Il Partigiano Nero: la storia di Giorgio Marincola, Medaglia d'Oro della Resistenza
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Il Partigiano Nero:
la storia di Giorgio Marincola, Medaglia d'Oro della Resistenza 

Oggi voglio raccontarvi di Giorgio Marincola, il partigiano più sconosciuto della lotta di liberazione, quello di cui nessuno parla, quello che abbiamo dimenticato, come vogliono farci dimenticare i motivi di quella lotta, che oggi più che mai sono diventati attuali. 
Vi racconterò una storia reale, ma che sembra una favola.

Vi racconterò della bellissima vita e della splendida morte di un ragazzo che ha creduto e che non ha mai ceduto.

Il padre di Giorgio arriva a Mogadiscio da soldato, da conquistatore coloniale, da agente dell'impero italiano. L’aria è tesa. Esistono leggi che impediscono il mescolamento con gli autoctoni, considerati razza inferiore, ma lui si innamora - ricambiato - di una bellissima ragazza somala, la sig.ra Askhiro.

Convivono tra mille difficoltà: lei è emarginata dai somali in quanto considerata una collaborazionista, lui è costretto a far passare questa relazione per una cosa quasi oscena con i commilitoni, per non passare guai.

Nel frattempo nascono Giorgio ed Isabella. Loro si sposano con una cerimonia musulmana, per proteggere lei, e lui riconosce entrambi i bambini.

Alla fine deve tornare in patria.

La madre è costretta ad un addio struggente ai suoi figli, perché se rimanessero in Somalia le verrebbero sottratti e cresciuti in un orfanotrofio caserma gestito da suore, con un
altissimo tasso di mortalità, perché in quanto figli - ancorché "bastardi" - di un italiano non potrebbero essere cresciuti da una donna somala, "inferiore alla razza italiana", e decide quindi di rinunciare a loro sperando che abbiano una vita forse migliore con il loro padre italiano.

Il padre di Giorgio si risposa "regolarmente" con una donna italiana. La donna ottiene che Giorgio venga mandato a crescere con la famiglia del padre in Calabria e tiene la bambina per educarla come serva. 

Non riuscendovi, perché Isabella è sempre stata una donna orgogliosa e fortissima, niente è riuscita a piegarla: ha dato vita a una generazione di italiani neri che saranno l'orgoglio di questo paese.
Sangue somalo, non ce n'è di uguale sulla terra. Una donna meravigliosa, che mi ricorda Madre, ogni volta che la sento.
La bambina soffre molto, e il padre – pur amandoli a modo suo – delega tutto alla moglie ed è assente. Hanno altri figli e la piccola Isabella cresce come Cenerentola.

Il padre decide un giorno – visti gli ottimi risultati conseguiti a scuola in Calabria
da Giorgio - di riprenderlo con se a Roma, lo iscrive a scuola, dove il ragazzo si distingue per il profitto. È praticamente l’unico nero in una città di soli bianchi, e ciò lo sprona a fare di
più.

Eccelle sia nelle materie di studio sia in educazione fisica. Diventa un protetto di Pilo Albertelli, noto antifascista cattolico, che infiamma la sua giovane mente e lo forgia alla lotta e all’amore per la libertà e la patria. 

Giorgio si iscrive a Medicina dove da regolarmente gli esami, e sogna di diventare specialista in malattie tropicali e di tornare in Somalia. Da sua Madre.

Nell’ottobre del 1943 assiste impotente al rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma. Quella sera stessa chiede ad Albertelli di farlo entrare in azione. Albertelli lo accontenta
immediatamente, aggregandolo al gruppo partigiano della Zona Parioli.

Compie molte missioni. È un bel ragazzo, è innamorato di una giovane comunista che fa la staffetta per i partigiani.
Una storia d’amore complicata dalla differenza di razza, in un paese che lo vede letteralmente come un alieno. Ma la storia continua. Fino a via Rasella. Lei viene catturata. Viene uccisa - alle Fosse Ardeatine - con centinaia di altri, tra cui Pilo Albertelli che è stato per
Giorgio il padre che non ha avuto nell’infanzia.

In un solo colpo muoiono due tra le persone più importanti per lui.

