La colpa dell’Occidente? Non sostenere chiaramente l’Islam liberale e tollerante - Intervista a Massimo Cacciari
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04.09.2004
La colpa dell’Occidente? Non sostenere chiaramente l’Islam liberale e tollerante

ROMA Professor Cacciari, ci aiuti a decifrare quel che sta accadendo. Tutti i limiti sembrano superati.
«È così. Non c'è fine all'orrore. Il fatto è che si è scoperchiato l'orcio di tutti i mali. Prima c'era chi teneva chiuso il coperchio dell'orcio. Si chiamava equilibrio bipolare. Si avvaleva di repressione e dittature, ma l'orcio restava chiuso. Adesso sta venendo fuori tutto».
Vuol dirci che era meglio prima?
«Non è questo. Voglio dire che i chiacchieroni che pensavano che la fine dell'impero del Male coincidesse con nuove sorti magnifiche e progressive si sono sbagliati di grosso. E questo perché l'Occidente non si è mai posto il problema di come gestire la sua vittoria».
Vittoria di Pirro?
«Sa cosa disse Hegel dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo? Disse così: l'impotenza della vittoria non è mai stata così evidente. E' una pia illusione pensare che la vittoria sia di per sé potente. La vittoria lo è quando è costituente. Ecco: l'Occidente ha vinto contro il comunismo - vittoria epocale - senza avere alcuna idea costituente. Senza nessun progetto per il dopoguerra».
Analisi drastica e angosciante, a quindici anni dalla caduta del Muro.
«Ma non lo vede? Stiamo ad inseguire una crisi dopo l'altra. Siamo un centro assediato da tutte le periferie del mondo. Per la precisione un centro ubiquo, che corre dappertutto: New York, Madrid, Iraq, Cecenia. Non solo. È saltata per aria anche ogni regola di carattere bellico. L'Occidente ripete vecchi schemi ottocenteschi. Si fa la guerra all'Afghanistan, poi all'Iraq, domani chissà. Come ai tempi delle guerre interstatali, mentre il nemico conduce una guerra nuova e diversa».
A sentire lei e a vedere le immagini da Beslan si direbbe che ha ragione chi parla di scontro di civiltà.
«Ma non lo so! Quel che è certo è che una simile deriva rende quello scontro realisticamente possibile. E tanto più lo diventa, quanto più manca una qualsiasi proposta di compromesso riorganizzativo di questo mondo».
Se siamo incapaci di reagire andiamo verso il baratro...
«Dobbiamo resistere. Ma per ragioni di realismo politico, se non altro, l'Occidente deve proporsi come credibile costruttore di pace. Come si può pensare di sradicare il terrorismo utilizzando unicamente metodi di polizia?».
Sta parlando di Bush, pur senza nominarlo.
«Ma è evidente. Basta vedere come si è presentato in Iraq. Non parlo solo della guerra, ma dei personaggi che si è portato dietro e che ha messo alla testa del paese. Vecchi arnesi compromessi con Saddam o con la Cia, affaristi. A testimonianza di un'incompetenza assoluta su tutto quel che riguarda l'Islam».
C'è chi dice che in verità stiamo assistendo ad una guerra civile interna all'Islam, e che ogni tanto nei nostri salotti arriva qualche tizzone ardente che ci brucia i mobili.
«Grande tema, quello dell'incapacità dell'Occidente di sostenere con chiarezza l'Islam liberale e tollerante. Bisognerebbe schierarsi, e nessuno ha il coraggio e la lungimiranza politica per farlo. Un esempio straordinario è venuto dalla Francia, ma è per ora isolato. Mi chiedo se avremo il tempo di farlo, o se saremo travolti dalle Fallaci, dai Baget Bozzo, dai George Bush».
Quel che è accaduto a Beslan è un attacco ai valori delle democrazie, o piuttosto l'apice sanguinoso del conflitto russo-ceceno?
