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SCHEDA RISORSA
Storia
* Bruno Segre - Quarta di copertina, prologo ed una nota introduttiva all'opera: Gli ebrei, il genocidio, la memoria. Una sintesi, scritta da un esperto di storia e cultura ebraica, che si propone come riflessione per cogliere i vari aspetti della complessa situazione che ha creato la Shoah.
Lingua:
Italiana
Destinatari:
Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia:
Materiale di studio
Abstract: Shoah
In ebraico, "distruzione, annientamento, catastrofe". In anni recenti, per indicare lo sterminio degli ebrei d'Europa a opera dei nazifascisti il mondo anglofono ha privilegiato la parola "Holocaust", termine di etimo greco che reca in sé un connotato improprio poiché attribuisce alle vittime lo statuto di un’offerta sacrificale. Divenuto in breve tempo la denominazione più diffusa, Olocausto’ ha subito un processo di banalizzazione che ne ha svuotato in parte le potenzialità espressive. Per denotare i vari gradi del sopruso antigiudaico, delle persecuzioni subite nel corso dei secoli, la lingua degli ebrei ha messo insieme un vocabolario straordinariamente ricco. Gli ebrei ortodossi, per esempio, quando parlano dell’‘Olocausto’ preferiscono dire "Churban", parola che fin dai tempi antichi designava la distruzione del Tempio di Gerusalemme. Il ricorso a questa denominazione, che assimila la tragedia più recente alle altre vissute dagli ebrei in passato, sembra suggerire una ricerca di conforto e di rassicurazione. Il termine "Shoah" – anche se di ascendenza biblica – rappresenta invece una visione più laica, poiché non si riferisce a un evento specifico del passato ma esprime piuttosto l’idea di una sciagura subitanea. Il vocabolo venne adottato ufficialmente in Israele nel 1951, quando fu stabilito un giorno di ricordo della persecuzione, "Yom haShoah". Una panoramica esauriente e accurata delle più significative sfere semantiche chiamate in causa nel variegato lessico ebraico della persecuzione si trova in: Anna Vera Sullam Calimani, I nomi dello sterminio, Einaudi, Torino 2001.
Quarta di copertina:
Da qualche tempo hanno alzato la voce coloro che fanno a brandelli i documenti, gli assassini della memoria, i revisori di ciò che è già scritto e dovrebbe essere certo. E' trascorso ormai più di mezzo secolo da quando gli alleati hanno liberato i campi di sterminio nazisti e, oggi più che mai, è disperatamente importante lavorare sulla conservazione della memoria. Ma una delle pagine più infamanti della storia dell'umanità, l'annientamento di un intero popolo, non può e non deve esistere soltanto nel ricordo, nelle celebrazioni, negli omaggi postumi alle vittime. Occorre spingersi al di là della rievocazione dell'orrore e addentrarsi nel terreno della riflessione, per cogliere ogni aspetto della complessa situazione che ha portato alla Shoah, per sempre il paradigma della millenaria follia del mondo. L'ascesa del nazismo, la promulgazione delle leggi antisemite, la Soluzione finale, gli atteggiamenti dei governi stranieri sotto il dominio di Hitler, la risposta del clero: da un esperto di storia e cultura ebraica, una sintesi completa per capire, per conoscere la Storia. Per non dimenticare.
Recensione: La storiografia della Shoah è chiamata a misurarsi con un’insidiosa politica di "alterazione della memoria", attivamente presente su diversi fronti. È una politica che, passando attraverso un surrettizio uso di criteri analogici e l’annullamento di varie contrapposizioni del passato, può arrivare a un inaccettabile azzeramento della storia; è una politica i cui sostenitori più estremi (mi riferisco in particolare ai cosiddetti “negazionisti”) non esitano a dichiarare che i crimini contro l’umanità commessi dal regime nazista non hanno mai avuto luogo, e che a null’altro essi si riducono se non a un fantasioso parto della propaganda fatta circolare subito dopo la guerra dai vincitori del ‘45, con la complicità dell'"Internazionale giudaica".
Ma oggi, a oltre cinquant’anni dagli eventi che sono sfociati nella Shoah, la diffusa impazienza con la quale ci si sforza di mettere in circolazione una cultura con connotazioni, insieme, "postfasciste" e "postcomuniste" reca in sé qualcosa di più pericoloso delle stesse argomentazioni confezionate dagli storici "revisionisti". Il rischio maggiore è, a mio avviso, quello della banalizzazione storiografica, ossìa della facilità con cui vasti settori della coscienza europea (e cristiana), per costruirsi una sorta di rete di protezione” dai fantasmi inquietanti di un passato che si vuole rimuovere, elaborano modelli di interpretazione storica nei quali gli esiti più tragici dell’antisemitismo vengono isolati dalla loro lunga preistoria, fatti oggetto di una generalizzata semplificazione e infine relegati entro i confini dell'episodio odioso, ma ormai concluso, del nazionalsocialismo. La Shoah, insomma, come mero incidente di percorso.
La brutale e irreparabile scomparsa dall’Europa centrorientale dei grandi focolari tradizionali dell’ebraismo aschenazita e la successiva fondazione in Palestina di un nuovo e vitale Stato ebraico hanno segnato nel destino degli ebrei una cesura senza precedenti. Le comunità stanziate nel vecchio continente, che sino alla fine degli anni trenta erano maggioritarie rispetto alla totalità degli ebrei nel mondo, dopo la fine della Seconda guerra mondiale costituiscono poco più che un’esigua rimanenza, con un peso e un rilievo ben scarsi a fronte dei due poli principali della vita ebraica che oggi si trovano in Israele e negli Stati Uniti.
Ma anche l’Europa, e in particolare la Germania come centro geopolitico e problema storico dell’Europa, sono uscite irrimediabilmente segnate dalle tragiche vicissitudini del XX secolo. Dopo avere scatenato due guerre mondiali la Germania, lanciata in una folle conquista del potere planetario, riuscì solo nell’impresa di distruggere l’Europa come potenza e cancellare se stessa (per quasi cinquant’anni) come stato nazionale unitario. Così, mentre l’Europa cessava nel 1945, dopo molti secoli, d’essere l’ombelico del mondo, l’eredità dello spirito europeo veniva raccolta al di là dell’Atlantico, dove gli Stati Uniti assunsero la custodia dell’identità occidentale.
Abraham B. Yehoshua, uno degli scrittori israeliani più noti, ha asserito che «"normalità" non è una parola spregevole ma, al contrario, l’ingresso in un’epoca nuova e piena di possibilità, in cui il popolo ebraico potrà [...] associarsi alla formazione dell’umanità come un membro di pari diritti nella comunità internazionale. Si dimostrerà il modo migliore per essere altri e diversi, unici e particolari (come lo è ogni popolo) senza preoccuparci continuamente di perdere l’identità.»
http://www.lafeltrinelli.it/Feltrinelli/FL_Article/0,1291,1342,00.html
Il giorno della memoria. Speciale Feltrinelli
http://www.lafeltrinelli.it/Feltrinelli/FL_Prodotto/1,1302,1881255,00.html
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