Perché vincano le parole
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Perché vincano le parole

di Monica Lanfranco


Saranno sotto le sabbie mobili




"Quando abbiamo smesso di pensare?" ha chiesto con grande forza e coraggio femminile la giovane scrittrice e giornalista Irshad Manji circa un anno fa nel suo libro che si intitola proprio così, con una domanda rivolta alla comunità islamica da lei, pensatrice femminista, lesbica e credente, ora sotto protezione perché invisa ai fanatici fondamentalisti di fronte al suo dirsi islamica e donna libera che critica la sua religione.

Abbiamo tutti e tutte bisogno, oggi di voci, di immagini, di ironia, di satira che ci salvino dai fondamentalismi: abbiamo bisogno di parole e di domande sensate contro la violenza di chi uccide, distrugge e intimidisce nel nome di qualunque Dio. Di vignette brutte non ce né mai bisogno, ma tra una vignetta brutta e non aver più la libertà di espressione, specialmente quella di critica alle religioni o ai poteri secolari scelgo la bruttezza, e anche la volgarità, che sono tratti umanissimi e per questo perfettibili. Parole e domande e risposte ci servono, non pietre (quelle che piovono in Iran sulle ragazze che osano uscire di casa da sole); parole, non bombe (quelle intelligenti lanciate da chi vuole esportare la democrazia); parole, non bombe umane (quelle dei corpi dei giovani colti e disperati, talvolta benedetti  nel correre verso la morte e l'assassinio dalle loro madri, una di loro eletta da Hamas) che si lanciano su coetanei dall'altra parte del muro, e che oggi pretendono di velare tutte le palestinesi, in un tempo non lontano esempio di emancipazione femminile nel mondo arabo.

Le parole sono pietre, è vero; si usano anche per ferire, e fanno male. Come le immagini, le parole sono fendenti spesso terribili, e le donne lo sanno. Gli uomini per insultarsi denigrano le reciproche madri, sorelle e congiunte; gli uomini  per calunniarsi equiparano i subalterni  alle femmine, e costruiscono diritti, simboli e tradizioni discriminanti e violente. E, ci ammonisce la studiosa iraniana Maryam Namazie all'orizzonte c'è anche l'insidia del relativismo culturale, di chi cioè "dice che dobbiamo rispettare le culture e le religioni, non importa quanto esse siano deprecabili. Questo è assurdo, è chiedere il rispetto della crudeltà. Ogni essere umano è degno di rispetto, ma non tutti i convincimenti devono essere rispettati. Se una cultura permette che una donna sia mutilata e uccisa per salvare l'onore della famiglia, questo non ha scusanti. Nella Repubblica Islamica dell'Iran le regole religiose sono diventate strumenti per omicidi di massa. Se la religione dice che le donne disobbedienti devono essere battute, che frustarle è accettabile e che in genere le donne sono deficienti, questo va condannato, e ci si deve opporre. Chiunque rispetti l'umanità deve impegnarsi per l'abolizione di ciò che è incompatibile con la libertà umana".

Oggi i poteri forti che usano la religione, qualunque religione, in modo politico lo fanno sempre di più per imporre visioni totalitarie, nei modi e nei contenuti. Lo sappiamo noi qui in Italia, lo abbiamo vissuto prima sulla nostra pelle in occasione del referendum sulla procreazione assistita, e ora circa l'aborto e la centrale questione delle scelte affettive, sessuali e familiari. Lo sanno anche le migliaia di donne e di uomini, la cui voce è ancora debole, che nei paesi a maggioranza di fede islamica lottano per la democrazia e la secolarizzazione:

le donne del Women living under muslim laws scrivono, in una loro recente analisi, scrivono: "Non possiamo isolare i fondamentalismi religiosi da altre forme di fondamentalismo che non si focalizzano sulla religione, ma che creano insieme delle alleanze ideologiche e politiche, come i fondamentalismi basati sull'etnicità e la cultura, giacché il fondamentalismo non è un movimento religioso, come pretende di essere.

Il fondamentalismo è la forma attuale del fascismo. Lontani dall'essere oscurantisti ed economicamente arretrati, i fondamentalismi sono modernisti e capitalisti. Alla fine di un secolo che ha visto risorgere vecchie religioni e nuove sette, così come ha visto risorgere la spiritualità nelle società che hanno perso la fede nella trasformazione verso la giustizia sociale, la gente delusa e disperata si rivolge al divino e verso valori che pensavamo ormai tramontati. Alla fine di un secolo che ha visto la globalizzazione economica e politica minacciare le nostre vite, siamo testimoni di una conseguenza imprevista di questa globalizzazione: individui atomizzati, intercambiabili, timorosi per la propria vita, che si raggruppano istintivamente con le loro famiglie per sostenersi reciprocamente. Un proverbio nord-africano riassume bene questa reazione: ' io contro mio fratello; io e mio fratello contro mio cugino; io, mio fratello e mio cugino contro la mia tribù; io, mio fratello, mio cugino, la mia tribù contro la tribù del villaggio vicino...'. L'altra faccia della globalizzazione è la frammentazione delle comunità secondo i binari della religione, dell'etnicità o della cultura. È questa la situazione sfruttata dai fondamentalismi. Ma non è la stessa su cui si sono appoggiati tutti i fascismi? I diritti umanitari, con il loro contro-obiettivo dell'universalismo, dovrebbero identificare nei fondamentalismi la peggiore minaccia attuale".

Per questo per  fine maggio a Genova la rivista Marea sta organizzando due giornate di analisi e informazione sulle pratica di opposizione ai fondamentalismi, dando voce a quelle donne e uomini che prendono parola mettendosi in pericolo affinché  censura, violenza e sopraffazione siano solo parole e non l'unica mortale realtà che ci sta velocemente e inesorabilmente minacciando come genere umano. Soheib Bencheikh, imam riparato in Francia e minacciato di morte dai fondamentalisti, è voce libera e ragionevole di un Islam pacifico, del quale pubblichiamo questa riflessione; a maggio a Genova lui ci sarà.



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