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dignità e indignazione?
Antonio Limonciello
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Il 46% degli operai e impiegati di Mirafiori ha detto no a un accordo sindacale sapendo che così facendo rischiava il posto, loro che non hanno altro reddito che quello del lavoro in fabbrica. Lo hanno fatto per difendere le condizioni di vita e i diritti sul posto di lavoro, lo hanno fatto perché consapevoli che quel tipo di accordo diventerà la base dell'arretramento per tutti i lavoratori dipendenti, privati e pubblici.
Hanno perso, lo sapevano in partenza, ma non hanno rinunciato alla loro lotta perché non volevano perdere il rispetto di se stessi, non volevano perdere la dignità, unica "proprietà" insopprimibile da parte di qualsiasi potere.
La dignità che domandano i giovani, i ricercatori, i precari con le lotte contro la riforma universitaria Gelmini, altro tassello verso un paese autoritario, riforma che sopprime la partecipazione democratica alla gestione dell'università.
Cose d'altri tempi, ma cose buone per ripartire in un paese che si è perso, un paese dove un padre, alla domanda di un giornalista "sua figlia è la fidanzata di Berlusconi?", risponde "magari lo fosse".
Da dove ripartire, dal paese che spera che i propri figli possano servire il potente di turno per goderne i vantaggi o dal paese cancellato degli ultimi che non barattano la loro dignità?
Non è una domanda retorica perché questi due paesi sono egualmente reali, non è retorica perché la maggioranza volge lo sguardo sempre altrove dalle scelte che costano, non è retorica perché si pensa ai propri scheletri negli armadi, alle convenienze.
Lo fanno i politici che stanno misurando se e come approfittare del fuori controllo presidente del consiglio, ma lo fanno in tanti non politici, lo fanno tutti quelli che tirano dritto nel non rispettare le regole della convivenza civile.
Lo fanno gli operatori della scuola, che, magari pensando sempre "ma che c'entra tutto questo con la scuola", da tempo si lasciano scivolare addosso tutto senza sentire il bisogno di scambiare opinioni, o semplicemente esprimere la propria indignazione.
Quando non si ha altro, si comincia manifestando indignazione e difendendo la dignità, la propria, quella del proprio lavoro, della propria cultura e del proprio paese.
gennaio 2011
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