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Quel che resta, per l'imminente
Antonio Limonciello
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Mi occupo da qualche anno di arte, per la precisione frequento l'Arte Pubblica, sottoinsieme "relazionale", lo faccio con un'associazione, zerotremilacento, che opera a Frosinone.
Verso la fine della primavera di quest'anno ci venne proposto di realizzare un evento in un'area destinata a diventare parco naturale, area di rara bellezza posta al di sopra delle cascate del fiume Liri, cascate che esercitano il loro fragoroso cadere nel centro storico della città di Isola del Liri. Questa cittadina conobbe i processi di industrializzazione fin dalla fine del 700, camminando parallelamente all'Europa del Nord fino agli anni 70 del XX secolo. 200 anni di industrializzazione, poi chiusura delle sue 12 cartiere e di tutti gli opifici dell'indotto. Da allora Isola del Liri vive sospesa sul passato morto senza trovare l'energia per generare un'altra rappresentazione di se.
Radere al suolo il passato? Vivere nel passato? Agli abitanti del luogo sembra che si possa agire solo in uno di questi due poli, eppure è evidente che separandoli nessuno dei due crea una reale condizione di vita.
Un giorno dei tre mesi di vita trasferita nella cittadina, l'assessore alla cultura ci dice che sui basoli della via della Cascata, ci sono delle scritte scolpite durante il fascismo e subito dopo la guerra. Le andiamo a rintracciare. Sono di difficile interpretazione a parte alcune i cui riferimenti iconici sono ancora noti.
Decidiamo di creare una performance che operi su quel selciato come ci fosse un ritrovamento archeologico.
La domenica mattina, ci rechiamo lì e due persone come pietre dell'argine leggono storie di operaie e operai di Isola, in mezzo altri cominciano con tecniche dell'archeologia a mettere in evidenza i segni sul selciato. Appaiono falce e martello. W la CGL, Tremetee ricc! 27 aprile 1945, W Lenin, W Stalin, Unione generale!, ed altre rimaste oscure.
Si fermano passanti incuriositi, sono giovani ma anche ultra ottantenni, nessuno si dichiarava a conoscenza di quelle scritte. Seguivano incuriositi, qualcuno si metteva a cercare sul selciato, altri pensavano che quei graffiti li avessimo realizzati noi. Intanto una performer dell'associazione incollava, sui basoli liberi, stampe A4 di foto di lotte operaie dagli anni 40 al 1983, anno in cui chiuse l'ultima grande cartiera della città. Finita la performance sono rimasti i segni antichi e nuovi e gli abitanti, come avevano fatto per anni con le scritte, hanno ripreso a calpestare i resti di un'espressione antica e dimenticata (d'altra parte non ne potevano fare a meno visto che avevamo occupato tutta la sede stradale con le foto).
Intanto sopra la cascata, nell'area parco, una installazione sonora da un pozzo emanava una lunga onda generata da un potente subwoofer. Un'onda del mare elaborata elettronicamente che prorompeva dalle viscere della terra, una non forma random nell'incedere, sorda e inquietante all'ascolto. Dalla terra come dalle nostre viscere, qualcosa vuole uscire ma la paura ci attanaglia.
Infine, di notte, una virgola rossa di 3,5 metri, illuminata sulla cascata, che per l'occasione era stata oscurata, indicava una pausa in un discorso che continua, una congiunzione tra il sotto la cascata e il sopra, un comportamento di passaggio indispensabile: oscurare per un momento una rappresentazione di se per cercarne un'altra me, un altro mondo, un altro mondo possibile.
Ecco, in queste tre opere in relazione tra loro, io racchiudo la rappresentazione dell'Italia del 2008.
E’ questa l'Italia dalla fine degli anni 70 in poi, un paese che ha paura di osare, un ammasso informe di piccoli borghesi più o meno abbienti, ma tutti intenti a difendere ciò che hanno, un paese lacerato che dopo essersi riconosciuto nella guerra di liberazione con fatale e puntuale asincronia disperde le sue migliori energie. Un paese che non sa guardarsi dentro, che non sa sviscerarsi e dunque riannodare un patto comune su basi consistenti. Un paese Crono che divora quanto genera (ché nessuno osi aspirare al trono del padre). Pensate a quante energie si misero in moto nel quinquennio post sessantotto. C'era tanto buono e poco male, ma si preferì alimentare il male per non realizzare quanto era scomodo, cosicché quella generosità anziché essere messa a disposizione del paese fu criminalizzata, drogata e armata. Venne l'ora anche di un governo di centro sinistra ma operò senza alcun movimento progressista in atto, anzi si potrebbe dire che fu solo governo in prestito a un paese fondamentalmente di destra orfano di una destra presentabile. E avvenne pure che una riforma possibile della scuola fosse affossata, ahimé anche per errori del ministro, per la Sovrana Paura del nuovo piuttosto che da una vera visione altra del ruolo della scuola.
Nessuna generosità, né di pensiero, né di azione, un paesaggio di torri eburnee disseminate su una terra piatta, ego difeso, sovresposto, cereo e nero dalle viscere malate, spalmato come piscio di cane agli angoli delle strade.
In questo paese un sussulto di vita non è tollerabile, è già tutto chiaro, non c'è bisogno di ascoltare, non c'è niente da capire, è tutto racchiuso nel mio io, chi mi invade? Come osa? Provocateli, denunciateli, zittitali, e soprattutto chiudete rapidamente ogni possibilità di formazione di pensiero collettivo non governato dalla Grande Pedagoga che tutto offre e niente chiede!
Dovremmo invece diventare capaci di setacciare dal passato prossimo quello di buono che resta, ora, per l'imminente che ce lo richiede. Non ci possiamo più permettere di ragionare e difendere con i soliti schemi i partiti presi. Non ci sono taumaturghi, e mai ce ne sono stati, che risolvono i nostri problemi, ognuno di noi deve fare il suo piccolo spostamento laterale, ognuno di noi può rompere una sua piccola azione quotidiana che da tempo non sopporta. Se tutti creano un micro comportamento nuovo nella propria vita si fa la rivoluzione. Anche perché la memoria del piacere che ci dà l'aver osato ci spinge ad osare ancora.
Un solo punto di riferimento emerge dopo gli imbrogli dell'ultimo trentennio: osare per costruire un nuovo patto sociale. C'è bisogno di più società o forse di ricreare la società. Davanti al disastro provocato dal liberismo, che ora balbettando fa comprare allo stato i templi svuotati del capitalismo selvaggio, dobbiamo trovare e realizzare un'altra globalizzazione.
Gli americani ancora una volta trovano il coraggio di rinnovare il loro patto, e ci dicono che si può. Hanno eletto un presidente globale, Dall'Africa all'Asia, all'America Latina, tutti si aspettano un segno. Sarà imperiale? Probabilmente si, Un paese multietnico elegge un presidente che rappresenta il creolismo (preferisco la creolitè al meticciato) prossimo futuro, dunque gli Stati Uniti ci provano, è il paese più attrezzato per avviare il passaggio necessario, dall'imperialismo all'impero, dall'imperio al governo democraticamente eletto da tutto il mondo.
Essi rappresentano purtroppo tutto quello che manca a noi Italici: coraggio e l'essere società.
7 novembre 2008
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