LOTTA per la vita il Papa che ha capito fra i primi che tutto stava cambiando in questa valle di lacrime, anche il rapporto fra noi - legati al passato - e lui, il duro, dolce polacco che conduceva la Chiesa verso l'ostico, inevitabile futuro. Il Papa che più di altri ha cambiato la Chiesa cercando di tenerla unita. E per seguirlo, con grande difficoltà a capirlo, abbiamo finito a volte per farne un idolo delle nostre comunicazioni, l'uomo bianco dell'Angelus, alla finestra vaticana, un re rabdomante da cui fedeli e infedeli attendevano una salvezza.
Ha cambiato moltissimo Papa Wojtyla. Per cominciare ha cambiato la Chiesa infallibile in cui siamo religiosamente cresciuti nella Chiesa che riconosce i suoi errori e chiede perdono a quanti ha offeso, una Chiesa che smentisce la verità ex cathedra del suo pastore che va verso le grandi incognite del futuro sapendo di poter sbagliare, di aver già sbagliato.
Un papa contadino, sentimentalmente conservatore, fortemente legato nei sentimenti al cattolicesimo antico della sua terra ma pronto al nuovo e al diverso, anche se amari e confusi, con la sua alta autorità inascoltata, un mondo pieno di guerre, di genocidi, di violazioni dei diritti umani attorno al pastore che predica pace e amore.
Ha denunciato soprattutto l'errore della predicazione contro gli ebrei deicidi, continuando Papa Giovanni e senza rinunciare alla pace per tutti in Terra Santa. Accettando la sofferta contraddizione di essere per i fedeli il Papa della guerra che affronta e vince il comunismo ateo e autoritario ma anche quello della pace che chiede perdono. Il Papa che apre gli archivi dell'Inquisizione, che offre ai nemici della Chiesa le armi per combatterla preferendo la verità alla sacralità, uscendo dalla sua prigione per fare uso del pensiero moderno.
E anche la fatica, i rischi della missione itinerante del viaggio continuo per un cattolicesimo di enormi dimensioni, per capire le differenze, per accettarne i doni così diversi, anche le danze africane in San Pietro, anche le messe in una radura sudamericana o nelle terre proibite del protestantesimo più antipapista. Non è un Papa italiano Wojtyla, si è occupato poco delle faccende italiane, ha tenuto i Ruini, i Sodano e gli altri prelati della Curia che ha trovato, e si è tenuto attorno i polacchi fidati ma senza ricreare una chiesa polacca.
Ha deciso che la sua diocesi non era quella di Roma ma il mondo e ha voluto instancabilmente conoscerlo, visitarlo usando tutti i mezzi della comunicazione moderna, soprattutto la televisione, pagandone il prezzo idolatrico di essere visto dalle masse come un Dalai Lama bianco. Un Papa che ha rotto con l'ortodossia reazionaria di Pio XII ma che è rimasto legato, legatissimo, alle tradizioni profonde del cristianesimo, come l'ostilità all'aborto perché fin dalle prime comunità i cristiani si erano opposti all'esposizione o ad altra uccisione degli infanti, si erano distinti come difensori della vita.
Non è stato facile in questi anni il rapporto fra i laici e questo pontefice nuovo e al tempo stesso antico. Non è stato facile accettare questa sua progressiva auto-deificazione, questa attribuzione a Dio di una volontà di durare oltre i limiti umani. Ma questa sfida all'impossibile apparteneva all'umano, alle sue speranze, alle sue illusioni. E nessuno gli ha negato di essere un Papa coraggioso.
(25 febbraio 2005)
http://www.repubblica.it/2005/b/sezioni/esteri/papa1/papabocca/papabocca.html
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