Musulmani d'Italia
Intervista a Roberto Hamza Piccardo, segretario nazionale dell'UCOII
Il volto dell’Islam che viene mostrato sui mezzi d’informazione in Italia è spesso frutto di pregiudizi e cattiva informazione. Hamza Piccardo, italiano convertito all’Islam e segretario nazionale dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia, risponde ad alcune domande che vorrebbero dare un contributo alla comprensione della realtà musulmana in Italia.
Qual è la sua percezione dell'informazione in Italia rispetto alla cultura araba e islamica?
Un grande minestrone d'inesattezze. Le faccio un esempio: spesso si sente dire che “tutti i paesi arabi sono a maggioranza sunnita, tranne l'Iran”. Arabo l'Iran? L'Iran è tutto tranne che un Paese arabo, è persiano. C'è una confusione totale tra mondo arabo e Islam e questo è dovuto a tutta una serie di signori che pontificano senza sapere e ad esperti improvvisati, magari solo perchè di madrelingua araba. E soprattutto c'è scarsa competenza. Non credo che sia un caso, vedo una volontà precisa dietro questo atteggiamento. Il nemico dev'essere brutto e cattivo, altrimenti è più difficile fargli la guerra. Se si vuole aggredire qualcuno, bisogna prima criminalizzarlo per giustificare a posteriori determinate scelte. Questo fa parte della guerra, non c'è niente da fare. Quello che mi ferisce dell'Italia è la scarsa competenza. Anche altrove c'è pregiudizio, ma almeno sanno di cosa parlano!
In questi giorni in Italia tiene banco il putiferio scatenato dalla sentenza del PM Forleo a Milano. Cosa ne pensa?
Parlerei di ri-sentenza. La prima cosa che viene in mente è...meno male, c'è ancora qualche giudice agguerrito. Anche a Washington, e penso al giudice che ha condannato Guantanamo. Questo dà fiducia e speranza, fa bene sapere che ci sono magistrati che ragionano solo applicando gli strumenti del diritto. La levata di scudi contro la sentenza è sbagliata, perchè emette giudizi che spettano solo al magistrato. La sentenza è stata completamente rovesciata, in maniera extra-giudiziale. Il rischio è che si diffonda una sensazione di provocazione premeditata e pregiudiziale verso certi ambienti e questo è pericoloso.
Un commento su un'altra sentenza famosa, quella dell'Aquila. Il crocifisso in aula.
La sentenza sulla laicità dello Stato, dal punto di vista del diritto, mi pareva ineccepibile. Il problema è un altro. Ieri ero a Torino, dove sono in causa contro Adel Smith. Questo la dice lunga. Prima del vespaio scatenato dalla sentenza, solo alcuni ambienti particolarmente laici, come il Partito Radicale italiano, avevano avanzato questo tipo di richieste. Per quel che mi riguarda, io mi auguro che la gente sia legata ai valori, non ai simboli. Quello che abbiamo sempre detto, diversamente da Smith, è che bisogna rispettare il vissuto delle persone. L'Italia e il Vaticano hanno un rapporto particolare, troppo profondo. Lo Stato dovrebbe essere laico, ma bisogna avere rispetto e non bisogna andare a cercarsi i problemi. Spiegheremo ai nostri figli chi è, non c'è problema. I valori di cui è portatore la figura del Cristo sono universali. Ogni Stato dovrebbe essere laico, ma l’Italia ha una storia particolare, basta pensare alle inaugurazioni pubbliche: potere politico e religioso vanno di pari passo. In Spagna, che pure è un Paese molto cattolico, la laicizzazione dello Stato ha subito un’accelerazione, ma il potere ecclesiastico in quel Paese ha subito un duro colpo dalla compromissione con il franchismo e questo agevola il processo di laicizzazione della società. Non a caso il Paese basco è molto legato alla Chiesa, lì anche con Franco la gerarchia religiosa è rimasta lontana dal potere politico.
