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Siamo tutti inadeguati, siamo tutti resposabili
Antonio Limonciello
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In tempi in cui l'organizzazione del lavoro è cambiata, le rigidità delle catene di montaggio non esistono più, anche gli scioperi a gatto selvaggio non arrecano alcun danno.
Intanto io metterei in evidenza il fatto che nelle democrazie mature non esistono più da tempo scioperi impostati sull'idea "del danno da arrecare" piuttosto si basano sull'idea della dimostrazione ipotetica della forza.
Una volta che questa dimostrazione si è messa in atto le parti ne tengono conto e arrivano a un accordo.
In una sintesi grossolana si potrebbe dire che lo sciopero è efficace quando: "Dimostra di raccogliere la maggioranza dei consensi dei lavoratori interessati in un contesto dove le controparti si riconoscono e accettare i risultati dei rapporti di forza che dispiegano".
È evidente che da una parte ci deve essere un sindacato responsabile che fa richieste che non si pongono l'obiettivo di "eliminare la controparte" e la controparte rispetta il ruolo di rappresentanza dei lavoratori, anzi in qualche modo la usa come stimolo al cambiamento.
Se mi permettet, una parentesi storico politica: Nelle condizioni normali delle democrazie capitalistiche mature avveniva che la lotta operaia era la manifestazione del motore della trasformazione, quindi della stessa sopravvivenza del capitalismo. Il lavoratore chiedeva un diritto nuovo? più potere economico? più potere nei processi produttivi? Si metteva in moto un rapporto di forza. Se questo volgeva a favore dei lavoratori si arrivava a un accordo che riconosceva tutto o una parte delle richieste. Ma a quel punto il capitalismo era costretto a mettere in moto una trasformazione che permettesse il recupero dei margini di profitto e di accumulazione. Solo cosi poteva sopravvivere sulla tolda di comando. E così scattavano le accelerazioni del progresso.
Dunque storicamente le lotte, e in primo luogo lo sciopero, sono state il volano dello sviluppo dell'epoca moderna.
Non si possono usare alcuni esempi residuali per affermare che questo non è stato.
L'esempio di Parigi, ma aggiungerei dei minatori inglesi ai tempi della Tatcher, degli operai Fiat all'inizio degli anni 80, ecc., rappresentano casi opposti, ovvero a una trasformazione in atto i lavoratori hanno contrapposto una resistenza, una richiesta di ritorno indietro che nel sistema dato non poteva essere esaudita, pena la caduta del sistema politico ed economico. Come dire il conflitto si poteva risolvere solo con la caduta del capitalismo e l'assunzione del potere da parte degli operai.
Ecco il punto: gli obiettivi che mi sono dato rappresentano una soluzione positiva per l'insieme sociale, nel senso che innescano un processo di miglioramento di tutta la società. Ovvero, sto io interpretando un bisogno di tutti, o mi sto azzuffando nel cortile tra i miei simili per chi sottrae all'altro il tozzo di pane?
La forza che sono capace di mettere in campo è adeguata all'obiettivo che voglio raggiungere?
Le mie controparti sono adeguate a sostenere la sfida, cioè sono capaci di creare le condizioni per un reale processo virtuoso?
Così si misurano le azioni di lotta, così si determinano successo e fallimento.
Ora l'Italia da questo punto di vista è stata un succedersi di miserie e di grandi intuizioni. Alle lotte del 1919-21 si rispose col fascismo anziché con una risposta progressiva, cose che avveniva negli altri paesi capitalistici. È nel fordismo/taylorismo, per l'organizzazione della produzione, e nel new deal, per quella sociale e politica, che vanno ricercate le basi del dispiegamento dell'attuale potere americano.
Alla caduta del fascismo un patto tra la CGIL di Di Vittorio e il potere (con silenzio assenso del PCI e del PSI) permise la ricostruzione, l'accumulazione capitalistica, le premesse del boom degli anni 60).
