Nowruz in Kurdistan
di Karim Metref
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Nowruz in Kurdistan


C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un grande re molto potente e molto crudele di nome Dahik. Questo re soffriva di una strana malattia. Dei tanti medici accorsi da tutte le parti del regno per curarlo, solo uno riuscì ad individuare un rimedio non per guarire il monarca definitivamente da questo male misterioso, ma almeno per mantenerlo in vita. Il re, per restare vivo, doveva periodicamente mangiare il cervello (o bere il sangue secondo un’altra versione) di un giovane fanciullo maschio in buona salute.
Così, da quel giorno, almeno una volta la settimana Dahik si faceva portare un giovane fanciullo sano e forte, lo faceva uccidere e ne mangiava il cervello.
In una piccola località vicina al castello di Dahik viveva Daku, un povero fabbro, con sua moglie e i suoi sette figli. I figli di Daku erano tutti belli e forti, abituati dalla giovane età ad aiutare il loro padre nel suo duro lavoro.
Il re cominciò a prelevare uno dopo l’altro i figli di Daku cominciando dal maggiore. Il fabbro e sua moglie piangevano tanto, ogni volta. Ma, poi, si arrendevano al loro destino e accettavano la sciagura che colpiva tutto il paese e non solo loro.
Il re aveva visibilmente apprezzato i figli di Daku perché dopo il maggiore si fece portare il secondo, poi il terzo, poi il quarto e così fino al settimo, il più piccolo, il preferito del padre e della madre, tanto bello e ancora tenero. A questo punto Daku non ce la fece più e prese in mano la spada che aveva appena finito di forgiare e uccise gli inviati del re.
Poi, si lanciò da solo all’assalto del Palazzo. Uccise le guardie colte di sorpresa e si trovò così a faccia a faccia con Dahik. Questi tentò di calmare Daku proponendogli soldi, onori e potere ma Daku era deciso a finirne definitivamente con l’oppressione e uccise il tirano decapitandogli d’un solo colpo di spada.
Quando, la popolazione venne a sapere la notizia, tutti furono contenti della fine dell’oppressione. Decisero di annunciare la buona notizia a tutto il paese. Allora, per far capire a tutti i villaggi e città della regione che qualcosa di eccezionale era accaduto, hanno acceso sui monti del paese dei grandi fallò che si potevano vedere da molto lontano.
È da quel giorno che la data rimase simbolo della vittoria del bene sul male, della luce sulle tenebre, della primavera sull’inverno e fu chiamata Nowruz (giorno nuovo).
Un giorno nuovo era nato.


La festa del Nowruz è festeggiata in tutto l’antico mondo persiano. Anche in Iran è festa nazionale. Ma i Kurdi ci tengono in modo molto particolare. Soprattutto laddove sono stati impediti di esprimere la loro cultura liberamente (cioè quasi dappertutto).
Ad ogni primavera nuova, il popolo kurdo, quando può, esce per le strade e per i campi a festeggiare l’arrivo del giorno nuovo. Ogni anno si celebra la vincita del bene sul male con canti e balli popolari e con gite nella campagna per giocare, ballare e mangiare tutti insieme in mezzo alla campagna. Tutti si vestono del meglio che possono e le donne, particolarmente, portano colori molto vivaci e tessuti brillanti in onore del risveglio della natura. E, di notte, gli uomini salgono sui monti per accendere grandi falò, annunciando al mondo l'arrivo della stagione del bene.
In Iraq, sono 30 anni che i festeggiamenti del Nowruz sono limitati. Anche se il giorno fa parte delle feste ufficiali sul calendario iracheno, il governo vietava ogni espressione popolare di gioia. Niente balli per le strade e niente fallò sulle montagne. Anche se i Kurdi, irriducibili, si arrangiavano sempre per accendere qualcosa su qualche monte, sfuggendo alla sorveglianza armata.
Da qualche anno, le zone autonome hanno ripreso a festeggiarlo decentemente. Ma quest’anno è molto particolare per i Kurdi Iracheni. Quest’anno, tutti i Kurdi presenti sul territorio iracheno possono finalmente festeggiare il Nowruz liberamente. Allora in tutta l’Iraq, anche in zone lontane dalla terra Kurda, si sono visti dei falò. Se non sui monti (anche perché in buona parte del territorio non c’è neanche una collinetta), almeno sui terrazzi di alcune case.
Insieme con alcuni impiegati iracheni dell’organizzazione decidiamo di andare verso nord per condividere la gioia con il popolo kurdo. All’inizio, il gruppo doveva essere importante poiché alcuni volevano portare amici e altri le loro famiglie. Ma poco a poco, uno dopo l’altro cominciarono a desistere per un motivo o per l’altro. Ma il motivo reale è soltanto quello delle pressioni da parte delle loro famiglie. Dopo la carneficina dell’Asciurà, tutti qua temevano la stessa cosa per Nowruz. Anche le autorità kurde temendo attacchi terroristici hanno annunciato l’annullamento dei grandi festeggiamenti nelle città e hanno invitato le popolazioni a dirigersi verso la campagna ridando così al “giorno nuovo” primavera la sua vocazione prima di festa della natura.

