I pastori erranti del bene comune L'«Homo civicus» di Franco Cassano, tra partecipazione e conflitto
ENZO SCANDURRA

Come è avvenuto - si chiede Riccardo Petrella - che il nostro mondo sia passato da una forma di organizzazione del bene comune ad una società che non conosce la cultura del bene comune e si rifiuta addirittura di riconoscere che i membri di una comunità possano condividere un certo numero di beni e servizi? Come possiamo fare ancora società? Come è possibile fare società se non abbiamo più niente in comune? A prima vista la risposta la diede Garrett Hardin in un suo saggio rimasto famoso: The Tragedy of the Commons pubblicato nel 1968 su la rivista Science: a partire dalla metafora del pastore razionale, Hardin sostenne che «ciascun uomo è chiuso dentro un sistema che lo costringe ad accrescere il proprio gregge all'infinito. La destinazione finale verso cui tutti corrono è la rovina, perché ciascuno persegue il proprio interesse dando per acquisito che i beni comuni sono liberi; che godono di una libertà che porta tutti alla rovina». Non a caso, il sottotitolo del libro Homo civicus di Franco Cassano suona: La ragionevole follia dei beni comuni (Dedalo edizioni, pp. 172, € 15). Il tenore di vita della parte più ricca del mondo non sembra negoziabile: e questa è la follia. Nel frattempo, dice Cassano, la madre di tutti i beni comuni, il nostro pianeta, va progressivamente alla rovina. Ed ecco il senso dell'ossimoro: follia e ragionevolezza devono essere costrette a coabitare. La figura retorica dell'ossimoro è particolarmente cara a Cassano perché, spiega lui stesso «possiede la qualità di custodire il fuoco della tensione, di combattere la sedentarietà del pensiero, spingendolo ogni volta a ripartire per andare a guardare tutte le figure dall'altra parte». Anche il linguaggio usato da Cassano ha una valenza importante: esso, attraverso continue invenzioni e trasgressioni, riesce a connettere l'esperienza privata e quotidiana dei singoli ai temi della politica «alta» ricomponendo la frattura che c'è tra i due linguaggi.
La danza della politica
«Un paese ci vuole», sciveva Cesare Pavese e questo sentimento di affetto è la premessa indispensabile per la sottrazione dei luoghi comuni allo scempio, per battere i particolarismi e gli accaparramenti privati. Ma come? Ma come è possibile sconfiggere il paradigma di Hardin che sembra sempre più confermato dalle tendenze in atto? La questione non può essere affrontata facendo semplicemente appello a un'etica che non c'è, al richiamo del rispetto ambientale e neppure delegandola alla politica istituzionale. La salvaguardia dei beni comuni resta un ossimoro in questa economia di mercato che enfatizza le libertà personali e occulta i valori dell'uguaglianza e dell'appartenenza. C'è forse troppo rumore nella enfasi della partecipazione (che non risolve tutti i problemi dell'accesso alla politica), così come la politica «diversa», o il mondo diverso restano consegnati ad una utopia incerta che non riesce a farci uscire dal guado.
L'ideologia liberista fondata sul consumismo produce da una parte un mondo di esclusi e di senza diritto alla vita, ma dall'altra rende spesso complici e alleati anche coloro che pure si sentono impegnati a combatterla. La ricetta proposta da Cassano non è però fuori dalla politica perché come lui stesso afferma: «La politica è accompagnata da una cattiva fama, ma ha una funzione vitale in ogni società democratica: essa è la cura libera e corale dell'isolamento prodotto dall'individualismo».
Il ruolo delle associazioni non è quello allora di trasformarsi a loro volta in partiti, ma quello di far ballare i partiti, di farli ballare bene e sulla base della musica preferita dagli elettori e dai loro iscritti. Si tratta, dice Cassano, di ricostruire lo spazio pubblico, quello dove è possibile realizzare la vita activa di cui parlava Hannah Arendt, ovvero la «condizione umana della pluralità». Gli fa, in buona misura, eco un altro libro uscito recentemente, quello di Paul Ginsborg Il tempo di cambiare. Politica e potere della vita quotidiana (Einaudi, 2004). Molto spesso, dice Ginsborg, coloro che desiderano migliorare la qualità della vita nella strada, nel quartiere o nella città in cui abitano sono costretti pressoché immediatamente a stabilire connessioni tra le proprie vite individuali e le forze più estese e più remote che le configurano. Dichiarare guerra al traffico che inquina il centro storico di Firenze, ad esempio, ci pone faccia a faccia con un modello globale di mobilità individuale, oltre che con un particolare modello italiano che vede un sovraffollamento di auto in uno spazio troppo ristretto.
