Gli stranieri? Scomparsi
Strangers in the school
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di Adriana Querzè



Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione nella seduta del 17 dicembre scorso ha approvato all’unanimità una pronuncia sullo schema di decreto relativo alla scuola dell’infanzia e al ciclo primario e sulle allegate indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati.
Si tratta di un parere fortemente critico sulle questioni di merito e di metodo che sostiene, fra l’altro, la tesi della illegittimità delle indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati. Infatti, come precisato dalla pronuncia, non è stato emanato il regolamento in materia di curricoli previsto dal D.P.R. 275/1999, e la stessa legge di riforma n° 53 /2003 non contempla l’attuazione delle indicazioni nazionali in via transitoria come, al contrario, è previsto dallo schema di decreto.
Un aspetto interessante, nell’ambito della lucida analisi condotta dal C.N.P.I., è il ricorrere dell’idea che le parole contenute nelle indicazioni nazionali e spesso tratte da documenti programmatici precedenti siano utilizzate con significati e scopi diversi. Alcune citazioni tratte dalla pronuncia.
“Nelle indicazioni relative alla scuola dell’infanzia appare evidente un’opera generalizzata di cattura, uso e trasformazione delle espressioni più caratteristiche degli Orientamenti del ’91, ed una loro piegatura ad una logica che sembra però assai diversa rispetto a quella che viene annunciata di continuo lungo le pagine dei vari documenti”.
“Né convince la scelta di mantenere ferme solo alcune affermazioni di principio già presenti nei Programmi del ’79 (scuola che colloca nel mondo, scuola orientativa) e di cassarne altre (scuola della formazione dell’uomo e del cittadino, scuola secondaria nell’ambito dell’istruzione obbligatoria) esplicitamente riferite al testo costituzionale sostituendole con affermazioni solo apparentemente più vicine ai problemi di questa fascia d’età e alle richieste della società o di una parte di essa”.
In effetti il disinvolto utilizzo delle parole, la loro cancellazione e la facile decontestualizzazione rappresentano un tratto caratteristico dello stile letterario degli estensori dello schema di decreto e delle allegate indicazioni nazionali .
In particolare per quanto riguarda il grande tema del fare scuola in classi “colorate”, diciture quali “educazione interculturale”, “intercultura” o simili semplicemente non compaiono. Le indicazioni propongono una non equivalente educazione alla “convivenza civile”. Di che cosa si tratta?
La convivenza civile si realizza “utilizzando conoscenze ed esercitando abilità proprie delle varie discipline”; essa inoltre è un “mosaico” costituito dalle ulteriori attività educative e didattiche comprese nelle educazioni alla cittadinanza, stradale, ambientale, alla salute, alimentare e all’affettività.
Ora sappiamo che la tensione formativa della “nuova scuola” verso le future generazioni che vivranno in una società multietnica, meticcia e globalizzata è orientata alla convivenza civile: un po’ di buona creanza da parte di tutti per evitare subbugli, scene sconvenienti o sinistre rivendicazioni. E poi poco importa che per la scuola primaria l’educazione
alla cittadinanza culmini con lo studio delle “espressioni dell’identità nazionale” o che l’educazione alimentare preveda l’esclusiva analisi della “tradizione culinaria locale”: gli alunni stranieri sono invisibili e tali debbono rimanere.
D’altra parte la linea dell’invisibilità è stata sostenuta dal M.I.U.R. anche durante la Conferenza Stato-Regioni che il 10 dicembre scorso ha espresso il parere sullo schema di decreto. L’Associazione Nazionale Comuni Italiani ha proposto in quella sede, fra gli altri, un emendamento all’art.5 relativo alle finalità della scuola primaria e teso alla valorizzazione delle diversità individuali così formulato: la scuola primaria promuove lo
sviluppo della personalità “accogliendo e valorizzando le diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle disabilità, dalle provenienze culturali e geografiche e dalle situazioni di disagio sociale”.
L’ultima parte dell’emendamento relativa alle provenienze culturali e geografiche e alle situazioni di disagio sociale non è stata accolta e non comparirà nel decreto. Dell’educazione interculturale si sono perse le tracce ma, essendo scomparsi anche gli stranieri, che problema c’è?

