l’aumento dei migranti detenuti nelle carceri, frutto del decreto legge sulla sicurezza emanato a maggio dal governo Berlusconi ed adesso convertiti in legge, provvedimento che amplia notevolmente le ipotesi di carcerazione per gli immigrati sottoposti a un procedimento penale.
Per giustificare la dichiarazione dello stato di emergenza si giunge persino a richiamare la maggiore percentuale di somali ed eritrei che arrivano per chiedere asilo, una dichiarazione falsa perché il numero degli eritrei si è praticamente azzerato da quando l’”amico”Gheddafi ha ripreso a deportarli dalla Libia verso il loro paese di origine.
Un miscuglio velenoso di demagogia e di falsa informazione sulle quali il governo tenta di dimostrare un ennesimo “giro di vite” contro l’immigrazione clandestina, mentre anche l’opinione pubblica comincia a percepire il fallimento delle misure repressive adottate in Italia conto tutti i migranti, regolari ed irregolari.


Il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento delle libertà civili e immigrazione, riguardo alla proroga dello stato d’emergenza estesa a tutto il territorio nazionale sembra minimizzare la portata del provvedimento adottato dal governo, affermando che «... si tratta di una procedura che ha avuto inizio nel marzo 2002 ed è stata ripetuta ogni anno fino al 2007 compreso. Nell’anno 2008, in relazione anche alla migliorata condizione delle strutture di accoglienza, si era ritenuto di limitarne l’applicazione al solo territorio delle regioni Puglia, Sicilia e Calabria. Il presidente Prodi decretò l’ultima proroga il 14 febbraio scorso».
Secondo il prefetto Morcone il provvedimento «consentirà attraverso l’utilizzo di ordinanze di protezione civile l’adozione di procedure accelerate per la gestione dei nuovi centri di accoglienza, nonché interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria in strutture soggette a quotidiano degrado».
Il ministro della difesa La Russa la pensa diversamente, ma tace sulla sua proposta delle caserme dismesse da utilizzare come centri di detenzione, o ha detto forse una parte di verità, dichiarando che “questo provvedimento è stato preso in vista dell’apertura dei nuovi CPT, e garantirà ... una maggiore flessibilità nella fase dei trasferimenti”.
Di quale flessibilità e in che direzione saranno organizzati i “trasferimenti” non si fatica certo ad immaginarlo, ricordando le deportazioni che il governo Berlusconi ha effettuato dall’ottobre 2004 al marzo del 2006 dall’Italia verso l’Egitto e la Libia, malgrado le condanne della corte Europea di Strasburgo, perché la Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo vieta le espulsioni collettive, soprattutto verso i paesi di transito.
Secondo Calderoli, ministro per la semplificazione (!),“non è un provvedimento per aumentare i problemi, ma un modo concreto per risolverli". Il “modo concreto” per risolvere i problemi consisterà nella possibilità di aprire nuovi centri di detenzione amministrativa per i migranti, quale che sia il loro status, persino per i potenziali richiedenti asilo, questo è stato chiarito in modo inequivocabile dal sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha contestato le resistenze di alcune regioni ad accettare sul loro territorio altri CPT nei quali rinchiudere gli immigrati irregolari. Le regioni del nord si accorgeranno presto, per prime, degli effetti della “semplificazione” voluta dal governo in materia di immigrazione.
Tutte le misure adottate dal governo Berlusconi stanno producendo intanto effetti criminogeni. Si vogliono criminalizzare tutti gli immigrati irregolari, presto molti immigrati irregolari cominceranno a comportarsi come criminali, magari solo per garantirsi la sopravvivenza. Le statistiche della criminalità degli immigrati stanno già subendo una drammatica impennata, a scapito della sicurezza dei cittadini, oltre che dei destini di vita di tanti irregolari.


Si potrebbe obiettare: ma che si può fare allora per “contrastare l’immigrazione clandestina” e realizzare effettivamente l’allontanamento forzato degli immigrati che non hanno un valido titolo di soggiorno? La risposta è lontanissima da quella adottata dal governo Berlusconi. La propaganda postelettorale si rivela ancora vincente. Ma agli italiani presto toccherà un duro risveglio e allora si dovranno tentare altre soluzioni.
Occorre ridurre la platea di immigrati irregolari da espellere con una regolarizzazione permanente sull’esempio di quella praticata in Spagna fino allo scorso anno ( chi ha tre anni di residenza, un lavoro, un alloggio e non ha precedenti penali può essere regolarizzato).
Ma occorre da subito una diversa politica dei flussi di ingresso, senza continuare a tenere bloccate oltre 400.000 domande che sono rimaste inevase lo scorso anno. E si deve dare ampio riconoscimento alle istanze di asilo e di protezione internazionale senza confondere i richiedenti asilo con i migranti irregolari. Eppure alcune questure continuano ad emettere provvedimenti di espulsione ed a detenere immigrati che hanno la chiara intenzione di presentare una domanda di asilo.


