Lo scontro delle ignoranze
EDWARD SAID
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Lo scontro
delle ignoranze


di EDWARD SAID


Architecture in Cairo


L'ARTICOLO di Samuel Huntington "The clash of civilizations?" ("Scontro di civiltà?") apparve nella primavera del 1993 su Foreign Affairs e subito suscitò una sorprendente quantità di attenzione e di reazioni. Dato l'intento, fornire agli americani una tesi originale sulla "nuova fase" della politica mondiale dopo la fine della Guerra fredda, i termini del ragionamento di Huntington apparvero irresistibilmente ampi, audaci, addirittura visionari. L'autore aveva ben presenti i rivali tra i ranghi della politica attiva, i teorici come Francis Fukuyama e le sue tesi sulla fine della storia, al pari delle schiere di coloro che avevano inneggiato all'avvento del globalismo, del tribalismo e alla dissoluzione dello stato.

Ma essi, concedeva Huntington, avevano compreso solo alcuni aspetti di questo nuovo periodo. Egli si accingeva ad annunciare quello che definiva "l'aspetto cruciale, realmente centrale" di ciò "che la politica globale probabilmente sarà nei prossimi anni". Senza incertezze incalzava: "La mia tesi è che la fonte prima di conflitto in questo nuovo mondo non sarà né essenzialmente ideologica né essenzialmente economica. Le grandi divisioni all'interno dell'umanità e la fonte di conflitto predominante avranno carattere culturale. Gli stati nazione resteranno i protagonisti più potenti degli affari mondiali ma i principali conflitti della politica globale avranno luogo tra nazioni e gruppi di civiltà diverse. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le faglie tra civiltà saranno i fronti di battaglia del futuro".

Quando Huntington nel '96 pubblicò il libro con lo stesso titolo, cercò di aggiungere un po' di sottigliezza al suo ragionamento e molte, molte note a pie' di pagina, ma non fece altro che confondersi, dando prova della rozzezza del suo scrivere e dell'ineleganza del suo pensiero. Il paradigma fondamentale dell'Occidente contro tutti (che riformula la contrapposizione della guerra fredda) restò intatto ed è ciò che è rimasto, spesso in maniera insidiosa e implicita, in discussione a partire dai terribili eventi dell'11 settembre: l'orrendo attentato suicida con motivazioni patologiche da parte di un piccolo gruppo di militanti usciti di senno è stato trasformato in prova della tesi di Huntington. Invece di considerarlo per ciò che è in realtà, l'impossessarsi cioè di grandi idee (uso il termine in senso generico) da parte di una piccola banda di fanatici impazziti, alcuni luminari internazionali, dall'ex primo ministro pakistano Benazir Bhutto al primo ministro italiano Silvio Berlusconi, hanno pontificato sui guai dell'Islam e, nel caso di Berlusconi, hanno utilizzato Huntington per farneticare sulla superiorità occidentale, tipo "noi" abbiamo Mozart e Michelangelo e loro no.

C'è un abuso della retorica churchilliana da parte di sedicenti combattenti nella guerra dell'Occidente e soprattutto dell'America contro chi la odia, i suoi saccheggiatori e distruttori, con scarsa attenzione a vicende complesse che sfidano questi termini riduttivi. È questo il problema di etichette poco edificanti come Islam e Occidente: sviano e confondono la mente che si sforza di dare un senso a una realtà disordinata che non intende essere archiviata o liquidata con tanta facilità. Una volta ho interrotto un uomo che si era alzato in piedi tra il pubblico dopo una conferenza che avevo tenuto all'Università della Cisgiordania nel '94 e aveva iniziato a scagliarsi contro le mie idee "da occidentale" considerandole opposte a quelle fondamentaliste islamiche da lui esposte. "Perché porta giacca e cravatta?" fu la prima risposta che mi venne spontanea. "Non sono occidentali anche quelle?" . L'uomo tornò a sedersi con un sorriso imbarazzato, ma questo episodio mi è tornato in mente quando hanno cominciato a circolare le notizie sulle modalità con cui i terroristi sono riusciti a gestire tutti i dettagli tecnici necessari a realizzare la loro malvagità omicida sul World Trade Center e al Pentagono.