Comunque sia, la mattina del 21 marzo, siamo in otto (2 donne, 3 bambini e 3 uomini) ad intasarci nella “Toyota Super Crown”, la signora macchina, del 1985 ma ancora in perfetto stato, di Marwan l’autista dell’organizzazione. Decidiamo in ultima istanza, invece di Dahuk, la nostra destinazione iniziale, di dirigerci verso Akre, una piccola località del governorato di Irbil.
Il resto dell’Iraq è collegato, in questa zona, all’area autonoma Kurda solo da un ponte metallico improvvisato dopo una guerra o l’altra. Dietro il ponte, il controllo Kurdo è molto severo oggi, si controllano tutti i veicoli in ingresso. Il Kurdistan è molto bello, e vedendolo si capisce perché i Kurdi non sono mai stati lasciati in pace. Se aggiungi alla ricchezza delle sue pianure e all’abbondanza della sua acqua, anche il fatto che le più grosse riserve di petrolio della regione sono proprio qui… allora sono grane a non finire mai.
Arriviamo a Akre dalla collina precedente e la vista dall’alto di questa cittadina sospesa sopra la valle, con le sue case ammucchiate una sopra l’altra in un disordine, mi lascia col fiato sospeso per qualche secondo.
Ma passiamo oltre Akre e le sue cascate d’acqua fresca e andiamo più in alto in montagna. Ci fermiamo vicino al più grande raggruppamento che troviamo e disponiamo, come qualsiasi famiglia kurda di buon costume, il nostro necessario per pranzare in mezzo ai monti nudi. Prima di pranzo cominciano già i balli collettivi, ma le tradizionali Tabl e Zorna (Tamburo e specie di trombetta) sono sostituiti dagli stereo delle macchine. Ci avviciniamo timidamente ma quello che sembra il capo gruppo ci invita calorosamente a raggiungere i ballerini. Quando apprende che sono algerino e di più berbero, il capo mi abbraccia e mi ringrazia, a me il suo “fratello africano” come mi chiama, di essere venuto a condividere la gioia del popolo kurdo. Non ci lasciamo più della giornata. A pranzo ci fa portare del “dolma” buonissimo, poi ci raggiunge per bere il tè con noi. Parliamo un po’ di tutto: Kurdistan, Cabilia, Iraq, Algeria, Turchia…
Il popolo Kurdo nella parte sotto influenza irachena sta vivendo momenti felici. Ma dietro le montagne, in Turchia, in Siria e in Iran, i loro fratelli stanno ancora male. La Turchia continua la politica criminale di svuotamento del Kurdistan dalla sua popolazione e continua a negare fino all’esistenza di tale popolo: lì, sono chiamati ufficialmente “Turchi di montagna”. Ridiamo un buon momento quando gli assicuro che le autorità turche hanno ragione, che “È provato scientificamente che qualsiasi turco preso e messo su un monte si trasforma in quello che gli ignoranti chiamano un Kurdo." È una regola naturale che non si può negare!”
Ridiamo ma, nel frattempo, in Siria la tensione sale dopo scontri in una partita di calcio tra kurdi e Arabi che hanno portato, dopo l’intervento della polizia, alla morte di 14 persone. L’esempio iracheno è invidiato dai kurdi di tutta la regione e questo può ravvivare proteste spente da tempo dalla stanchezza e dalla disperazione. E da lì ad essere usati come giustificazione di un altro intervento militaro-umanitario, temo che ci sia solo un piccolissimo passo per chi sappiamo.
Dopo il tè, ricominciamo a ballare, fino allo sfinimento questa volta.
Al ritorno sono più che mai innamorato di questo popolo meraviglioso. Faccio fatica a credere che qui, poco tempo fa, in mezzo a questa stupenda campagna, si commettevano i crimini tra i più orribili che non abbia mai conosciuto l’umanità.
Oggi mattina siamo tornati a Baghdad. In mezzo al traffico tremendo un’incomprensione tra un poliziotto e Marwan portano l’agente a gridare: “Tu credi che non capisco niente, mi prendi per un Kurdo!” In due in coro l’Autista e Raed un altro nostro impiegato, entrambi Assyri, scattano in coro: "perché? Che cosa hanno i Kurdi?”
“Noi siamo Kurdi!” aggiunge Raed. Il poliziotto è disorientato, balbetta qualche parola di scuse e ci fa segno di partire.
Quest’episodio mi rida’ tanta speranza. C’è speranza in questa terra. La partita non è perduta in partenza. Un giorno verrà in cui si vivrà in pace su questa terra. Prima o poi, la vera ricchezza culturale di questo popolo: la sua incredibile diversità, sarà riconosciuta ed apprezzata.


Karim Metref


http://www.saveriani.bs.it/cem/Karim/09.htm


Baghdad Lunedì 22.03.03. Ore 23.30



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