A Lampedusa un'opera del maestro Mimmo Paladino in omaggio a tutti i morti delle traversate. La porta che guarda l'Africa in ricordo di chi non è mai arrivato.
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A Lampedusa un'opera del maestro Mimmo Paladino
in omaggio a tutti i morti delle traversate del Mediterraneo


La porta che guarda l'Africa in ricordo di chi non è mai arrivato


La porta che guarda l'Africa in ricordo di chi non è mai arrivato


Realizzata in una speciale ceramica, assorbe e riflette la luce
Una specie di faro simbolico rivolto verso i luoghi da cui partono i disperati


dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI


 
La "porta" di Lampedusa
LAMPEDUSA - Il primo scoglio che avvistano dai barconi è l'ultimo promontorio dell'isola, una punta di roccia che nasconde un grande bunker della seconda guerra. L'Italia finisce qui, dopo c'è solo il mare. Su questa sporgenza che guarda a sud hanno "piantato" qualcosa per ricordarli per sempre, uno per uno. Neri e bianchi, islamici e cattolici, vecchi e bambini. Tutti i morti delle traversate del Mediterraneo. E' una porta puntata verso l'Africa.


La contrada si chiama Cavallo Bianco, è attraversata da un sentiero polveroso che sale dal vecchio porto, scavalca una collina e si getta nel mare turchese. In bilico fra sassi e arbusti ecco la porta di Lampedusa, un monumento alla memoria dei migranti. E' alta quasi cinque metri e larga tre, disegnata e decorata da Mimmo Paladino, costruita con una speciale ceramica refrattaria in un laboratorio di Faenza e poi assemblata a Paduli.


E' partita su un camion il 21 giugno, caricata su un traghetto a Porto Empedocle, ieri l'altro è arrivata a Cavallo Bianco e sarà ufficialmente scoperta dopodomani, sabato 28 giugno. Al tramonto. Quando calerà il sole, una processione partirà dalle vie del paese per arrampicarsi sul promontorio e sfilerà in onore dei morti del mare. Così Lampedusa ha deciso di celebrare tutti quelli che non sono mai riusciti a sbarcare su queste coste, annegati a qualche miglia da Malta o a qualche miglia da Tripoli.


Sono quasi tremila le vittime negli ultimi vent'anni ripescate fra le onde del Canale di Sicilia, secondo i numeri dell'Osservatorio Fortress Europe. E altri cinquemila i dispersi. L'ultima strage neanche tre settimane fa, il 7 di giugno. In centoquaranta non ce l'hanno fatta. Tutti partiti con un peschereccio fradicio da Al Zuwarah, al confine fra la Tunisia e la Libia. La porta di Lampedusa è orientata in quella direzione, dove c'è il villaggio di Al Zuwarah.


"Siamo venuti qui la prima volta con la bussola in mano", racconta Gian Marco Elia, fotografo che insieme a Arnoldo Mosca Mondadori e l'associazione Amani - un'organizzazione non governativa a favore delle popolazioni africane - ha voluto "fare qualcosa" per ricordare i popoli del mare. Il progetto è nato dopo la scoperta del grande naufragio fantasma di Porto Palo, quello del Natale 1996. "Ci siamo accorti che in Sicilia non c'era nemmeno una lapide... così abbiamo pensato a Lampedusa", dice ancora il fotografo. Per Arnoldo Mosca Mondadori non ci sono stati dubbi sul luogo: "E' una cosa che andava fatta a Lampedusa... sono stati gli spiriti dei migranti a volerla".


La porta è un dono dal maestro Mimmo Paladino, una società turistica palermitana ha contribuito con 35 mila euro alle spese, il consiglio comunale dell'isola ha votato all'unanimità per portare quel simbolo sulla punta di Cavallo Bianco. Per una volta nessuna incertezza, tutti d'accordo. Il più deciso è stato il sindaco Bernardino De Rubeis: "Noi lampedusani abbiamo sempre cercato di fare la nostra parte e continueremo così, è impossibile vivere in questa isola e dimenticare cosa accade da una parte del mondo che è così vicina alla nostra".


Arrivano ogni giorno. A centinaia. Ogni estate di più. Ogni anno ventimila. Gli abitanti di Lampedusa sono 6270 compresi i 480 del piccolo comune di Linosa. E quasi millecinquecento sono i clandestini rinchiusi in un recinto in mezzo alle campagne dell'isola.


Il sindaco sarà alla testa alla processione di sabato. Con lui Lucio Dalla, Luca Carboni, Claudio Baglioni, Arnaldo Pomodoro, il sassofonista Sandro Cerino, l'imam di Agrigento, il cappellano del carcere minorile di Milano don Gino Rigoldi. Tutti con le loro torce a vento tra le mani, una fiaccolata che illuminerà il cielo di Lampedusa. Sull'isola è attesa una troupe di Al Jazeera che "immortalerà" il momento.


La porta è rivestita da una ceramica, cotta a mille gradi, che assorbe luce e riflette luce. Di notte, anche quella della luna. Sarà come un faro per la gente in mezzo al mare. La sua anima è in ferro zincato. L'idea di un'opera che diventa monumento non è mai piaciuta a Mimmo Paladino. Però lui dice: "L'artista non dovrebbe celebrare ma raccontare. Ho provato a spiegare qualcosa che avesse a che fare con un esodo forzato, qualcosa di comprensibile a tutti i popoli". E aggiunge: "Per questo ho voluto la porta il più lontano possibile dal centro abitato e il più vicino possibile all'acqua e quindi all'Africa".


Alla vigilia di questa speciale giornata di Lampedusa un segno è arrivato anche da Alda Merini. Ha spedito da Milano una sua poesia. Quasi un miracolo. La poetessa, mai venuta quaggiù, ha scelto la metafora di una tartaruga - proprio quelle che vengono a depositare le uova sulle spiaggia dell'Isola dei Conigli - per ricordare i morti del mare.


In questi anni i cadaveri recuperati fra le onde sono stati sepolti fra il vecchio e il nuovo cimitero. Una ventina di croci senza nome, fiori appassiti dalla calura, una tomba dietro l'altra. E anche una spianata di cemento al posto della lapide. Con una data: 7 giugno 2008. E una grande scritta scavata nel calcestruzzo: extracomunutaria. L'ultima donna africana trasportata dal mare fino alle rocce dell'isola. "A loro vorremmo dare il giusto riposo", spiega il sindaco De Rubeis. Sull'isola attendono qualche soldo dalla provincia di Agrigento e dalla regione. L'anno prossimo Lampedusa avrà anche un piccolo cimitero musulmano.


La poesia di Alda Merini


"Una volta sognai"


Una volta sognai
di essere una tartaruga gigante
con scheletro d'avorio
che trascinava bimbi e piccini e alghe
e rifiuti e fiori
e tutti si aggrappavano a me,
sulla mia scorza dura.


Ero una tartaruga che barcollava
sotto il peso dell'amore
molto lenta a capire
e svelta a benedire.


Così, figli miei,
una volta vi hanno buttato nell'acqua
e voi vi siete aggrappati al mio guscio
e io vi ho portati in salvo
perché questa testuggine marina
è la terra
che vi salva
dalla morte dell'acqua.


(26 giugno 2008)


http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/cronaca/sbarchi-immigrati-1/porta-immigrati/porta-immigrati.html


 



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