Le madri di Plaza de Mayo, l'emblema della lotta per la giustizia e la verità
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Le madri di Plaza de Mayo, l'emblema della lotta per la giustizia e la verità



Le madri di Plaza de Mayo sono diventate ormai un’istituzione, un esempio, un simbolo. Sono l’emblema dell’amore materno che vince ogni ostacolo, non si placa, non si arrende. Sono la forza, la costanza, la pazienza di lottare, combattere, chiedere giustizia. Sono le mamme dei desaparecidos, di quella moltitudine di ragazzi scomparsi nelle fauci della dittatura, sequestrati, arrestati, mai processati, svaniti. Nel nulla.


30 de abril de 1977: Las Madres de Plaza de Mayo iniciaron sus marchas semanales para reclamar la verdad y Justicia.


 

Quel che è certo è comunque che non sono scomparsi dalla vita di tutte quelle madri che da decenni pretendono la verità, vogliono giustizia, chiedono la fine dell’impunità. E lo fanno urlando al mondo il loro dramma, mostrando instancabili le foto dei loro figli, gridando in faccia a tutti che i desaparecidos hanno un volto, un nome, una dignità che va loro restituita. Sono tante, unite, organizzate. E andranno avanti.

 

Ormai sono un’istituzione, dunque, con un proprio peso sociale e per molti versi anche politico, ma la loro storia è una parabola da non dimenticare.

Quando nel 76 si instaura la dittatura in Argentina erano già iniziate le desapariciones. Sporadicamente, in due anni, erano spariti già 600 uomini. E 600 madri già piangevano, attendendo fiduciose che tornassero a casa, prima o poi. Ma con la dittatura i desaparecidos centuplicarono in poco tempo. Specialmente a Buenos Aires.

E le madri non rimasero più in casa ad aspettare.

Iniziò dunque un pellegrinaggio spontaneo agli uffici di polizia, nelle carceri, al ministero degli Interni, nelle chiese. Donne determinate chiedevano notizie dei propri figli, ogni giorno.

 

Las madres de Plaza de Mayo prosiguieron sus marchas una vez recuperada la democracia, incluso hasta hoy.

 

 Ogni giorno le stesse donne incrociavano i loro sguardi, si riconoscevano, si confortavano. A qualcuna venne in mente di trasferire quel loro pellegrinaggio in una della piazze principali, la più in vista, quella che ospita la Casa Rosada e la Cattedrale, quella dei poteri forti. Ci andarono un giovedì. Era maggio. E là sentirono di essere nel posto giusto, e là restarono.
 

“Negli altri luoghi del potere c’erano sempre scrivanie che impedivano il contatto diretto con l’interlocutore, c’era sempre la burocrazia che complicava tutto – ha spiegato Hebe de Bonafini, presidente dell’Associazione Madres Playa de Mayo. - In piazza invece no. In piazza tutte eravamo uguali. A tutte avevano sequestrato il figlio, tutte stavamo passando lo stesso dramma, tutte eravamo andate negli stessi luoghi. Fu come se nessuna distanza e nessuna differenza ci diversificasse. Per questo ci sentimmo bene. Per questo la piazza ci raggruppò. Per questo la piazza ci consolidò”.

 

E da lì, porta a porta, le madri andarono in cerca di altre madri. E il gruppo crebbe, si rafforzò. E nacquero le prime azioni congiunte, inizialmente del tutto spontanee, poi sempre più programmate, mirate. Iniziarono le marce. Marce sul posto, da non scambiare con le ronde. “La ronda è girare intorno a qualcosa – ha sempre precisato la presidente – mentre noi camminavamo per qualcosa, verso qualcosa. Marciavamo per la verità. Per la giustizia”.

 


 

E da quel giovedì di maggio di quasi trent’ anni fa, la voce delle madri non ha mai cessato. E anzi si è moltiplicata, purtroppo alimentata da altri sequestri, altre mamme addolorate, altre donne che pretendono giustizia. E adesso il loro obiettivo è ancora più grande: “Pretendiamo che il nostro popolo continui a organizzarsi – precisa Hebe - che le associazioni di base crescano e si rafforzino, in ogni quartiere, in ogni angolo. Auspichiamo che l’effervescenza avvertita negli anni 70 torni nell’animo del nostro popolo, che vediamo stanco, depresso, ma che sappiamo pronto a scendere in piazza appena punzecchiato. Noi Madres continueremo a lottare per la vita del nostro popolo. Per il nostro popolo e con il nostro popolo. L’intento è arrivare a ottenere quella cultura, quell’educazione popolare che ci permetta di ottenere un governo che sia realmente il rappresentante di ciò che noi chiediamo, e non come adesso che stiamo solo votando, senza che a noi sia veramente possibile essere eletti. Un giorno lo avremo questo governo, che con giustizia condannerà gli assassini che ci hanno fatto vivere tanto orrore in questi anni. Questo è quanto vogliamo. Niente più”.

 



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