Non esistono ricette facili di fronte ad un problema che è aggravato dall’egoismo sociale e dalla incapacità dell’Europa di adottare politiche che consentano l’ingresso regolare per lavoro.
Tuttavia la direzione verso la quale si sta muovendo il governo italiano, ben al di là della proclamazione dello stato di emergenza in materia di immigrazione, appare inefficace e del tutto insostenibile anche alla luce dei costi enormi che ricadranno sui contribuenti italiani.
Il provvedimento adottato dal Consiglio dei ministri appare in tutta la sua gravità se si collega all’intenzione del governo italiano di elevare a 18 mesi la detenzione amministrativa e di introdurre il reato di immigrazione clandestina. La scelta di aumentare la durata dell’internamento degli immigrati irregolari nei centri di detenzione amministrativa fino a 18 mesi, e quanto avverrà con le ordinanze di protezione civile che i prefetti potranno assumere per adibire le strutture più diverse a centri di detenzione, snatura la funzione dei centri di permanenza temporanea, trasformati sempre di più in galere etniche, luogo di ammasso della forza lavoro in eccedenza, destinati a tranquillizzare la popolazione residente, senza garantire alcuna maggiore efficacia ai fini di una effettiva esecuzione delle misure di allontanamento forzato. Senza una maggiore selettività dei procedimenti di espulsione e senza accordi di riammissione realmente operanti, nessun inasprimento della normativa interna potrà ridurre la cd. immigrazione clandestina.


Se nel 2007 appena il 40 % delle persone trattenute nei CPT sono state effettivamente espulse, e se i posti disponibili nei CPT, sulla carta, non superano al momento le 2500 unità, ma di fatto sono molti meno, (oltre ai 2300 posti nei centri di identificazione ieri CID, oggi CARA, con alcune dotazioni di posti recentemente aumentate) delle due l’una: o il governo dopo il decreto sulla sicurezza ed in base al decreto sull’emergenza immigrazione pensa di utilizzare gli stadi e le palestre (per tutto l’anno, con tanti saluti ai campionati e con relative sommosse delle tifoserie) per detenere non solo gli ultimi arrivati, compresi i richiedenti asilo, ma anche gli immigrati irregolari rastrellati nel territorio, dalle badanti ai lavoratori agricoli, fino a coloro che lavorano in nero nei ristoranti e nei cantieri edili, oppure, pensa di raddoppiare gli attuali centri di detenzione amministrativa, fino ad istituirne uno per regione. Ma in questo caso, anche triplicando il numero degli attuali CPT, adesso denominati CIE per decreto, il numero degli immigrati effettivamente allontanati , se trattenuti per un periodo anche tre, sei o nove volte superiore agli attuali sessanta giorni, rischia di diminuire di molto. Con tanti saluti per una maggiore “efficacia” del “contrasto” dell’immigrazione clandestina che rimane ancora al centro della propaganda di governo. Di questa insipienza e di questa approssimazione demagogica gli italiani dovrebbero essere veramente allarmati.


Sulla nuova dichiarazione dello stato di emergenza immigrazione si è subito aperta una polemica politica che rischia di confondere ulteriormente le cose. Il Partito democratico ha attaccato la decisione del Consiglio dei ministri, chiedendo spiegazioni al governo. Marco Minniti, ministro “ombra” dell’opposizione, ha osservato che "le dichiarazioni successivamente rese da rappresentanti del governo non solo non chiariscono, ma anzi contribuiscono ad aumentare la confusione e la preoccupazione". Come si è visto, è vero, ma poi ci si contenterà dei chiarimenti del ministro Maroni? Magari in vista dell’ennesima riforma elettorale bipartisan per le prossime elezioni europee?
Buttiglione dell’Udc ha parlato di provvedimenti "disumani", ma restando nel vago, come se accrescere le competenze della protezione civile e dei prefetti fosse appunto “disumano”, ma forse ha taciuto dei fini che si intendono perseguire con queste nuove norme.
In realtà mancano politiche realmente alternative rispetto alla linea securitaria da “tolleranza zero”, adottata dal governo Berlusconi. Tutti i politici dimenticano le responsabilità che a turno hanno assunto negli anni passati, quando sarebbe stato possibile intervenire per cancellare la legge Bossi-Fini. Nulla si è fatto, mentre si prorogavano i provvedimenti emergenziali del 2001, si stabiliva anche una “emergenza sbarchi”, nel 2003, e si creavano le premesse per quelle tragedie del mare che ancora ieri sono state riportate in cronaca da qualche giornale e subito dimenticate.
Ed oggi? Nessun rispetto e nessuna memoria, neppure davanti al cadavere di un migrante arenatosi sulla spiaggia di Agrigento con le mani strette sul manico di una valigia che conteneva tutta la sua vita e le sue speranze. Una vita perduta, tra tante altre, per la quale non si ha neppure il rispetto della memoria, o della semplice notizia, mentre su tutti gli schermi televisivi i professionisti della sicurezza recitano il loro squallido copione.


Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo



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