Né moschee né associazionismo. «Occorrono persone autonome e autorevoli»
Chi rappresenta i musulmani d’Italia
Settimane di tensione, dopo il seven/seven oltre Manica, anche in Italia. Un mondo sotterraneo in moschea poco rassicurante, un associazionismo, le sigle più attive, spesso contiguo alla Fratellanza Musulmana, madre anni Trenta di ogni estremismo, al jihad aggressivo, spesso in oscuro rapporto con paesi stranieri. Soprattutto, un problema di rappresentanza condivisa, referente ufficiale dello Stato, perché l’Islam sunnita è plurimo, senza una struttura gerarchica, un clero legittimato a parlare con un’unica voce.
Più voci, viceversa, non sempre concordi, che richiedono patti di convivenza tendenti, più che all’integrazione, all’insidiosa separatezza. Khaled Fouad Allam, che nel 2001 firma un capitolo – commissionatogli dall’allora ministro Livia Turco – del rapporto sull’immigrazione presentato in Parlamento e poi uscito in volume per il Mulino: «Pare evidente che le associazioni dell’Islam italiano (ma anche europeo) sono affiliate a tendenze, a posizioni politiche – si sa bene, per esempio, che l’Ucooi è connessa con i Fratelli Musulmani –, o riflettono – per i legami con le aree di provenienza – una forte impronta nazionale. Io ne feci una descrizione, appunto per Livia Turco... Però, nel frangente in cui siamo, ovvero nel momento che impone di mettere in relazione politica e sicurezza, credo si debba lavorare metodologicamente su un altro quadro: dunque, rovesciare il modo con il quale si è cercato di definire l’Islam dell’immigrazione. In pratica, abbandonare il vecchio punto di partenza, quello dell’associazionismo, e individuare invece un gruppo di persone libere, autonome, autorevoli, in grado di fungere inizialmente da consulta (quella lanciata da Pisanu, che lei mi richiama), e poi di costruire un percorso... sarà cosa lunga, ma necessaria in Italia e non solo... per la definizione di uno spazio pubblico dell’Islam.
Certo che ci sono quelle persone! Io ne conosco, non faccio nomi, ma ci sono qui, come in Francia, come in Inghilterra... Si deve soltanto farle emergere, aiutarle a diventare un punto di aggregazione. Perché una cosa importante va detta, una cosa che spiega anche la visione comunitarista delle richieste ufficiali prospettate nel 2001 dal mondo dell’associazionismo: ovvero che è proprio quel mondo ad avere più in odio la società multiculturale, e dunque a elaborare esigenze che chiudono i musulmani in uno stretto recinto. No, non sono in grado di dire quanto esso sia rappresentativo, sul piano statistico. Mi sento di affermare, comunque, che è evidente l’Ucooi abbia, per forza finanziaria e organizzativa, il controllo delle moschee. Ma che le moschee siano rappresentative dei musulmani, io mi rifiuto di accettarlo.
Lo dimostrano tutte le indagini sociologiche condotte in Europa negli ultimi anni. Che in Italia le frequenti soltanto il 5% è un dato scientificamente non significante: non significa sul piano religioso, perché nulla obbliga il musulmano ad andare in moschea, può pregare benissimo a casa propria e restare un musulmano, e non significa molto neanche sul piano del rischio, perché oggi il grande problema è Internet, la rete che sfugge a qualunque vigilanza. Lei dice che non esiste una Chiesa sunnita: no di certo! E io posso rispondere che non è compito dello Stato inventarla. Però che una formula si debba trovare, una qualche ingegneria giuridica, un qualche controllo perché gli islamici non fuoriescano dalla democrazia, che è il principio fondante di questo paese, beh..., questo è un fatto. Anche per il bene dei musulmani stessi».
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