La sentenza dell’Aquila e Adel Smith ci portano a individuare un problema di rappresentanza del mondo musulmano in Italia. Perché nelle trasmissioni televisive viene invitato molto più spesso una persona che ha posizioni più oltranziste rispetto ad altri più moderati?
Cito un episodio che mi ha lasciato molto perplesso. Il giorno dopo la presenza di Adel Smith da Bruno Vespa è uscito un articolo enorme su di lui sul Corriere della sera. Ora, se il programma è in seconda serata, com’è possibile che un quotidiano avesse un articolo di quelle proporzioni in pagina il giorno dopo? C’era evidentemente la volontà di rilanciare e di dare il massimo risalto possibile alle idee di un uomo che non rappresenta altri che se stesso. Il settimanale Diario ha svolto una bella indagine in questo senso, rivelando come il movimento di Smith sia una scatola vuota, senza militanti. Fa rumore e cerca il colpo a sensazione e i media gli prestano ascolto. Molti fratelli chiedono un riconoscimento ufficiale per noi che sgomberi il campo da questi dubbi, ma io rispondo che c’è già la Costituzione che tutela tutte le confessioni religiose e non c’è bisogno d’altro. Per ora noi dobbiamo far crescere la comunità musulmana in Italia, farla maturare. Come deve cambiare la percezione dei musulmani in Italia. Non può uno Stato decidere chi è il suo interlocutore ufficiale. Siamo noi che dobbiamo consolidarci e lavorare assieme per l’integrazione. Lo Stato potrebbe solo verificare chi rappresenta veramente qualcosa e chi non rappresenta solo se stesso. Il problema delle minoranze esiste e non solo in Italia, anche nei paesi musulmani. Il problema non è mai dovuto alla religione, ma all’utilizzo strumentale che ne fa il potere politico.
Fin dal primo momento lei ha preso fermamente posizione contro la guerra in Iraq. Le immagini di domenica, dove da più parti il voto è stato salutato come una grande vittoria della democrazia, che effetto le hanno fatto? Ha cambiato idea?
Resto convinto che la società irachena sarebbe riuscita perfettamente a liberarsi da sola di Saddam. Se fossero state applicate delle sanzioni al regime e non alla popolazione civile irachena, se ogni concessione a Saddam fosse stata negoziata in modo da ottenere dei cambiamenti in cambio di un alleggerimento delle sanzioni, si sarebbe ottenuto un risveglio della società irachena che avrebbe fatto collassare il regime. Mi chiedo perché per il mondo arabo non si possano mai fare delle rivoluzioni arancioni come quella vista recentemente in Ucraina. E non credo che quello sia un prodotto locale. In Iraq le risorse ci sarebbero, ma se vuoi rubare le risorse hai bisogno di giustificazione. Se tanti iracheni hanno votato in modo così entusiasta, mi chiedo dove sono le retrovie in cui la guerriglia riesce a nascondersi? Chi aiuta la lotta armata?
Nuovi fondamentalismi si diffondono in Kuwait, Oman e altre realtà storicamente estranee alla violenza estremista. Bisogna individuare nella guerra in Iraq anche la motivazione di questi avvenimenti?
Certo. La politica estera degli Stati Uniti nella zona è deformata. Qualsiasi impero, alla fine, non riesce a sostenere i suoi confini se si allargano sempre di più. Il problema è la sottovalutazione della gente di quei Paesi. Per Washington tutte quelle genti sono sottosviluppate. Guardi L’Iran. A me i rapporti tra Teheran e gli Usa ricordano il patto Molotov-Von Ribbentrop. Entrambi sanno che il conflitto sarà inevitabile, ma puntano solo a prendere tempo, gli uni e gli altri. L’Iran ha un progetto politico sciita di largo respiro e la vittoria inevitabile in Iraq è fondamentale per loro. Cosa succederà? Gli Stati Uniti come si porranno di fronte a questi problemi? A guardare i risultati, c’è poco da stare allegri.
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