Una carità con gli occhi aperti: ecco il nostro sano orgoglio
Desidero dedicare in maniera particolare questo editoriale ai nostri operatori e ai nostri volontari che vivono il disorientamento di chi percepisce che forse l’aria in questi ultimi tempi è cambiata. Ce lo siamo già detti con franchezza. Siamo consapevoli che in tutti questi anni i servizi che abbiamo promosso, gli interventi in cui ci siamo impegnati, ci hanno reso un’avanguardia profetica, ci hanno fatto praticare le frontiere dell’esclusione e del disagio, ma nel momento in cui ci siamo voltati indietro abbiamo avuto la sensazione di non essere stati seguiti, di non aver più avuto l’appoggio, la solidarietà della nostra gente.
Non solo. Ci sono stati dei periodi - e quello che viviamo è uno di quelli - nei quali abbiamo avvertito l’indifferenza, se non addirittura l’ostilità, di parte dell’opinione pubblica pronta ad accusarci di affrontare certi problemi con atteggiamento superficiale e “buonista”. Va di moda, in questi mesi, l’accusa di “buonismo” che tradotta significa l’ingenuità nei confronti del male, la propaganda di uno spirito di accoglienza e di solidarietà che concede tutto senza domandare nulla in cambio, uno spirito ecumenico che sfocia nel “relativismo” secondo cui “tutti diversi, tutti uguali”.
Le conseguenze di questo presunto “buonismo” sarebbero la tolleranza di comportamenti illegali, la chiusura di entrambi gli occhi di fronte ai rischi per la sicurezza dei cittadini italiani, la dimenticanza delle nostre radici cristiane e della nostra identità, ...
È evidente che l’oggetto di questo “buonismo” è rappresentato anzitutto dal mondo dell’immigrazione, dal mondo dei Rom, di cui - colpevolmente, secondo i nostri detrattori - il mondo della Caritas da sempre si occupa.
Non escludo che questa accusa possa riguardare qualcuno. Se la meritano forse i chiacchieroni ideologici senza i piedi per terra. Noi no, noi non ce la meritiamo, noi che le mani ce le siamo sempre sporcate, che non abbiamo mai tollerato l’illegalità, ma che nello stare accanto alle categorie più difficili abbiamo favorito la pace sociale.
Ecco, questo editoriale vorrebbe suscitare in tutti i nostri operatori e in tutti i nostri volontari un po’ di sano orgoglio, di serena grinta nello scollarsi di dosso sospetti e accuse. Per reclamare, invece, il riconoscimento della fatica che quotidianamente abbiamo messo in gioco nell’intercettare quel piccolo-grande esercito di disperati che, senza il nostro servizio, sì che sarebbero stati una fonte ben più significativa di insicurezza.
Pochi giorni fà, il Direttore di Caritas Italiana, mons. Nozza, così si esprimeva: “va ribadito che Caritas Italiana, le Caritas diocesane e tutto il mondo cattolico hanno sempre operato tenendo insieme l'accoglienza doverosa con la sicurezza e ragionando in questi termini sia sull’immigrazione in generale che sulle più ampie tematiche del disagio. Il mondo cattolico non ha mai perso tempo a parlare di accoglienza buonista, ha invece cercato, anche a livello locale, la collaborazione con gli enti pubblici e le forze dell’ordine, con l’obiettivo generale di sviluppare forme di collaborazione e concertazione permanente e far operare tutte le componenti interessate alla soluzione del problema in modo sinergico”.
Questo è il nostro stile, questo è - secondo noi - il modo per garantire una reale sicurezza per chiunque si trova a vivere sul territorio del nostro Paese.
Diamo ancora la parola a Mons. Nozza: “Tutti sappiamo che i processi sociali, religiosi e culturali sono lenti, hanno bisogno di cura, di accompagnamento, di costante aggiustamento del loro percorso. E chiunque ha il compito di occuparsene deve imparare i tratti di quella pazienza solidale, giusta, e se necessaria, severa che accompagna con cura lo sviluppo, la promozione e la crescita di una cultura dell’accoglienza, dell’integrazione, dell’intercultura.”
Non possiamo quindi non sentirci preoccupati tutte le volte che di fronte ai problemi si reagisce con gli slogan e con le grida. I gravi gesti di intolleranza avvenuti a Napoli nei confronti dei Rom ci inquietano dal momento che parlano di un meccanismo che più volte si è visto all’opera nella storia: quello della ricerca dell’anello più debole sul quale scaricare le proprie frustrazioni e le proprie paure. Accadde anche nella Roma dell’Imperatore Nerone, quando i cristiani furono accusati dell’incendio che lui stesso aveva appiccato. Accadde nella Milano dei Promessi sposi quando si diffuse la notizia che la peste era causata da un gruppo di criminali untori su cui si scatenava l’ira della popolazione. Accadde nella Germania del Terzo Reich quando si dimostrò scientificamente (!) che tutto il male veniva dalla presenza di una razza inferiore, quella degli ebrei.
Siccome è già accaduto, può ancora accadere. Questo motiva ancora più fortemente il nostro coraggioso e sereno impegno.
Don Roberto Davanzo http://www.caritas.it/Documents/0/3353.html
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