Quali sono allora le condizioni che consentono di superare la dispersione individualistica e costruire l'azione collettiva? Come è possibile passare da un circolo vizioso ad uno virtuoso, da una profezia negativa, che nasce dalla depressione e la produce a sua volta, ad una profezia positiva, capace di stimolare con un effetto a valanga l'azione solidale e positiva? Queste le domande poste dal libro di Cassano, che certo fanno tremare i polsi a chiunque ritenga di poter risolvere col diritto positivo o con la mediazione politica la questione dei beni comuni. Punto di partenza, per Cassano, è l'idea di una cittadinanza attiva, quella che «ri-negozia» continuamente le deleghe che non sono state date una volta per tutte, una cittadinanza inquieta, capace di rimettersi continuamente in discussione, una cittadinanza che non abbassa mai la guardia: l'homo civicus non è allora un suddito devoto né un giulivo consumatore, ma l'uomo capace di autogoverno, così come diceva Aristotele. Ma questo non basta; occorre anche colpire al cuore alcuni paradigmi economici che oggi ci sembrano «naturali» perché il singolo cittadino trovi conveniente la difesa dei beni comuni. Lo studioso statunitense Albert Hirschman sosteneva che «la distinzione netta tra costi e benefici dell'azione [...] scompare, poiché gli sforzi, che dovrebbero stare dal lato dei costi, risultano invece essere parte dei benefici».
Effetto valanga
Esemplificativa a questo proposito una interessante storiella spesso raccontata da Federico Caffé e riportata nel libro di Bruno Amoroso La stanza rossa (Città aperta, Troina). Una turista americana carica di macchine fotografiche sta salendo su per una collina. Arrivata in cima, si sta riposando, stanca della fatica quando vede arrivare una ragazza che porta un bambino in braccio. «Anche lei è stanca per il peso che trascina con sé?», le chiede. E l'altra sorridendo, e guardando il bambino, risponde: «No, è mio fratello».

Cassano indica anche teoricamente come possono innescarsi circoli virtuosi tra cittadini anziché la difesa dei singoli interessi. Uno degli esempi riportati è preso da Elster da lui stesso chiamato «effetto palla di neve». Succede cioè che alcuni individui disposti ad impegnarsi nell'azione collettiva, senza alcun timore per i danni che deriverebbero loro se dovessero verificare di essere i soli a cooperare, avviano una difesa dei beni comuni. Il loro comportamento riduce i costi d'ingresso nell'azione di tutti coloro che, per muoversi, hanno invece bisogno che qualcuno inzi prima di loro.
L'effetto è quello di una piccola palla di neve che comincia a rotolare e alla fine diventa una vera e propria valanga. L'ipotesi annunciata non è una stravaganza teorica. Molti esempi di questo genere hanno caratterizzato episodi politici di partecipazione al sud, per esempio la stagione dei sindaci che si proponevano come i motori di una nuova storia, di una rigenerazione del tessuto civile del Mezzogiorno.
Insomma un libro, quello di Franco Cassano, difficile e semplice per chi voglia dare ascolto alle voci fuori dal palazzo. Carlo Levi scelse come titolo per la raccolta postuma delle poesie di Rocco Scotellaro quello di: «E' fatto giorno». La nottata siamo noi, termina il libro Franco Cassano, e questo nostro essere qui ha senso solo se vuol dire che il sud ha ricominciato a svegliarsi, se ancora una volta s'è fatto giorno, e quel giorno siamo noi.
http://www.ilmanifesto.it/ricerca/ric_view.php3?page=/Quotidiano-archivio/20-Febbraio-2005/art117.html
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