Alle incredibili lotte degli anni 70, il sistema Italia rispose con gli automatismi (scala mobile, passaggi automatici di livelli salariali, ecc.) e fu proprio l'illuminato Gianni Agnelli a costruire queste soluzioni insieme a Luciano Lama.
Ma questi 2 protagonisti non pensavano in quel momento a un processo di inflazione a 2 cifre, pensavano che il capitalismo italiano, il sindacato e il potere politico fossero in grado di avviare una strada di reale progresso, nuove soluzioni produttive, nuovi diritti, un'Italia modello per il mondo.
Invece di aumentare la competitività e la ricchezza il sistema pensò a un solo obiettivo: ridurre i salari come unico modo per ridurre il costo del lavoro (quindi grande inflazione anziché ricerca) . Cosicché ancora oggi il salario di un metalmeccanico tedesco è il doppio di uno italiano, del resto come gli stipendi degli insegnanti.
Poi arrivò la qualità totale giapponese e le parti non furono capaci di interpretarla in Italia, dunque la disfatta della Fiat del 1980.
Poi è arrivata l'informatizzazione e la telematizzazione, ovvero la società dell'informazione, quindi la fine (definitiva?) della capacità di rappresentare gli interessi generali da parte del movimento operaio. [E scusate se sono franco: al di là della CGIL in Italia tutti gli altri sindacati sono nati sempre per dividere ed indebolire il movimento dei lavoratori. Tutti i progressi sociali sono partiti dalla CGIL, certo, quando è stata capace di ben interpretare i bisogni e quando è stata capace di costruire adeguate strategie di lotta. Non è mancanza di riguardo per gli altri, è la storia].
Ora tutto questo diventa "il potere esercitato dalla CGIL", come fosse un ente trascendente. No, era il potere esercitato dalla maggioranza dei lavoratori italiani che la CGIL spesso ha ben interpretato. Del resto un sindacato, in una democrazia, non ha alcun potere senza rappresentare una forza reale che gli viene solo e soltanto dai lavoratori che rappresenta.
Dunque lasciamo perdere le sciocchezze, e proviamo a ragionare sul serio.
Lo sciopero del 18, che io ho fatto, è uno sciopero terribile, come ne succedono nella storia dei miseri della terra. Lo sciopero del 18 serviva a capire da che parte stanno i lavoratori. Non se ne poteva fare a meno.
Quando CISL e UIL firmano il patto per l'Italia e la CGIL no, è evidente che lo scontro che doveva essere tra lavoratori e controparti si trasforma in lotta tra i lavoratori. Ora non voglio entrare nel merito delle posizioni della CGIL, il sindacato dei diritti, ma solo dire che sono obiettivi strategici che vengono da lontano, furono impostati da Trentin nel 1991 (Bertinotti allora della segretaria della CGIL gli fece guerra) e portati avanti da Cofferati dopo (e Bertinotti preferiva i Cobas).
Alle memorie confuse dall'informazione che tutto e tutti sussume, ricordo che Cofferati e la CGIL, e non CISL e UIL, impedirono al D'Alema presidente del consiglio di avviare quelle modifiche del mercato del lavoro -leggere diritto al licenziamento senza giusta causa- che poi sono la sostanza del patto per l'Italia di luglio 2002 (per la cronaca, lo scontro ci fu al congresso dei DS di Torino, e sempre per la cronaca va dato atto che, anche se con malcelato rancore, né D'Alema, né Amato dopo osarono attaccare l'articolo 18). Dunque non è un invenzione contro Berlusconi, ed è anche strana la storia: 3 sindacati fanno uno sciopero generale assieme per difendere un diritto della persona ritenuto barriera invalicabile; dopo 3 mesi 2 sindacati valicano la barriera, e chi si rifiuta diventa il cattivo?
