La direttiva Bolkestein propone l’obiettivo di abbattere qualsiasi barriera nell'offerta di servizi nei paesi europei e dunque impone ai Venticinque una concorrenza commerciale spietata e senza limiti in tutte le attività de servizi. La definizione di servizio codificato nel documento è la seguente: «Ogni settore di attività economica in cui un servizio può essere fornito da un privato». Definizione estesa che potrebbe comprendere una moltitudine di attività, comprese quelle legate alla sanià e all'istruzione.
Ma il cuore della Bolkestein - quella che motiva le polemiche, le scaramucce diplomatiche e le marce dei sindacati europei - risiede nell'art. 16 relativo al principio del paese d'origine: un fornitore di servizi è sottoposto esclusivamente alla legge del paese in cui ha sede l'impresa, e non a quella del paese dove fornisce il servizio. Per dirla in parole comprensibili: un' impresa polacca dislocata in Italia o Germania non dovrà più chiedere l'autorizzazione alle autorità italiane e tedesche per erogare servizi in quei paesi se ha già ottenuto l'autorizzazione delle autorità polacche, e ai suoi lavoratori applicherà la legislazione polacca (retribuzione, orario di lavoro, tutele …). Questo principio decreta la fine del proposito dell’Ue di armonizzare le normative dei singoli Stati e affida questo compito al mercato.
Nel comunicato di un’organizzazione aderente alla manifestazione svolta a Bruxelles il 19 marzo e organizzata dai sindacati europei per dire stop alla Bolkestein si legge: «Siamo di fronte ad un incitamento legale a spostare le imprese verso i Paesi a più debole protezione sociale e del lavoro, e una volta approvata definitivamente la Direttiva, a pressioni fortissime sui Paesi i cui standard sociali e di lavoro sono storicamente molto più avanzati». Difatti sono soprattutto i Paesi dell'Europa dell'est a guardare con favore alla normativa che apre nuovi mercati per i servizi a più basso costo delle loro imprese.
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