Conosco bambini che vengono a scuola volentieri - La parola ''accoglienza'' sembra aver sostituito ''tolleranza''
I bambini stranieri continuano però, troppo spesso, ad essere considerati un problema da gestire
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Conosco bambini che vengono a scuola volentieri


Pubblicato da webmaster, il 14-06-04 11:18


di Giovanna Alborghetti

Fotografia: un bambino alla finestra.La parola "accoglienza" sembra aver sostituito "tolleranza" anche nelle conversazioni quotidiane che si fanno a scuola e questo è già un passo avanti, se consideriamo il linguaggio un´avanguardia del pensiero e la forma una prima definizione di contenuti.
I bambini stranieri continuano però, troppo spesso, ad essere considerati un problema da gestire anche se poi, tutti accettano la teoria delle differenze come risorse.


Cercare di fare il punto della situazione o informare sul panorama dell´accoglienza ai minori stranieri nella scuola dell´obbligo non è facile, soprattutto perché esistono situazioni diametralmente opposte che convivono anche all´interno dello stesso istituto o plesso scolastico.


Accogliere qualcuno vuol dire anche avere desiderio di conoscerlo, non dare per scontato che si sappia già di lui o di lei ciò che basta per inserirlo/a in una classe, senza troppi scossoni per gli altri. Accogliere qualcuno significa anche accettare di guardare i propri pregiudizi, i propri stereotipi, le proprie paure, le proprie ignoranze; significa non sentirsi immuni da errori, non sentirsi già abbastanza esperti, già sufficientemente competenti. Significa anche riconoscere i propri limiti, accettare i propri sentimenti negativi, il fastidio, il disagio, la rabbia. Significa, per usare una frase banale, mettersi in gioco e ridefinire continuamente i propri contesti di riferimento, i propri punti di vista, i propri assunti culturali, la propria scala di valori e di priorità.


Non è ancora chiaro a tutti, per esempio, che alfabetizzare un bambino o un adolescente che non conosce l´italiano, ma che è perfettamente alfabetizzato nella sua lingua madre, non è la stessa cosa che insegnare a leggere e a scrivere ai bambini di prima elementare, così come non conoscere l´italiano non significa non avere alcuna formazione di base.


Accade ancora, invece e non raramente, che per insegnare l´italiano ad alunni stranieri vengano utilizzati testi di prima elementare o docenti di scuola elementare, gli unici, per pregiudizio, competenti nell´insegnamento della letto-scrittura.


Accade ancora, spesso, che alunni stranieri vengano iscritti in classi inferiori a quella a cui avrebbero diritto per età, con la motivazione che non conoscendo l´italiano non sono in grado di seguire le lezioni di matematica o geografia.


Accade ancora, molto spesso, che alunni stranieri vengano inseriti in piccoli gruppi "di recupero" di cui fanno parte, oltre a loro, bambini con handicap o con difficoltà di apprendimento e che, ovviamente, tali gruppi siano affidati agli insegnanti di sostegno.


E ancora, accade, purtroppo, che bambini stranieri che non hanno raggiunto gli obiettivi minimi, programmati per alunni italiani da docenti non competenti nell´alfabetizzazione in italiano lingua seconda, vengano bocciati, anche se sono stati inseriti ad anno scolastico ampiamente iniziato.


Bisognerebbe, allora, ripartire dalle competenze dei docenti e dei dirigenti e dall´investimento in tempi e risorse economiche che sull´acquisizione di queste viene fatto.
Dal 1991, circa, è cominciata, nella scuola elementare italiana, una campagna di arruolamento e formazione in servizio di docenti competenti nell´insegnamento della seconda lingua, quasi sempre l´inglese, ai bambini dalla terza alla quinta classe. Sono stati garantiti distacchi per l´intero orario ai docenti specializzati che insegnano la seconda lingua su più classi dello stesso plesso, per due ore settimanali ed è stato aumentato a 30 ore l´orario complessivo delle classi che usufruiscono di questo insegnamento.


