“È stato uno shock”. Così Giacomo Manzoni ricorda l’apparizione della Filosofia della musica moderna. Il compositore milanese, che aveva allora ventisei anni, completa la traduzione dall’originale tedesco nel 1958. Il libro esce nella collana I Saggi di Einaudi l’anno successivo; il ritardo nella stampa è dovuto in larga misura alle perplessità della casa editrice. Massimo Mila, uno dei protagonisti della musicologia italiana, legge le bozze e nel restituirle sentenzia: “Balle sociologiche”. Fu davvero enorme l’impatto di un’opera che intrecciava filosofia, estetica, sociologia ed analisi musicale; non si trattava certo di un approccio che poteva essere etichettato come dilettantesco se Adorno conduceva la sua indagine sulle partiture stesse. La prima edizione tedesca viene pubblicata a Tubinga nel 1949; nella prefazione, scritta a Los Angeles nell’estate 1948, Adorno ricorda che i due saggi riuniti nel volume “Schönberg e il progresso e Stravinskij e la restaurazione” sono stati scritti “a distanza di sette anni”: nel 1940-41 il lavoro su Schönberg, mentre lo scritto dedicato a Stravinskij nasce dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Nel 1949 i due protagonisti vivono da tempo negli Stati Uniti; Schönberg ha settantacinque anni, Stravinskij sessantasette e, nel 1934, in seguito alle leggi razziali, era emigrato prima a Oxford poi negli Stati Uniti. L’edizione italiana si avvale di una prefazione di Luigi Rognoni che, interpretando le intenzioni più radicali della contemporanea avanguardia europea, invita anch’egli a ripartire da Anton Webern, la cui “grande eredità” viene individuata nell’obiettivo di far ritrovare la musica a se stessa, “in una dimensione nella quale il campo tecnico coincide con quello spirituale anziché annullarsi nella fisicità della materia profanata”. La reazione degli studiosi italiani è molto diffusa. Ne “Il contemporaneo” Fedele D’Amico dissente dal titolo della versione italiana: perché “der neuen Musik” è stato tradotto con “della musica moderna”? Nuovo e moderno sono diverse categorie del pensiero e la musica ‘nuova’ di cui Adorno si occupa trova le proprie radici nell’antico più che ‘genericamente’ nel moderno. Il critico sintetizza così ammirazione e dissenso: “Il suo ‘poesia non poesia’ non fa testo, quasi sempre pregnanti sono le sue analisi morfologiche”. Poi, lancia l’affondo nel nome di Hegel: “Adorno non avverte questo piccolo particolare: che il concetto di alienazione è inseparabile dalla prospettiva del suo superamento. Servirsi del termine ‘alienazione’ per quantificare un processo irreversibile è un trucco verbale che si presta a qualunque arbitrio e capriccio”. L’importanza capitale del volume, uscito quando il pubblico italiano conosceva di Adorno i Minima Moralia editi nel 1954 con traduzione e introduzione di Renato Solmi, è ribadita da Rognoni: “Questo libro è forse il più importante e profondo tentativo di interpretazione, … della crisi musicale contemporanea. Musica e filosofia s’integrano nel pensiero di Adorno in un’unica preoccupante dimensione”. Opinione condivisa da Thomas Mann, che in Romanzo di un romanzo. La genesi del Doktor Faustus (1949), dopo aver riconosciuto il ruolo centrale di Adorno nell’ideazione stessa del libro così lo descrive: “Quest’uomo singolare ha rifiutato in tutta la vita di decidersi tra la professione della filosofia e quella della musica. Troppo era sicuro di mirare allo stesso scopo nei due diversi campi”. