Xinjiang, il paese del melograno sulla via della seta, ovvero la Cina senza i cinesi
Quest ’ estate sono tornato per la seconda volta in Cina,dopo sei anni dal primo viaggio,e ho toccato con mano,meglio ho visto con i miei occhi,perché il suo PIL è aumentato dell’8% nell’ultimo anno. Milioni di persone che lavorano instancabilmente notte e giorno con la speranza di un domani migliore e la certezza che …"il nostro governo sta studiando come risolvere questo problema". L’entusiasmo con cui i genitori accettano che il turista fotografi i propri figli. La tenacia nel ricostruire la strada interrotta dall’alluvione e l’orgoglio nel tinteggiare di fresco la Città Proibita in vista delle Olimpiadi del 2008.
Ma la sorpresa maggiore di questo viaggio è stata la scoperta dello Xinjiang,la provincia autonoma degli Uygur,il centro dell’Asia,dove si incontrano e convivono etnie e nazionalità disparate e per noi europei assolutamente sconosciute. Mongoli,kazakhi,tagiki,uzbechi si ritrovano tutte le domeniche al mercato di Kashgar,parlano lingue diverse, hanno religioni diverse eppure convivono e fanno fronte comune contro l’etnia dominante: i cinesi o per meglio dire i temibili Han,che bevono alcool e non credono in nessun Dio. Non per niente il simbolo dello Xinjiang è il melograno: il dolce frutto che racchiude dentro di sé tanti semi diversi.
La leggenda vuole che dal matrimonio della Dea Terra con il lupo siano nati sette figli diversi,ma fratelli: kyrighisi, uzbechi, tatari, tagiki, mongoli, kazakhi e uygur.
Le scritte sono tutte doppie in cinese e in arabo, qualcuna anche in uygur.
Un paese multiculturale come tanti altri o una società interculturale da portare ad esempio per chi non ha ancora capito che siamo tutti meticci? Non so rispondere con certezza,venti giorni non bastano per capire la complessità di un paese. Certo l’impressione è stata buona,pare proprio che ce la mettano tutta per convivere in pace. A fianco delle moschee sorgono le pagode buddiste e le grotte dai mille Budda, dopo essere stata deturpate dai primi missionari islamici,oggi vengono offerte con orgoglio al visitatore occidentale come pietre di una storia comune,anche se corrose dal tempo e dall’integralismo.
Arturo Ghinelli
altre immagini: http://www.mexicanpictures.com/archives/travel/xinjiang/
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