Punto e a capo.

La scuola italiana , dalla fine degli anni ottanta, ha assunto con molta fatica e non poche contraddizioni, una prospettiva interculturale nel rapporto con gli alunni stranieri.
Le circolari ministeriali n° 301 e 205 rispettivamente del 1989 e del 1990 focalizzarono l’attenzione sul fenomeno migratorio e, richiamando la normativa già esistente,  introdussero elementi di flessibilità organizzativa e di differenziazione dei percorsi didattici sostenendo la necessità di elaborare percorsi formativi mirati.
Chiarirono in modo inequivocabile le modalità di inserimento nelle classi degli alunni stranieri e il riconoscimento dei titoli di studio; valorizzarono l’insegnamento della lingua e della cultura dei Paesi d’origine; introdussero i principi generali dell’educazione interculturale come intervento che tende “anche in assenza di alunni stranieri e nella trattazione delle varie discipline, a prevenire il formarsi di stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e culture ed a superare ogni forma di visione etnocentrica, realizzando un’azione educativa che sostanzia i diritti umani attraverso la comprensione e la cooperazione tra i popoli nella comune aspirazione allo sviluppo ed alla pace”.
I programmi della scuola elementare del 1985 e gli Orientamenti per la scuola dell’infanzia del 1991 contengono altri spunti interessanti per quanto concerne la diversità come valore e il diritto dei bambini al rispetto e alla valorizzazione della loro identità culturale,
religiosa,etnica, linguistica.
Durante gli Stati Generali del dicembre 2001 il Ministro Moratti affermò che la riforma della scuola che stava approntando avrebbe rappresentato un “punto e a capo” rispetto al passato.
Per i temi dell’educazione interculturale e dei percorsi scolastici degli alunni stranieri , mai affermazione risultò più veritiera.
La Legge delega n°53 del 2003 sulla definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, si colloca in un’area culturale di profonda cesura rispetto alle scelte istituzionali compiute precedentemente dalla scuola in tema di educazione interculturale.
Un comma, in particolare, sottolinea la svolta politica e culturale introdotta dai sette articoli di cui è costituita la legge: si tratta del punto b. del comma 1 dell’articolo 2, che delinea i criteri a cui dovrà ispirarsi il sistema educativo di istruzione e formazione e che recita: “sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale e alla civiltà europea”.
Questa esplicita ed esclusiva affermazione della centralità nazionale ed europea mal si coniuga sia con la dimensione mondiale che ogni questione educativa, culturale, sociale, economica ha assunto, che con la evidente presenza nelle scuole di soggetti che non necessariamente debbono e possono sviluppare la coscienza storica e di appartenenza alla civiltà europea.
La suddetta cesura rispetto alle scelte istituzionali compiute dalla scuola in tema di educazione interculturale trova quindi forma da un lato nel ridimensionamento di campo culturale di cui si è detto e, dall’altro, dalla generale impostazione della legge che si fonda su un concetto restrittivo, asociale e isolante di personalizzazione.

L’abrogazione del tempo pieno e della compresenza sia alla scuola elementare che alla scuola dell’infanzia, i tagli sul personale e sulle risorse finanziarie, il generale clima culturale che prefigura una scuola in cui ciascuno “corre da solo” sono la realizzazione di quel “punto e a capo” annunciato pomposamente.
Ora ci si chiede : potranno i gruppi di insegnanti e i collegi dei docenti alimentare le competenze faticosamente acquisite sul campo, riusciranno a rafforzare le identità delle scuole che nel tempo hanno saputo configurarsi come effettivi luoghi di incontro, di conoscenza, di scambio ; e ancora come potrà la scuola nel suo insieme garantire il successo formativo a tutti i bambini e le bambine che la frequentano, includendo in quel tutti anche i bambini migranti che ormai affollano le nostre classi?
Un grazie di cuore, Ministro Moratti, dai 250.000 alunni stranieri delle scuole italiane.


Adriana Querzè


10.01.2004


Fonte: http://www.proteofaresapere.it/rubriche/querze/default.asp



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