E poi, dopo il patto per l'Italia c'è stata una finanziaria, cosa ci porta di buono? La vogliamo valutare, oppure vogliamo solo ripetere pedissequamente le lezioncine dei Ferrara, Fede sui buoni e i cattivi,....... e le giravolte quotidiane del presidente del consiglio?
E non ci riguarda la licenziabilità? Scherziamo? Prendiamo l'ipotesi che sembra la grande novità della scuola, insegnanti professionisti, voi pensate che si possa un giorno essere dei professionisti e rimanere con un contratto di lavoro a tempo indeterminato? È evidente che, al di là delle pie intenzioni dei proponenti, un professionista non avrà mai un "posto fisso". Ed è pure storia che si comincia con l'attaccare i più deboli per poi passare oltre. E cosa è se non il licenziamento brutale quello che metterà in atto per gli ATA la finanziaria 2003, i deboli della scuola? Un insegnante di ruolo senza posto ha 5 anni di tempo per trovare un'altra collocazione, se non la trova è licenziato. Un ATA no, egli viene licenziato subito.
So anche un'altra cosa che valeva ieri e vale oggi: senza unità si perde sempre. Dopo lo sciopero del 18 è necessario ricomporre l'unità.
La Fiat ha scioperato poco, perché? Perché chi sta perdendo il posto di lavoro è molto più ricattato, e senza una forza grande che ti dà sicurezza la paura è maggiore, molti cercano di salvare se stessi mostrandosi più disponibili, più servili. Ma è questa la dignità dell'uomo che vogliamo lasciare alle future generazioni?
Che dignità avremo quando un datore di lavoro può licenziarci da un momento all'altro senza dover dare una motivazione, senza dover rispondere davanti a una norma che tutela l'integrità della persona?
Dunque scioperare equivale a mettere su una danza della pioggia, e non scioperare cosa vuol dire? Attaccare il potere che ha firmato un accordo a febbraio 2002 e non prevede di onorarlo neanche nella finanziaria 2003? Non scioperare vuol dire far capire che si è contro? Contro chi?
È chiaro, si è contro lo sciopero, e non solo, vuol dire anche stare col governo. È evidente, al di là delle strumentalizzazioni televisive prevedibili, al di là di ciò che ogni singolo intendeva.
C'è crisi oggi, è vero, ma che crisi è, cosa c'è di nuovo?
-È crisi di democrazia, direte che la mia è una fissa, se lo è, è troppa seria la faccenda per non correre questo rischio. Qui a un modello di democrazia fondata sulla rappresentanza si sta sostituendo un modello di interpretazione delle volontà dei cittadini organizzata e realizzata direttamente dal potere. Cosa sono i sondaggi quotidiani del presidente del consiglio? Lui non sente sindacati, alleati, opposizioni, parlamento, non contano, lui ha i suoi input che ci spedisce attraverso le sue TV (praticamente tutte le TV), dai quotidiani, via Internet, ha ritorni, li analizzano, li interpretano e li usano come risposta da dare. Il sistema è ai primordi, l'uomo non è tra i migliori, non ce la fa a non essere il buffone e l'imbroglione che è sempre stato, ma altri più capaci verranno e sarà il sistema di potere del futuro.
Prima e contemporaneamente alle interrogazioni che ci fanno, noi inconsapevoli, agiscono i valori introiettati nei nostri cervelli dai media.
Dunque noi siamo/saremo terminali, molto inconsapevoli, di un processo di gestione del potere diretto, che agisce direttamente nei nostri cervelli.
Non ci sarà più bisogno di rappresentanza, quindi di sindacati, partiti, associazioni, neanche di vere elezioni, giusto come atto di formalizzazione di processi già avvenuti.
Noi invece di dare sempre la colpa a qualcosa di esterno a noi, faremmo bene a studiare e ricercare nuove strade, nuove forme di democrazia, nuovi metodi per rivendicare e realizzare il diritto ad esistere come soggetti e non come oggetti sussunti in un processo produttivo.
