Per fermare i trafficanti di vite umane
di PAOLO BENI FILIPPO MIRAGLIA
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Da L’Unità del 25/01/05, pag. 23


Per fermare i trafficanti di vite umane


PAOLO BENI FILIPPO MIRAGLIA


La notizia dell'arresto di alcuni trafficanti di clandestini, ordinato dalla magistratura di Catanzaro, ha avuto molto rilievo sulla stampa e il governo l'ha utilizzato per confermare di fronte all'opinione pubblica il proprio impegno nella lotta all'immigrazione clandestina. Ma sono stati taciuti o trascurati alcuni elementi che vale la pena ricordare.


La legislazione vigente oggi in Italia non consente nei fatti ad alcuno straniero un ingresso legale.


Il meccanismo per entrare legalmente nel nostro paese continua ad essere quello dell'incontro a distanza (il collocamento internazionale) tra domanda e offerta di lavoro, attraverso la chiamata diretta nominativa. Un meccanismo che, unito all'esiguità dei numeri che vengono messi a disposizione ogni anno per nuovi ingressi, favorisce oggettivamente l'immigrazione clandestina. Quale datore di lavoro infatti assumerebbe ad occhi chiusi qualcuno che non ha mai visto, caricandosi costi e rischi del suo ingresso in Italia?


In questo senso anche gli 11 mila nuovi ingressi per lavori non stagionali previsti con i decreti flussi 2003 e 2004, (dopo una sanatoria che nel 2002 aveva fatto emergere più di 700 mila rapporti di lavoro non in regola), sono la dimostrazione di come il fenomeno è al di fuori di ogni controllo governativo e che tra l'immigrazione reale e la sua rappresentazione farsesca operata dal governo c'è una sproporzione stridente, rilevata anche dalle organizzazioni padronali.


Intanto il governo ha pensato bene di aumentare il numero dei centri di detenzione e gli interventi di repressione e persecuzione degli stranieri (giovedì scorso abbiamo depositato, assieme ad altre ong, un esposto al Presidente della Commissione Europea Barroso per le espulsioni collettive effettuate nell'ottobre 2004 e che sono continuate anche nei giorni scorsi).


Questa politica produce solo aumento di clandestinità, con tutto il carico di ingiustizie e di morte che si porta dietro. In questi giorni si è riaperto a Siracusa il processo per la morte di 283 migranti nel Natale del 1996 e il padre di una delle vittime - un imam pakistano incaricato dalle famiglie delle vittime di tutelare gli interessi dei propri figli - ha denunciato la connivenza di molte istituzioni pubbliche nei paesi di provenienza e di transito dei clandestini, spiegando come questi ragazzi, in cerca di lavoro, si affidino all'unico canale di ingresso possibile, con costi altissimi.


Aumentare la spesa per il contrasto all'immigrazione clandestina con azioni di repressione non servirà a niente, se non si apriranno contemporaneamente canali d'ingresso legali.


L'ossessione del controllo e dell'espulsione, oltre ad aver quadruplicato la spesa pubblica (dal 2002 al 2003 siamo passati da 65 a 164 milioni di euro per le cosiddette politiche di contrasto all'immigrazione clandestina, con una drastica diminuzione delle politiche di sostegno all'immigrazione che passano da 63 a 38 milioni di euro nello stesso periodo) ha parallelamente aumentato i profitti dei trafficanti e diminuito le garanzie per gli stranieri, in contrasto con la nostra Costituzione e la normativa internazionale a tutela dei diritti umani.


In questa situazione, sarebbe utile e importante che l'opposizione democratica di questo paese mettesse in campo, a partire dalla discussione sul programma della GAD, una cultura politica alternativa, che faccia ricorso ad un diverso linguaggio, che indichi nella necessità di introdurre canali legali di ingresso, nella cancellazione della Bossi Fini e di ogni forma di persecuzione e discriminazione degli stranieri (a partire dalla chiusura dei CPT), la strada principale per combattere la clandestinità e il razzismo.


Paolo Beni è presidente nazionale Arci; Filippo Miraglia è responsabile immigrazione Arci



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