Per contare e non essere contati - Bisognerebbe essere capaci di sentire i bisogni di noi stessi e di tutti gli altri.
E’ da questo sentire comune,da questo com-patire cioè “portare insieme”che possono gettarsi le basi di quello che potrebbe essere il motore della trasformazione del nostro vivere in una prospettiva interculturale.
Arturo Ghinelli
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Per contare e non essere contati


 


« Modenese albanese » c’era scritto sul muro all’altezza del n°47 di Via Emilia Levante,dove l’altra sera è stato insultato e picchiato Alauddin Khan,immigrato regolare che lavora all’aeroporto di  Bologna. Guardando ai numeri e non alla rima gli ultras del Bologna,avrebbero dovuto scrivere “Modenese marocchino”, visto che la comunità più numerosa tra gli immigrati nella nostra provincia è appunto quella proveniente dal Marocco.


 


E marocchino è l’assassino del regista olandese Theo Van Gogh,reo di aver girato un documentario di 11 minuti di denuncia della condizione della donna in nome della religione islamica. I giornali hanno scritto che questo omicidio ha infranto il sogno olandese di una società multiculturale,che perciò non sarebbe proponibile in Italia.


 


Come prime reazioni all’omicidio sono state incendiate due scuole islamiche.Pertanto ho capito che nel sistema olandese ogni gruppo confessionale ha diritto alla sua scuola,alle sue istituzioni,ma lo spirito d’integrazione è lasciato alla buona volontà dei singoli. La società multiculturale non è un sogno è già la realtà, anche in Italia,nelle scuole modenesi sono presenti ben 111 nazionalità diverse.Il sogno deve essere la società interculturale.Non una società in cui se tutto va bene io ti tollero,cioè ti sopporto,ma una società in cui si parte dal riconoscimento delle reciproche diversità per integrarle e superarle,in modo che i nostri figli possano prendere il meglio da entrambe le culture.Infatti una società interculturale va costruita, non è un dato di fatto.Non basta essere vicini di casa o compagni di lavoro per capirsi,bisogna crescere insieme, educarsi alla convivenza.Per questo bisogna salvare la scuola pubblica,l’unico luogo in cui i nostri figli non si accontentano di essere compagni di banco,ma vogliono diventare amici per giocare insieme. Anche questa faccenda del festeggiare il Natale a scuola va affrontata in modo diverso. Il Natale dilaga ovunque,sarebbe assurdo pensare che si possa fermare sulla soglia della scuola.Altrettanto certamente un maggiore rispetto da parte degli adulti per la dignità dei bambini non guasterebbe.Invece che avere tanta paura dei simboli da arrivare a proibire le feste,è meglio approfittare di avere in classe il mondo e utilizzare davvero la diversità come risorsa e non come problema,valorizzando le feste di ogni religione,di ogni paese,di ogni nuovo compagno. Noi dobbiamo aiutarli a farlo per il  bene dei bambini e per il nostro bene.Del resto se la scuola pubblica esiste ancora è anche merito dei figli degli immigrati.Infatti mentre nel Mezzogiorno d’Italia negli ultimi sei anni si sono perse 9 mila classi e si prevede di perderne altre 25mila entro il 2015.Grazie agli alunni stranieri sono aumentate le classi al Nord, dal 1998/99 si sono fatte 782 classi in più alle elementari e 802 alle medie. E  previsioni attendibili ci dicono che,nei prossimi dieci anni,nel Nord di’Italia le classi in più saranno tra le 6 e le 8 mila.Non deve più succedere che li chiudiamo nel ghetto delle Ceccherelli.Certo costa fatica,non basta la buona volontà.Non deve più succedere che facciamo le manifestazioni per gli stranieri,ma con gli stranieri.Sono qui in carne ed ossa hanno il problema della casa,della sanità,della scuola,del permesso di soggiorno.Non servono grandi proclami,serve che ci convinciamo a condurre una battaglia per cercare di risolvere i problemi di tutti i giorni.Vivono in una condizione di “apartheid”,che è qualcosa di molto diverso dal razzismo.Questo non ci esime dal  diventare severi e intransigenti verso ogni forma più o meno velata di razzismo o di intolleranza.Anche perché noi modenesi siamo diventati famosi con la prima indagine sul nostro atteggiamento nei riguardi degli stranieri,significativamente intitolata “Premesso che non sono razzista”.Per questo non devo più leggere,come mi è capitato l’altro giorno sulla Gazzetta di Modena:”Italiano ruba bici a immigrato.Un tentato furto di bicicletta che diventa notizia anche perché - siccome spesso succede il contrario-la vittima è un immigrato marocchino.Insomma un po’ come il cane morso da un uomo,piuttosto che il contrario.E’ successo l’altra sera in Via Ciro Menotti dove l’immigrato,regolare,aveva lasciato la sua bicicletta nella rastrelliera sotto casa. L’immigrato sentendo il rumore della catena s’è affacciato alla finestra,s’è precipitato in strada ed ha inseguito il ladro. A dargli man forte sono scesi anche gli altri inquilini del palazzo,quasi tutti modenesi. Così nel giro di poche decine di metri il ladro di biciclette è stato bloccato.Si tratta di un 31enne modenese che è stato denunciato a piede libero”.


Se fosse ancora vivo De Sica non si lascerebbe sfuggire l’occasione di fare il remake del suo”Ladri di biciclette”.


 


L’immagine negativa dello straniero è dura a morire,come dimostra una recente indagine in Svizzera sulla seconda generazione degli immigrati italiani,che pur essendo stati sostituiti in fondo alla graduatoria dagli slavi ultimi arrivati,sono ancora giudicati negativamente dagli svizzeri,pur ottenendo oggi ottimi risultati a scuola.


L’immagine negativa perseguita l’immigrato più delle leggi e continua a farlo anche quando quest’ultimo,a costo di duri sacrifici,è riuscito a migliorare le sue condizioni di vita e ha cercato di integrarsi in tutti i modi,appunto come gli italiani emigrati in Svizzera.Per questo è necessaria un’educazione antirazzista senza se e senza ma.Invece sono convinto che se oggi si facesse una nuova indagine(a proposito perché nessuno la fa?)bisognerebbe intitolarla “Io non sarei razzista,ma…”


 


Certo costa fatica e non basta la buona volontà. Finché perderemo tempo a capire se è meglio dire ”migranti” o “immigrati” perderemo molte occasioni, come la battaglia per il diritto di voto.


Bisognerebbe essere capaci di sentire i bisogni di noi stessi e di tutti gli altri. E’ da questo sentire comune,da questo com-patire cioè “portare insieme”che possono gettarsi le basi di quello che potrebbe essere il motore della trasformazione del nostro vivere in una prospettiva interculturale.


 


Arturo Ghinelli

Arturo Ghinelli  email: arturo.ghinelli@virgilio.it  

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