Yang Huanyi, l'ultima voce del Nu Shu E' morta a 95 anni l'unica testimone parlante dell'antica lingua cinese delle donne Memoria di carta Si chiude un'epoca di trasmissione originale della cultura Nu Shu e di creazione di nuovi versi
 di MARTA MARSILI
Nei giorni scorsi si è appresa la notizia della morte di Yang Huanyi, ultima testimone diretta del Nu Shu - la scrittura delle donne in Cina. È morta nella sua casa all'età di 95 anni. La sua scomparsa segna un punto cruciale della storia di questo codice, che perde la sua ultima voce narrante e diventa memoria su carta. Il manifesto ha seguito la storia recente del Nu Shu: ha dato notizia della sua scoperta in occidente, testimoniando dell'interesse che questo linguaggio ha suscitato; ha seguito l'evolversi degli studi più o meno ortodossi portati avanti sul tema; si è interrogato sulla valenza di alcuni documenti e sulle fantasie che inevitabilmente hanno accompagnato la scoperta di questo sistema di trascrizione, sottolineandone sempre l'aspetto creativo legato al desiderio di comunicare in una lingua propria parole ed emozioni comuni. Quest'ultimo rimane, infatti, uno dei caratteri predominanti del Nu Shu, oltre al fatto di essere un importante esempio del ruolo della scrittura in un contesto etnografico. La sua stessa natura di scrittura inventata e utilizzata solo da donne, infatti, ha contribuito a farne un caso, ed è servita al tempo stesso a ribadire l'esistenza di forme espressive normalmente ignorate dalla cultura ufficiale. All'invenzione del Nu Shu si legano un gran numero di leggende in ciascuna delle quali è presente un tratto specifico di esaltazione del potere liberatorio proprio della parola scritta e del riscatto per chi ne fa uso. E almeno per le donne che, come Yang Huanyi, raccontano di averlo studiato e praticato, il Nu Shu è stato sostanzialmente questo. Il Nu Shu nasce dalla trascrizione di versi e canzoni tradizionali che le donne Yao delle contee di Jianyong e Yongming (Hunan) usavano cantare durante i lavori di tessitura. Il supporto inizialmente più usato per scrivere in Nu Shu era la stoffa, e la forma stessa dei caratteri che lo componevano indicava una stretta relazione con il ricamo, attività in cui le donne Yao eccellevano. Il classico della letteratura Nu Shu resta tuttavia il Sanzhaoshu, il Libro del terzo giorno, una raccolta di poesie e canzoni che le donne del villaggio usavano donare alle giovani spose in occasione della cerimonia d'addio che avveniva a tre giorni dal loro matrimonio, e che, dato il vigente regime di patrivirilocalità, sanciva il loro definitivo allontanamento dal villaggio natio. Un libro interamente tessuto e ricamato a mano che aveva il compito di alleviare il sentimento di dolorosa solitudine che colpiva le donne, improvvisamente private della compagnia dei loro affetti più cari. L'occasione privilegiata per praticare il Nu Shu era nei laotong, o brigate femminili, piccole comunità di villaggio all'interno delle quali vigeva un codice di mutua assistenza. Questi gruppi erano normalmente composti da sei-sette donne, per lo più coetanee, accomunate dal medesimo stato civile di nubili o di vedove. La fequentazione di un laotong era vincolata a un complesso rituale di accoglienza, al termine del quale la nuova arrivata entrava davvero a far parte del gruppo. L'usanza dei laotong ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione di questo codice: il lungo tempo in essi trascorso a svolgere le attività più varie consentiva la nascita di relazioni di amicizia intensa e la trasmissione delle conoscenze, compresa quella del Nu Shu.
Yang Huanyi, che aveva preso parte a una brigata in tenera età, parlava spesso della sua vita nel laotong come del periodo più felice della sua esistenza. Insieme ad altre donne ha esplicitamente indicato il Nu Shu come sostegno fondamentale alla sua vita, soprattutto dopo il matrimonio e riconosciuto come, grazie alla sua pratica, sia stato possibile sopportare il dolore per la lontananza dai suoi cari e dalle antiche abitudini. Imparò il Nu Shu da adolescente, grazie alle lezioni che una donna di un villaggio vicino le impartì gratuitamente per un lungo periodo. Appena fu in grado, si dedicò alla composizione di versi e alla realizzazione di ricami che regalò nel tempo alle sue compagne di brigata. Capitò anche a lei di allontanarsi dal suo gruppo, per contrarre un matrimonio concordato con un uomo che neppure conosceva, e quando vi ritornò da anziana vedova fu in un certo senso un gran sollievo. Yang Huanyi appartiene a coloro che più hanno amato e praticato questa lingua sessuata, anche quando, alla fine degli anni `70 cadde in completo disuso. Fino all'ultimo ha scritto versi riuscendo a tenere moltissimi vocaboli; ciò ha permesso ai molti studiosi che si sono occupati di questo codice, di trovare una fonte originale, incarnata in un soggetto che l'ha custodita e praticata, salvandola dall'oblio. È soprattutto grazie alle sue competenze che è stato possibile ricostruire molta parte del vocabolario del Nu Shu; il suo sapere, insieme a quello di molte altre sue coetanee, è stato essenziale soprattutto per la redazione del Nu Shu Zidian, il dizionario Nu Shu che lo studioso Zhou Shuoyi ha compilato all'incirca due anni fa (vedi il manifesto del 29 luglio 2003). Ma è anche tra quelle che hanno permesso la divulgazione di questo codice in un contesto internazionale: partecipò, infatti, a un seminario dedicato al tema nell'ambito degli incontri non ufficiali della IV Conferenza mondiale delle Donne Onu nel 1995 a Pechino e raccontò la sua storia davanti alla macchina da presa di Yang Yueqing, la regista sinocanadese che nel 2001 con il suo documentario Nu Shu: a hidden language of women in China vinse, tra gli altri, il Festival del Cinema delle Donne di Torino.
Con la morte di Yang Huanyi si chiude un'epoca di trasmissione originale della cultura Nu Shu e soprattutto di creazione di nuovi versi. La parola passa ai libri e alle donne che cresceranno nel desiderio di studiare questa straordinaria cultura attraverso i manuali. Sarà certamente diversa da quella delle protagoniste che l'hanno sperimentata in prima persona e l'hanno coltivata sentendola propria, ma sarà forse il caso di provare, per non rischiare di smarrire la memoria di questo straordinario linguaggio.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archi...2004/art93.html
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