«Certo quella cecena è una vicenda particolare, come la Bosnia o il Kosovo. Ma la storia di Beslan comporta l'improvvisa internazionalizzazione di quel conflitto, e non per iniziativa di Putin ma dei terroristi. Aggiungo questo: se l'attacco alle Twin Towers era diretto al cuore simbolico dell'America, quello contro la scuola di Beslan è stata una strage degli innocenti. Programmata come tale, perché s'incida nei nostri cuori. E infatti adesso il problema ceceno non è più un problema di nazionalismo. È diventato mondiale».
A sinistra, in particolare in Italia, si guarda alle elezioni americane come ad un punto di svolta.
«Ma figuriamoci! Credo che in America il discorso sia chiuso: Bush si avvìa alla rielezione. È l'unico che mette sul mercato una proposta, per quanto fallimentare, che riguarda la sicurezza. Kerry non ne ha avanzata una alternativa. Ha proposto correzioni di forma, spigolature. Non ha denunciato a chiare lettere la follìa di Bush, Wolfowitz, Rumsfeld. Il fatto è, però, che il tema della sicurezza riguarda tutti. E la strage di Beslan non può che far ulteriormente salire la domanda di sicurezza».
I democratici americani hanno mirato finora a riconquistare il centro deluso da Bush. Difficile, con questa strategia, utilizzare parole grosse.
«Errore! Errore drammatico! Lo stesso che rischia di fare la sinistra italiana. Il centro non è più quel che era ai tempi della Dc. Il moderato non esiste più. I centri si sono radicalizzati. Anche qui esiste una destra radicale, alla quale mi auguro si contrapponga una sinistra: riformista, ma radicale e coerente».
C'è un'altra ipotesi. Che i due mandati di Bush assomiglino a quelli di Reagan: il primo speso a denunciare e combattere l'impero del Male, il secondo a far la pace con Gorbaciov.
«Me lo auguro ardentemente, ma la situazione è diversa. Il primo mandato di Reagan fu di assalto, nel secondo aveva già vinto. È stato una marcetta trionfale, con i sovietici al guinzaglio. Certo, se in Iraq si riuscisse ad installare uno Stato sovrano, se in Medio Oriente riprendesse il processo di pace…Ma ci sono le condizioni per fare tutto ciò? Non lo so».
E noi, periferia dell'Impero?
«Vorrei rivolgere un appello ai pacifisti. Non si può stare per sei mesi in piazza per l'Iraq e non starci neanche un'ora per la strage degli innocenti di Beslan. È una cosa di straordinaria importanza. Perché il centrosinistra e i movimenti pacifisti non organizzano una grande manifestazione, ma ispirata al realismo?»
Che cosa vuol dire?
«Voglio dire che non ci si può dimenticare il dramma americano, quello di una superpotenza che si ritrova ad essere responsabile delle sorti di un mondo che non ha più mappe geopolitiche né stelle polari ideologiche. A sinistra bisogna avere la consapevolezza che la storia è una tragedia, e che stiamo vivendo una svolta epocale. Non possiamo scordare che la responsabilità americana è assolutamente straordinaria. È con questo spirito che il movimento per la pace, in tutte le sue componenti, dovrebbe muoversi».
Come giudica la politica estera italiana in questo contesto?
«Non c'è. Ha un unico asse: dire ok agli americani. E non ci si illuda che Berlusconi fa così perché c'è Bush. Vincesse Kerry, fioccherebbero altrettanti signorsì. Berlusconi ha delegato la grande politica agli Usa, e in subordine all'altro gigante, la Russia. Da qui la sua ammirazione per Putin. Pensino loro alla grande politica: così ragiona il nostro premier. Che disastro».
Anche per l'Europa, prima vittima di una tale situazione.
«Esatto. L'Europa divisa non fa politica. La politica è prassi, non è formalizzazione giuridica. Non puoi mica sostituirla con uno straccetto di Costituzione».


http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=TUTTEINT&TOPIC_TIPO=I&TOPIC_ID=37488



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