- Di nuovo succede che molti lavoratori, per la verità non ancora maggioranza, si fa convincere dai giudizi che danno i poteri forti italiani di questo momento: i sindacati non servono, o al massimo servono quelli categoriali e che fanno solo lotte corporative, meglio ancora se piccoli, leggi insignificanti. Vedi la scuola, il più forte raggiunge il 10% della categoria. È questa la soluzione? Questa è la dissoluzione del potere di chi lavora, proprio come vuole la controparte che oggi, appunto, pensa di sostituire le rappresentanze con la sussunzione diretta dei cervelli e dei corpi all'interno del sistema. Fantastico! Continuate a dividervi e moltiplicarvi, fino a una testa, una rappresentanza.
- Di nuovo c'è che la produzione si deterritorializza. Non c'è un centro, un cuore della produzione da attaccare. Non c'è luogo, la produzione è diffusa a livello di Globo, cosicché mentre i trust scorazzano liberi per il mondo, spostandosi come e quando vogliono, i sindacati non riescono a darsi piattaforme e organizzare lotte a livello globale. Chi si è strappato le vesti sull'Europa sociale? (qui si discute delle beghe dei 24 sindacati che vanno al MIUR per il contratto di 1 milione di persone). E dove si producono i computer che usiamo, dove sono allocate le memorie della rete, quali sono i centri di potere nostre controparti, chi decide davvero?
Insomma, ma come si può vincere così divisi, ancora: come si può vincere se neanche si riesce più a individuare la controparte reale?
- Di nuovo c'è, oltre "il non luogo", la fine della società disciplinare. Il modello "disciplinare" della produttività moderna sta morendo, per capirci, una volta si poteva dire, vuoi istruirti? vai a scuola, vai all'università, ... La società funzionava così, ci si curava in ospedale, ci si istruiva a scuola, si produceva in fabbrica e nei campi, .... ed ora, dove si produce? Dove ci si cura? In palestra, per TV, in rete, in ospedale, negli studi privati .......Dove ci si istruisce? per TV, a scuola, in palestra, in rete, con i video giochi, ........ e chi ci istruisce? Spielberg, Benigni, l'insegnante, Pippo Baudo, Berlusconi, l'istruttore della palestra .... E in che tempi? nelle ore trascorsi sui banchi? No, sempre, 24 ore al giorno e per tutta la vita. E chi elabora, distribuisce, impone/fa apprendere i modelli culturali, gli insegnanti, la scuola, le major americane, AOL-CNN, ..... ? E se Spielberg plasma 1 miliardo di persone all'idea che la democrazia americana ha sempre dentro di sé l'antidoto a tutti i mali, e lì c'è il giusto del mondo, Spielberg guadagna 1 miliardo di dollari l'anno. Io, insegnante con 32 anni di lavoro, 0,000018 miliardi di euro.
Allora, come si fa ancora a credere possibile una modifica significativa del nostro ruolo, del nostro salario, della nostra professionalità quando non si è in grado di individuare dove si produce la cultura, chi produce e diffonde i modelli, chi fa apprendere, chi crea consenso al potere e dove sta il potere che oggi guida tutte le trasformazioni e pertanto decide i nostri destini?
Siamo inadeguati e siamo tutti responsabili.
Questo deve essere il nostro punto di partenza.
Se cominciamo così, se abbiamo la volontà di prendere in mano il nostro destino, possiamo trovare la strada.
Non è facile, c'è da studiare, analizzare, capire, prendere coscienza, essere cittadini del mondo - essere solo cittadini italiani è troppo poco-, essere capaci di tessere reti di persone e reti di conoscenze attraversando tutte le frontiere, costruendo un nostro linguaggio, una nostra cultura, sperimentando nostri modelli.
Intanto, fino a che non abbiamo trovato un'altra strada bisogna scioperare, perché il mondo non aspetta i nostri temmpi di elaborazione per andar avanti.
19 Ottobre 2002
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