Non vederci più dalla fame e non vederli per il troppo benessere...
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Non vederci più dalla fame
e non vederli per il troppo benessere...




Intervista a Raffaella Biasi a cura di Alberto Leoncini


Egitto e altri paesi della fascia mediterranea sono agitati da violenze e scontri per il pane, rincarato in poco tempo di circa venti volte. I governi censurano e oscurano i siti internet in modo che il primo mondo non sia troppo turbato e coinvolto, ma vi sono già stati diversi morti.


Come all’epoca della Rivoluzione francese, ci sono le sommosse per il pane. La folla manzoniana esce dalle pagine della narrativa per entrare prepotentemente nella cronaca; succede non solo in Egitto ma anche nei paesi più poveri dove il prezzo del pane è cresciuto a dismisura, dando inizio a sommosse su vasta scala dal momento che questo essenziale alimento è sostanzialmente introvabile se non nel fiorente mercato nero, anche se questo tipo di soluzione è speculativa per eccellenza, specie se si valuta il dato per cui lo stipendio di un professore è di circa 30 euro al mese! Le famiglie numerose sono stremate. Secondo Raffaella Biasi, islamologa e studiosa di cultura araba, la situazione è più drammatica di quanto si percepisca dai nostri media. Ne abbiamo parlato con lei al fine di avere informazioni di prima mano sulla problematica.


Cosa sta succedendo in questo momento?
Il governo Mubarak e quindi l’Egitto sono a corto di grano per il pane poiché la domanda internazionale è fortissima sia per l’aumentato costo del petrolio che rende concorrenziali ed anzi richiesti i biocarburanti derivati dalle colture, specie sul mercato statunitense, su questo fenomeno si è innestata da diversi mesi la speculazione sui futures strutturati sui prodotti agricoli. Il fatto è che queste dinamiche “macro”, ossia di geopolitica internazionale, stanno avendo sulla popolazione effetti drammatici; non so se ci rendiamo conto che, per sostenere ad ogni costo il nostro modello di sviluppo palesemente insostenibile, ci siano delle situazioni di fame e denutrizioni che si stanno aggravando su un contesto già molto precario...Ci sfugge il dettaglio su cosa voglia veramente dire morire per una pagnotta. Siamo tutti colpevoli di non renderci conto o di non fermare questo disastro.


L’informazione che stiamo ricevendo, su quali fronti non è corretta, a tuo modo di vedere?
Ci sono molte inesattezza, la prima fra tutte è che la distribuzione di una tessera per ottenere il pane calmierato, simile alla nostra vecchia “annonaria”, in realtà non è un provvedimento nuovo, ma esiste già dai tempi di Sadat! Ciò è stato riportato da molte fonti di informazione. In realtà questa tessera non funziona se non in modestissima parte. Che la situazione sia più grave di quanto appaia mi è stato inoltre confermato da conoscenze locali nella città di Benha nel Delta del Nilo, da sempre avversa alla politica filoamericana di Mubarak.


Perché ritieni sia importante che la pubblica opinione sappia di questi avvenimenti?
Ritengo che non si possa protrarre ancora questo atteggiamento di disinteresse verso le condizioni di tanti popoli; non possiamo continuare a far finta che quanto sta accadendo non si ritorca contro l’intero pianeta, per esempio lamentandoci dei flussi migratori che proprio da quei paesi traggono la loro linfa. Tutto ciò per giunta al fine di sostenere l’insostenibile! Rivendico il mio diritto all’indignazione, perché non credo che la spirale sperequativa alla quale stiamo assistendo possa essere taciuta e misconosciuta. Direi che siamo fondamentalmente miopi, cioè guardiamo solo all’immediato, senza un’ottica di ampio respiro, e di ciò sono responsabili anche i nostri governi europei, i quali, a braccetto con le grandi multinazionali del cibo e dell’energia, favoriscono questa folle corsa vero il dissipamento irreversibile delle risorse naturali.


www.criticamente.it
18/4/2008



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