Dove va tracciato il confine tra la tecnologia "occidentale" come ha dichiarato Berlusconi, e l'incapacità "dell'Islam" di far parte della modernità? Quanto sono inadeguate le etichette, le generalizzazioni? Una decisione unilaterale di tracciare linee nella sabbia, intraprendere crociate per opporre al loro male il nostro bene, per estirpare il terrorismo e, nel vocabolario nichilista di Paul Wolfowitz, porre interamente fine alle nazioni, non rende affatto più facile individuare queste supposte entità, ma piuttosto, esprime quanto sia più semplice fare affermazioni bellicose al fine di mobilitare le passioni collettive piuttosto che riflettere, esaminare cercare di capire che cosa stiamo in realtà ... Fu Conrad a comprendere che le distinzioni tra la Londra civilizzata e il "Cuore di tenebra" facevano presto a crollare in situazioni estreme, e che le vette della civiltà europea potevano trasformarsi all'istante nelle pratiche più barbare senza preavviso né transizione. Sempre Conrad ne "L'agente segreto" (1907) descrisse l'attrazione del terrorismo per astrazioni come la "scienza pura" (e per estensione, per "l'Islam" o "l'Occidente") e il fondamentale degrado morale dei terroristi. Esistono legami più stretti tra civiltà apparentemente in guerra tra loro di quanto alla maggior parte di noi piaccia credere e, come hanno dimostrato sia Freud che Nietzsche, il traffico tra confini attentamente salvaguardati, persino presidiati, avviene con una facilità che spesso spaventa.

Ma poi queste idee fluide, piene di ambiguità e scetticismo riguardo a concetti cui restiamo aggrappati, stentano a fornirci orientamenti appropriati e pratici per affrontare situazioni simili a quella attuale. Da qui gli ordini di battaglia tutto sommato più rassicuranti (una crociata, il bene contro il male, la libertà contro la paura ecc.) tratti dall'opposizione tra Islam e Occidente teorizzata da Huntington, dalla quale la retorica ufficiale ha derivato nei primi giorni il suo vocabolario. Quella retorica ha notevolmente smorzato i toni da allora, ma a giudicare dalla percentuale consolidata di discorsi e azioni ispirati all'odio, il paradigma resta valido. Un'ulteriore motivo per cui resiste è l'accresciuta presenza di musulmani in tutta Europa e negli Stati Uniti. L'Islam non è più al margine dell'Occidente, ma al suo centro. Ma che c'è di così minaccioso in questa presenza? Sepolti nella cultura collettiva giacciono i ricordi delle prime grandi conquiste Arabo-islamiche iniziate nel settimo secolo che, come scrisse l'illustre storico belga Henri Perenne nel suo fondamentale saggio "Maometto e Carlo Magno" (1939), mandarono in frantumi una volta per tutte l'antica unità del Mediterraneo, distrussero la sintesi Cristiano-romana e diedero vita ad una nuova civiltà, dominata dai poteri nordici (La Germania e la Francia dei Carolingi) la cui missione, sembra intendere ...

Ciò che l'autore omette di dire, ahimè, è che nella creazione di questa nuova linea di difesa l'Occidente attinse all'umanesimo, alla scienza alla filosofia alla sociologia e alla storiografia dell'Islam, che si era già interposta tra il mondo di Carlomagno e l'antichità classica. L'Islam è inserito fin dall'inizio, come anche Dante, grande nemico di Maometto, dovette ammettere quando collocò il Profeta proprio al centro del suo Inferno.

Permane poi l'eredità del monoteismo stesso, le religioni abramiche, come ben le definì Louis Massignon. A iniziare dall'Ebraismo e dal Cristianesimo ogni religione è ossessionata dal fantasma di ciò che la ha preceduta: per i Musulmani l'Islam realizza e conclude la linea della profezia. Non c'è ancora un adeguato passato di demistificazione della disputa su più fronti tra questi tre seguaci del più geloso di tutti gli dei, che in nessun caso rappresentano una fazione monolitica, unificata, anche se la moderna sanguinosa convergenza sulla Palestina fornisce un forte esempio secolare delle divergenze che si sono rivelate così tragicamente inconciliabili. Non sorprende quindi che musulmani e cristiani siano pronti a parlare di crociate e di jihad, elidendo la presenza ebraica con noncuranza spesso sublime. Un programma simile, dice Eqbal Ahmad, "risulta molto rassicurante per gli uomini e le donne che si trovano incagliati nel bel mezzo delle acque profonde della tradizione e della modernità".

Ma noi tutti nuotiamo in queste acque, occidentali, musulmani e altri, allo stesso modo. E poiché le acque fanno parte dell'oceano della storia, cercare di dividerle con barriere è inutile. Viviamo momenti di tensione ma è meglio pensare in termini di comunità che detengono il potere e comunità che ne sono prive, di secolari politiche di raziocinio e ignoranza, e di principi universali di giustizia e ingiustizia, piuttosto che smarrirsi in astrazioni che possono essere fonte di soddisfazione momentanea ma producono scarsa autoconsapevolezza. La tesi dello "scontro di civiltà" è una trovata tipo "Guerra dei mondi", più adatta a rafforzare un amor proprio diffidente che la conoscenza critica della sorprendente interdipendenza del nostro tempo.
Copyright Edward Said (Traduzione di Emilia Benghi)

(1 novembre 2001)


 



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