Sono stati istituiti numerosissimi corsi di specializzazione, quasi sempre di 500 ore, per docenti di scuola elementare che volessero apprendere e poi insegnare una lingua straniera. E´ stato introdotto nei concorsi a cattedra per i maestri l´esame di lingua straniera, che garantisce precedenza nella graduatoria e sono stati coinvolti per anni i genitori nel dibattito sulla scelta della seconda lingua. Lo stato si è impegnato a fondo per garantire a tutti gli alunni della scuola elementare della Repubblica una formazione linguistica che consentisse loro di sentirsi pari ai compagni delle altre nazioni europee.


Non entro nel merito di questo argomento, se non per ricordare che nessun investimento di pari livello è stato fatto per accogliere i minori stranieri.


Le iniziative (per altro in molti casi lodevoli e di buon livello qualitativo) che hanno costruito percorsi formativi idonei a far acquisire competenze minime a docenti, molto spesso totalmente sguarniti dal punto di vista delle conoscenze relative all´insegnamento dell´italiano lingua seconda, ma anche delle necessarie conoscenze antropologiche di culture altre, delle indispensabili conoscenze di psicologia dell´età evolutiva e di pedagogia dell´educazione, sono state, quasi sempre, frutto degli sforzi e dell´impegno di singole scuole o, più raramente, di singoli Provveditorati.


L´autonomia avrebbe dovuto consentire, anche alla scuola dell´obbligo, una ridefinizione dell´orario in percorsi tematici, a cui potrebbero partecipare alunni di classi diverse, che permetterebbe una fluidificazione degli interventi educativi non più irrigiditi negli schemi dei blocchi orari, ostacolo reale e concreto per la scuola elementare, ma ancor più per la scuola media.


In realtà, l´accoglienza ai bambini stranieri a scuola è ancora estremamente artigianale, episodica e affidata alla sensibilità e alla buona volontà dei singoli docenti e dirigenti scolastici, come se non fosse possibile uscire dalla fase dell´emergenza e dell´urgenza. Non esistono progetti a livello nazionale che considerino la presenza dei bambini stranieri una realtà ormai parte del contesto educativo più generale, dalla scuola dell´infanzia all´università.


Dicevo prima, che è necessario ripartire dalle competenze, ma parallelamente è indispensabile ripensare le azioni e i progetti in un´ottica che tiene conto di ciò che Paulo Freire sosteneva già vent´anni fa e cioè che integrarsi in una realtà nuova non significa adattarvisi, ma entrarci dentro potendola modificare.


La presenza di alunni stranieri dovrebbe allora consentire una modificazione delle realtà scolastiche, ma non limitatamente alle importanti iniziative di singole scuole a cui prima accennavo, ma estesamente e a livello nazionale. Sarebbe necessario rivedere i programmi, ripensare gli spazi e i tempi, connettere i percorsi formativi dei diversi ordini di scuola, dotare le università di specifici spazi e strumenti per la formazione in servizio dei docenti, ma anche per l´alfabetizzazione degli studenti universitari, per la raccolta dei dati, per la messa in rete di archivi di materiali consultabili.


Naturalmente, iniziative come queste comportano scelte precise a livello ministeriale, comportano la volontà di considerare finita l´emergenza e di progettare interventi continuativi e specifici con investimenti in termini di risorse, umane ed economiche, che rendano possibile, per esempio, la creazione, in tutte le scuole dell´obbligo, di laboratori di alfabetizazzione a più livelli per gli alunni non italofoni gestiti da insegnanti formati e competenti con il riconoscimento di distacchi orari in base alle effettive esigenze di ogni realtà scolastica. Tutto ciò potrà forse accadere quando impareremo ad accogliere le differenze come parte necessaria della complessità e a riconoscere che lo sguardo che diamo all´altro torna indietro e ci dice qualcosa di nuovo su noi stessi.


di Giovanna Alborghetti

 



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