C’era anche lei in Campidoglio all’apertura della campagna di Amnesty International contro la violenza sulle donne. Si chiama Hauwa Ibrahim ed è l’avvocata di Amina Lawal e Safiya Husseini, le due donne salvate dalla lapidazione in Nigeria. Da 16 anni esercita la sua professione appoggiandosi a una ong locale. È stata più volte con i suoi colleghi accusata di essere contro la shari’ah. Accuse a cui risponde: «siamo semplicemente avvocati e quindi pretendiamo il rispetto dei diritti». Venerdì scorso sedeva, con il suo abito tradizionale, a fianco di Mariella Gramaglia, assessore alle Pari opportunità del Comune di Roma. Ha semplicemente annuito ascoltando la citazione dell’assessore delle parole della leader democratica birmana, nonché Premio Nobel per la pace, Aung San Sun Kyi . Suonavano più o meno così: «c’è tanta oscurità nel mondo ma è solo assenza di luce. Dobbiamo solo abituarci alla visione fioca, perché allora piano piano la benedizione della luce crescerà. Tutta l’oscurità del mondo non può cancellare nemmeno la più piccola fiamma di candela». Hauwa, che di oscurità se ne intende, ha risposto alle nostre domande.
Quali tipi di battaglie sono necessarie nel suo paese? Fino a quando le donne nel mio paese non avranno voce i loro diritti saranno infranti. È un tema, questo, che si intreccia con motivi religiosi e culturali. Basti pensare che in Nigeria, nella parte nord, circa l’80% della popolazione è analfabeta. Senza l’istruzione non si va da nessuna parte. Inoltre più c’è povertà, più c’è violenza. E intanto la carta delle Nazioni Unite continua a recitare che «tutte le persone sono nate uguali e libere».
Qual è la sua personale lotta? Non ho lotte personali, sono solo un avvocato. Tuttavia penso che sia necessario non solo quello che facciamo in tribunale, con il nostro lavoro, caso per caso. Anche se l'aspetto più importante non è di ordine giuridico, ma di civiltà. Siamo riusciti a entrare nella società nigeriana, abbiamo portato nelle case l'idea dell'ingiustizia che quelle donne stavano subendo. Sono state le famiglie a capire l'importanza e la gravità di ciò che stava avvenendo. È anche importante collegarsi a organizzazioni non governative a livello internazionale. Riportando alle coscienze di tutti i grandi problemi da bandire. Come quello dell’analfabetismo. Perché le donne lasciate senza istruzione saranno per sempre delle vittime.
Lei ha frequenti relazioni con le donne dei paesi occidentali. Che cosa differenzia e cosa unisce? In Occidente le lotte sono per alcuni diritti, come ad esempio la decisione sul rimanere incinta o meno. È chiaro che la situazione è differente nei nostri paesi. Qui si lotta per la sopravvivenza. D’altronde solo tutte insieme potremo davvero costruire un mondo migliore e restituire la dignità alle donne. Come è stato con Amina ad esempio. Grazie anche agli italiani, non solo si è salvata una vita ma lo spirito che anima il nostro lavoro.
Elisabetta Galgani 8 marzo 2004
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