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Dell’educare. 39
Il problema è che la televisione non educa abbastanza…
Aldo Ettore Quagliozzi
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Non ha bisogno di presentazione alcuna la paginetta tratta dal famosissimo saggio “Cattiva maestra televisione“ di Karl Popper.
Se non la richiamata e sempre ricordata “pericolosità“ del teleschermo nella formazione delle giovani generazioni, con l’alterazione spesso conseguente del “principio di realtà“ tanto caro al pensatore, e con il ribadito insostituibile ruolo della scuola e dei suoi operatori nell’indispensabile aiuto da fornire ai giovani nell’interpretazione dei messaggi spesso ambigui, con una accorta opera di orientamento e rivisitazione dei contenuti e dei messaggi sovente subliminali.
“(...) Il problema è che la televisione non educa abbastanza, ma che educa troppo, esercitando una forza irresistibile; il guaio non è che trasmette false mitologie e inganni simili, ma che compie una vigorosa demistificazione e dissipa senza indugio le nebbie protettive dell’ignoranza che solitamente avvolgono i bambini affinché continuino a essere tali.
Per secoli, l’infanzia si è mantenuta in un limbo sospeso da cui i piccoli uscivano con la gradualità dettata dalla volontà pedagogica degli adulti.
Le due principali fonti di informazione erano i libri, da un lato, che richiedevano un lungo apprendistato per poter essere decifrati e compresi, e, dall’altro, le lezioni orali di genitori e maestri, somministrate in sagge dosi.
I modelli di comportamento che venivano offerti al bambino non potevano essere scelti volontariamente o rifiutati, perché non c’era alternativa.
Solo una volta giunti a una certa maturità e dopo essersi ripresi dall’infanzia i neofiti incominciavano a rendersi conto del fatto che esistevano più cose fra cielo e terra di quanto non fosse stato concesso loro di conoscere fino a quel momento.
Quando l’informazione rivelava le possibili alternative ai dogmi familiari, facendo largo alle angosciose incertezze della libera scelta, la persona era abbastanza formata per sopportare, meglio o peggio, la perplessità.
Ma la televisione ha messo fine a questo disvelamento graduale delle realtà feroci e intense della vita umana.
(...) L’identità infantile (erroneamente definita l’innocenza dei bambini) consisteva nello ignorare quelle cose e nel disporre solo di favole al riguardo, mentre gli adulti erano caratterizzati proprio dal fatto di possedere e gestire la chiave di tanti segreti.
Il bambino cresceva in un’accogliente oscurità, appena intrigato da quei temi sui quali non gli si rispondeva ancora del tutto, ammirando con invidia la saggezza degli adulti e desideroso di crescere per diventare degno di condividerla.
Ma la televisione rompe questi tabù e con generoso disordine racconta tutto. (...) ... per vedere la televisione non è necessario alcun apprendimento specialistico: è caduta la faticosa barriera che l’alfabetizzazione imponeva rispetto al contenuto dei libri.
(...) La televisione offre modelli di vita, esempi e controesempi, vìola tutti i pudori e alimenta nei piccoli quell’urgenza di scegliere insita nell’abbondanza di notizie spesso contraddittorie (insieme alla marea di dubbi che l’accompagnano).
Ma c’è qualcosa di più: (...) “La televisione tende a riprodurre i meccanismi di socializzazione primaria impiegati dalla famiglia e dalla Chiesa: socializza attraverso gesti, climi affettivi, toni di voce e promuove credenze, emozioni e adesioni totali”. (J.C.Tedesco)
(...) Non c’è niente di tanto sovversivo, dal punto di vista educativo, quanto un televisore: lungi dallo sprofondare i bambini nell’ignoranza, come credono gli ingenui, fa loro apprendere tutto dal principio senza alcun rispetto per le procedure pedagogiche.
(...) ...tipico della televisione è agire quando i genitori non ci sono e, molte volte, per distrarre i figli dal fatto che i genitori non ci sono... mentre altre volte ci sono, ma anch’essi muti e incantati davanti allo schermo quanto i bambini.
L’attuale compito della scuola è quindi doppiamente complicato. Da una parte deve farsi carico di molti elementi di formazione primaria della coscienza sociale e morale dei bambini che una volta erano responsabilità della socializzazione primaria familiare.
Innanzi tutto, i maestri devono suscitare “il principio di realtà” necessario affinché i bambini accettino sottoporsi allo sforzo di apprendere: una disciplina che è precedente all’insegnamento stesso, ma che i docenti devono gestire insieme ai contenuti secondari dell’insegnamento, che per tradizione sono di loro competenza.
(...) In passato, il maestro poteva giocare con la curiosità degli alunni, desiderosi di riuscire a penetrare i misteri che ancora erano loro proibiti e dunque disposti a pagare il pedaggio di saperi strumentali di acquisizione spesso faticosa.
Ma adesso i bambini arrivano già stanchi di mille notizie e visioni variopinte che non gli è costato nulla acquisire ... e che hanno ricevuto senza volerlo!
Il maestro deve aiutarli a organizzare queste informazioni, in parte a combatterle, e offrire loro gli strumenti cognitivi per renderle utili o, almeno, non dannose. ( … )”
aprile 2005
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