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Dell’educare. 40
Il processo d’appartenenza…
Aldo Ettore Quagliozzi
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Dall’agile volumetto di Paolo Crepet “Voi, noi“ ho tratto due paginette che propongo nell’occasione.
In verità il volumetto predetto porta un sottotitolo che penso sia molto esplicativo del contenuto stesso della pubblicazione, ovvero si sottotitola “Sull’indifferenza di giovani e adulti“, come male del mondo che connota i rapporti umani nel tempo della massima globalizzazione.
E’ una lettura molto interessante e che offre spunti di riflessioni innanzitutto agli operatori scolastici, e perché no, anche alle famiglie, nella loro delicatissima funzione educativa e pedagogica.
Prima paginetta
“( … ) Il processo d’appartenenza (dei giovani, dei preadolescenti/adolescenti n.d.r.), per svilupparsi, non richiede soltanto un gruppo, esige anche un luogo.
La strada è il luogo terzo, diverso sia da quello in cui un genitore educa i figli, sia da quello in cui un altro adulto li istruisce.
La strada, dove adolescenti incontrano altri adolescenti, senza adulti per le regole, senza maestri per i giudizi, senza padri né madri per i permessi e i divieti.
La strada come come spazio libero, lontano dall’omologazione a uno schiacciante conformismo educativo di un opprimente scacchiere normativo.
La strada, luogo d’incontro con l’alieno, con l’altro da sé.
La strada strumento per costruire la propria identità nell’appartenenza a un gruppo che rappresenta la somma delle singole identità.
La strada sinonimo di libertà, dunque di crescita nell’autonomia: luogo della sperimentazione, della maturazione costruita per tentativi ed errori. ( … )“
Seconda paginetta
“( … ) Il racconto-affabulazione, ( … ), consente di alimentare e rafforzare le difese psicologiche di un bambino: gli consentirà di non essere sopraffatto dalla noia e di non stancarsi mai di cercare la dimensione emotiva e passionale nei progetti che costruirà, nelle decisioni che dovrà prendere.
Raccontare e leggere storie ai piccoli preserverà, negli adulti che essi diventeranno, il senso di quell’antica scoperta, la necessità di non arrendersi a una abulia relazionale.
In un mondo così abile a riprodurre odio e distruzione, raccontare favole ai bambini potrebbe insegnare agli adulti che i nostri piccoli hanno diritto a crescere sognando, ma anche che narrare permette a ciascuno di non smettere di comunicare emozioni, di non cedere al silenzio, all’afonia sensoriale, all’incomprensione e all’indifferenza. ( … )“
maggio 2005
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