
E il barbiere smise di fare la barba
di Valeria Spotorno
Sù la saracinesca, si apre. Fuori le lame, i pennelli, il sapone: oggi si batte cassa, oggi è domenica. Quanto c’è da aspettare? Questione di un attimo. Ed è subito notte; la poltroncina nera ruotata di 180 gradi, la pallottola conficcata nell’occhio.
E’ morto, dopo lunga agonia, il barbiere, protagonista indiscusso di tanta cinematografa, nei cui locali si consuma per eccellenza la vendetta, l’assassinio, il rendimento di conti mafioso.
Gli utensili sono ancora riposti nell’armadio, forse una teca, a dare bella mostra di sé, non più strumenti vivi di quel elaborato cerimoniale di relax al termine del quale “si aveva la pelle liscia come carta-vetro e si era pronti per andare a donne”.
Già, perché in origine il barbiere radeva la barba, a zero, una o due volte al mese, la domenica, giorno dalle uova d’oro per questi artigiani del rasoio. Perché di domenica, racconta Dino Signorini “la gente usciva per strada, si incontrava in piazza”, faceva le vasche, come si usa dire. “Poi è venuto il 1975 e da quel anno niente è stato più lo stesso”; La bottega ha iniziato a restare chiusa nel giorno che un tempo era il più ghiotto della settimana: “non era conveniente rimanere aperti per uno o due clienti soltantoveb, la bottega ha iniziato a restare chiusa nel giorno un tempo più ghiotto della settimana,”.
“I tempi cambiano”, sbuffa qualcuno aspettando di passare sotto i ferri. Ma per il barbiere, il tempo è una variabile determinante: la barba “è stata a lungo un lusso: la gente veniva in bottega e si concedeva 30, anche 40 minuti di assoluto benessere. Ci voleva tempo” e la fretta quotidiana che ha sospinto gli uomini tra le braccia dei rasoi elettrici, introdotti per altro già dagli anni ’30, ha inflitto un duro colpo alla bottega di quel calzolaio che nell’altra stanza faceva la barba ed impartiva salassi. Eppure da
“ Acconciature Enzo” ed “ Acconciature Gino” il listino-prezzi appeso al muro in bella vista presenta ancora la voce –barba- ed accanto la tariffa: intorno ai 10 ero, più o meno. Vestigio di un tempo che fu? Non solo. Scopriamo infatti in nervo scoperto: “le barbe si fanno ancora,- confessa “Gino”- ma ai clienti affezionati, agli amici e comunque sempre e solo come favore personale”, suggello di una frequentazione decennale. “Io ti faccio la barba, ma non chiedermelo un’altra volta”, questo, in buona sostanza, il motto.
Un favore di questo genere, poi, non ha prezzo, o meglio ha lo sconto quasi del 50% sul costo di listino. Ecco affiorare allora tra le ciglia aggottate del barbiere il secondo grande, vero, cruccio: il prezzo e il valore di mercato di una professione così antica da essere andata, forse, fuori moda.
“Al giorno d’oggi nessuno è più disposto a pagare 10-15 euro per farsi fare la barba: è un’operazione che il cliente può eseguire anche per conto proprio, spendendo un decimo, in termini di costo e di tempo”. “Il problema – continuano altri- è che non si riesce a capire che noi artigiani lavoriamo ad ore; se per fare la barba ci vogliono 30 minuti, cioè quanto un taglio, dovremmo chiedere lo stesso prezzo che chiediamo quando eseguiamo un taglio di capelli; ma i clienti non sono disposti a pagare così tanto, per cui siamo costretti a chiedere meno. E’ un gioco a perdere, perché nel tempo in cui faccio una barba, potrei fare un taglio e guadagnare il doppio. E’ per questo che non si fanno più barbe” salvo le eccezioni per gli amici.
La normativa di igiene poi, è molto restrittiva: “ci vorrebbero macchinari di sterilizzazione, apparecchi costosi che userei solo poche volte. Ho deciso di non comprarli e di posare per sempre il rasoio”, confessa Dino. La paura delle malattie, d’altronde, è grande, sia tra i clienti, che tra i barbieri. “E’ da quando si è iniziato a parlare di AIDS che mi sono messa in campana; lamette usa e getta di norma e guanti di lattice per fare la barba; ma era spiacevole. Sono mica malato, mi conosci no? Dicevano alcuni clienti, e allora via i guanti e via i rasoi: in questo locale, niente più barba, solo tagli di capelli”, spiega “ Gino”.
Una figura professionale destinata a morire sotto il peso di seri rischi per la salute del cliente e del barbiere, dei ritmi frenetici, dei prezzi non competitivi e della carenza di apprendisti in grado di dare continuità all’ultima generazione di barbieri sopravvissuti.
Una figura professionale cui si chiede di rinnovarsi per continuare a vivere; Di battere nuove strade, da quella del “hair stilist” bisex , in grado di praticare indifferentemente tagli di capelli per uomo e per donna, spesso interscambiabili e curare l’immagine del cliente secondo le ultime tendenze della moda, a quella di tempio del benessere, riscoprendosi luogo in cui per 30 o 40 minuti il tempo rimane come sospeso, e il cliente ne esce rigenerato, bello e profumato.
Una tendenza che fa già costume e che ha davanti a sé prospettive fiorenti. Milano insegna: niente di più trendy di una barbieria per uomo e, perché no, anche per donna. Quanto vi rimanga, tuttavia, dell’antica e tradizionale figura del barbiere, non è lecito sapere.
Valeria Spotorno email:valeria.spotorno@virgilio.it
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