A questo punto qualcosa dentro di lui si trasforma. È diventato anche un fatto personale, oltreché politico.

Parte per un campo d’addestramento alleato, a Fasano, dove conosce altri che faranno - nel bene e nel male - la storia del paese.

Ha un rapporto molto conflittuale con Edgardo Sogno, che non riesce a farsi andare giù che quel ragazzo “mulatto” (come lo definirà nei suoi libri, senza mai citare il suo nome,
perché era "solo un mulatto") sia un così valido elemento.

Ad agosto, insieme a Sogno e agli altri viene paracadutato nel biellese.

Compie svariate operazioni di sabotaggio, la distruzione di un ponte della ferrovia, alcuni blitz per liberare ostaggi e prigionieri. Viene ferito più volte.

Il suo nome diventa leggenda, lo guardano ormai tutti con rispetto e diventa il ricercato numero uno. La sua stessa esistenza è un insulto per il Terzo Reich. Il comandante SS del distretto di Biella l'ha messo al primo posto della lista dei ricercati, ma nessuno lo ''vende'' perché è ormai uno dei simboli della Resistenza.

Il 7 di gennaio del 1945 viene catturato dopo un terribile scontro a fuoco. I suoi compagni tentano disperatamente di liberarlo, ma per i tedeschi è importante usarlo contro la Resistenza. E quindi viene trasferito in segreto a Torino dove viene torturato, al fine di spezzarlo.

Gli viene proposto di fare un'intervista a Radio Baiva, una radio fascista torinese. In cambio
smetteranno di torturarlo.

Lui accetta. Viene lasciato a terra, malconcio e sanguinante, e i tedeschi ridono: pensano di averlo piegato.

Il mattino successivo lo portano alla radio.

Gli chiedono come mai si sia messo a combattere coi "terroristi". Lui dovrebbe rispondere con un'abiura, condita di calunnie e accuse nei confronti dei partigiani, invece disobbedisce:
"Sento la patria - dichiara - come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica. La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i Popoli del Mondo. Per questo combatto gli oppressori''

Radio Londra riporterà l'intervista, interrotta dal rumore di botte e sedie ribaltate.

Nella sede del comando della Gestapo, il comandante prende il telefono e ordina il suo immediato
trasferimento al Lager di Bolzano. Ordina di non farlo morire facilmente, ma di farlo soffrire.

Durante la prigionia, pur soffrendo moltissimo, diventa un punto di riferimento per tutti.

Il 30 aprile del 1945 il campo viene liberato dagli alleati, che offrono a tutti la possibilità di rifugiarsi in Svizzera. Giorgio rifiuta.
Rimangono ancora lembi della patria occupati dai nazisti e decide quindi di unirsi ai partigiani in Val di Fiemme.

Verrà ucciso il 4 maggio 1945, mentre sta effettuando un controllo su un camion di nazisti che esibisce la bandiera bianca. Vedono un partigiano nero e questo è troppo. Lo uccidono. 10 giorni dopo la liberazione.

Lui muore. Aveva 22 anni. Ed era bellissimo. Ed è Nero.

Ed è Medaglia d’Oro della Resistenza, con queste motivazioni: "Giovane studente universitario, subito dopo l'armistizio partecipava alla lotta di liberazione, molto distinguendosi
nelle formazioni clandestine romane, per decisione e per capacità.
Desideroso di continuare la lotta entrava a far parte di una missione militare e nell'agosto 1944 veniva paracadutato nel Biellese. Rendeva preziosi servizi nel campo organizzativo ed in quello informativo ed in numerosi scontri a fuoco dimostrava ferma decisione e leggendario
coraggio, riportando ferite. Caduto in mani nemiche e costretto a parlare per propaganda alla radio, per quanto dovesse aspettarsi rappresaglie estreme, con fermo cuore coglieva occasione per esaltare la fedeltà al legittimo governo. Dopo dura prigionia, liberato da una missione
alleata, rifiutava porsi in salvo attraverso la Svizzera e preferiva impugnare le armi insieme ai partigiani trentini. Cadeva da prode in uno scontro con le SS germaniche quando la lotta per la libertà era ormai vittoriosamente conclusa"


Dacia Valent

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