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Ricettario bioetico contro il senso comune La paura della madre mortifera e la consacrazione del medico a tutore della vita dei prematuri con l'aiuto salvifico delle nuove tecnologie: una singolare commistione tra scienza e ideologia negli atti licenziati dal Cnb nel suo primo anno di vita - Grazia Zuffa

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Documentazione

Abstract:
Ricettario bioetico contro il senso comune
La paura della madre mortifera e la consacrazione del medico a tutore della vita dei prematuri con l'aiuto salvifico delle nuove tecnologie: una singolare commistione tra scienza e ideologia negli atti licenziati dal Cnb nel suo primo anno di vita
Grazia Zuffa

Il documento sulle cure ai neonati prematuri, licenziato il 29 febbraio, è l'atto più rilevante del Comitato nazionale di bioetica insediato dal governo Prodi, nel suo primo anno di vita. C'è un altro parere che il Cnb ha licenziato in questo lasso di tempo: quello sugli embrioni non impiantabili nell'utero materno, e dunque destinati a non nascere, che potrebbero essere devoluti alla ricerca. Tema importante quanto arduo, che interseca anche questioni normative (un certo numero di questi embrioni esiste, nonostante l'obbligo di impianto di tutti gli embrioni prodotti previsto dalla legge 40, che vieta comunque la ricerca). Forse proprio la complessità, insieme al carattere discorsivo del testo, attento alla pluralità degli approcci etici in campo, ne ha limitato l'impatto sull'opinione pubblica. Invece, il parere sui prematuri, espressione - è bene ricordarlo - di una parte, seppur maggioritaria, del Comitato, ha fatto irruzione sulla scena mediatica al traino di un vivace dibattito sui limiti da imporre all'aborto in ragione delle nuove possibilità di sopravvivenza dei neonati molto prematuri. Il documento non si sottrae a questo collegamento, caro all'ala cattolica più estremista, anzi: si legga in proposito la premessa ove si esprime l'intento di precisare e sviluppare la riflessione «anche per quel che concerne le complesse questioni che sorgono quando venga richiesto, nel rispetto delle disposizioni della legge 194, un aborto a carico di un feto che abbia possibilità di vita autonoma al di fuori dell'utero materno». Come dire che questo parere è solo un assaggio, in vista di un'offensiva di lunga lena. Un assaggio già consistente, visto che anche nel dispositivo si raccomanda «un profondo ripensamento in ordine alle modalità comunemente usate per le pratiche di aborto tardivo, che, a norma della legge 194...vanno poste in essere in modo da salvaguardare in ogni caso e in ogni circostanza la possibilità di vita del feto al di fuori dell'utero materno ». Già ho detto della pretestuosità del cosiddetto ripensamento (il manifesto, 1 marzo). E appare singolare che non si ricordi mai il carattere straordinario dell'interruzione di gravidanza in caso di vita autonoma del feto, circoscritta ai casi di «grave pericolo della vita della donna». In passato il problema non si è mai posto e il numero di questi aborti è così limitato che neppure sono citati fra i dati offerti dalle tante relazioni al parlamento, presentate nel corso di trent'anni dai governi di ogni segno e ogni colore. Neppure esiste un problema di «corretta applicazione della legge», formula che vive un momento di fortuna bipartisan nel dibattito politico e che anche il documento pare assecondare, coi ripetuti riferimenti al «rispetto della 194». No, la partita odierna non si gioca sulla legge, almeno in prima battuta. Più insidiosamente, la 194 è evocata in chiave simbolica, a rappresentare oggi la nascita, dopo la gravidanza, quale terreno del conflitto, terribile e insanabile, fra la madre e il nascituro: dall'embrione «uno di noi» fino al feto che può vivere senza di lei, a patto che sia sottratto alla di lei volontà maligna. Non c'è purtroppo alcuna enfasi retorica, basti vedere l'incredibile interpretazione che il documento del Cnb offre della stessa norma che richiama il medico al dovere di «adottare ogni misura idonea a salvaguardare il feto». L'intenzione del legislatore è chiara: si chiede di fare il possibile per salvare anche il bambino che non può proseguire la vita intrauterina, perché la madre non può portare avanti la gravidanza. Invece, nel testo in questione l'articolo è letto in chiave di investitura del medico a difendere il feto e a sottrarlo alla madre «che desiderando interrompere la gravidanza si rende disponibile alla morte del feto»(sic!). E ancora, in un crescendo: «l'obbligo del medico è previsto dalla legge sull'aborto proprio per escludere che la volontà della persona che ha deciso per l'interruzione di gravidanza possa ottenere un riconoscimento e produrre effetti anche come volontà orientata alla soppressione della vita fetale». Sono passaggi altamente evocativi, nella loro impudenza: torna in mente l'immagine del «parto dell'uomo », felicemente coniata da Nadia Filippini nella ricostruzione simbolica del parto cesareo; ed è fin troppo facile intravedere sullo sfondo il vero conflitto terribile, quello fra uomini e donne, quello degli uomini contro le donne, per il controllo della procreazione. Il conflitto che di continuo si rigenera, peggio dell'Idra di Lerna. Dunque la 194 consacrerebbe il medico a rappresentare il nascituro, con l'aiuto salvifico delle tecnologie; lo stesso medico che è chiamato a tutelare la vita quando deve assistere un bambino prematuro, anche contro il parere dei genitori. La paura della madre mortifera proietta la sua ombra di diffidenza anche sui genitori del bambino che ha avuto la sfortuna di venire alla luce prima del tempo. Più alla radice, l'imperativo assoluto di «salvaguardare la Vita » non tollera limitazioni al potere di chi è investito della missione. La singolare commistione di ideologia e scienza rischia di idealizzare le tecniche e di attribuire al medico un'autorità morale nella manipolazione dei corpi. Niente a che vedere col vecchio paternalismo della medicina, piuttosto si risveglia l'incubo della macchina che si impossessa del vivente, e lo imprigiona in nome di un Bene che lo trascende. Hoanalizzato puntualmente il documento, perché risalti il suo carattere di «parte», oltre che per il modo con cui è stato votato. Nel Comitato è sempre stata presente la dialettica fra chi (come la sottoscritta) pensa a questo organismo come luogo di confronto fra diverse sensibilità, alla ricerca di mediazioni che non cancellino le differenze; e chi privilegia il momento della prescrizione di un orientamento etico. Fra chi è attento al senso comune e chi guarda alle istituzioni e alla produzione di norma. Oggi il confronto fra queste due anime si fa più aspro, perché l'etica è investita in pieno dalla crisi della politica, giunta alla stretta terminale. Da un lato i temi «eticamente sensibili » precipitano nell'agone politico chiedendo che «si prenda partito » in merito (dalle formazioni teomilitanti fino alla lista elettorale Pro Vita); dall'altro, sbiadisce l'idea stessa di un discorso pubblico sui temi importanti del vivere civile altro dalla norma statale e libero dall'assillo della decisione. Perfino il ritornello elettorale sul «voto utile», ci parla della sempre più stretta identificazione fra politica e potere e dell'implicito disprezzo per ciò che ne resta fuori. Queste riflessioni non assolvono chi cerca nel Cnb una cassa di risonanza per le proprie posizioni, possono però offrire qualche spunto per capire la crisi che esso sta attraversando.
Membro del Cnb


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/08-Marzo-2008/art69.html



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