Anche questo, temiamo, potrebbe apparire incredibile. Eppure fu compiuto veramente il tentativo di impedire agli avvocati di entrare nel Centro di permanenza temporanea di Caltanissetta per parlare coi loro clienti. Ricorda la senatrice Tana De Zulueta: "Telefonai al prefetto e gli feci notare che in quel modo l'Italia si esponeva al rischio di una sanzione per violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Dopo un quarto d'ora gli avvocati finalmente ebbero il permesso di entrare. Era stato, si scusarono i responsabili del Centro, uno spiacevole equivoco".
Qualche giorno dopo, i trentacinque naufraghi della Cap Anamur furono espulsi e caricati sulla forza su alcuni aerei. Sylvester si ritrovò ad Accra.
Evidentemente, quanto all'individuazione della nazionalità, le autorità consolari e la polizia di frontiera del Ghana applicano criteri diversi. Infatti, Sylvester, che in Italia era stato dichiarato ghanese dal console del Ghana, all'aeroporto di Accra non fu riconosciuto come tale dalle guardie di frontiera ghanesi. Sì, può sembrare uno scioglilingua, ma è una tragedia. Per un attimo la polizia ghanese pensò di rispedirlo in Italia. Ma come, visto che l'Italia l'aveva appena mandato via? Fu così che Sylvester - precipitato nel limbo dei senza patria grazie all'incontro tra la burocrazia mediterranea e quella africana - fu lasciato libero. Che si arrangiasse, insomma, e andasse dove gli pareva.
In tasca non aveva né un documento valido né un soldo. Ma aveva un oggetto prezioso, un telefonino, che un giornalista gli aveva fatto avere di nascosto mentre si trovava recluso nel Centro di Caltanissetta. Quel cellulare era il suo unico contatto col mondo.
Il giornalista, senza grandi speranze, il giorno dopo la partenza dell'aereo per Accra compose il numero del cellulare. In quel momento Sylvester era appena uscito dall'aeroporto di Accra e, a piedi, vagava alla ricerca di un passaggio per arrivare a Kumasi, una città del Ghana dove era transitato durante la fuga verso l'Europa e sperava di trovare qualcuno che gli desse un posto per dormire e qualcosa da mangiare. Lo squillo del cellulare gli parve un sogno. Rispose subito e raccontò con la voce rotta dal pianto quel che gli era capitato. Capì che non era rimasto solo.
Cominciò un rapporto che non si è mai spezzato e che è anche la ragione per cui di Sylvester, unico tra i trentacinque espulsi della Cap Anamur, non si sono perse le tracce.
E' una forma un po' speciale di adozione a distanza. Neanche tanto speciale, a pensarci bene, visto che Sylvester da bambino è rimasto orfano di madre e del padre da anni non ha alcuna notizia. Dall'Italia non solo gli è arrivato un aiuto economico ma anche un appoggio per proseguire la battaglia legale per il riconoscimento del diritto d'asilo. A settembre è riuscito finalmente ad avere dalla Sierra Leone un passaporto e un certificato di nascita. Le prove, credeva definitive, che il console ghanese, l'esperto in riconoscimenti 'a vista', aveva preso un abbaglio. Ha fotocopiato i documenti e li ha inviati al suo avvocato italiano che li ha portato fino all'ufficio del giudice.
Ma c'era un errore. Uno di quelli che si chiamano "errori materiali". Sul passaporto i funzionari della Sierra Leone avevano sbagliato il nome di famiglia. Anziché Weah, cognome paterno dichiarato in Italia, c'era scritto il cognome del nonno, Seth. Tutti gli altri dati corrispondevano perfettamente. Era appunto un errore materiale, evidente, uno di quegli errori che una volta rilevati vengono semplicemente corretti.
Almeno quando colpiscono i diritti di un cittadino italiano. Nel caso di Sylvester è bastato perché il ricorso venisse respinto e l'espulsione confermata.
Gli è rimasta la speranza, cioè quel cellulare che continua a funzionare. L'ultima telefonata è di pochi giorni fa. Sylvester sta seguendo un corso di informatica e non ha perso la speranza di raggiungere l'Europa. Sta anche studiando una lingua. Il tedesco.
(La storia di Sylvester Weah ci è stata raccontata da Karl Hoffmann).
(4 maggio 2005)
http://www.repubblica.it/indici/rubriche/glialtrinoi/glialtrinoi.htm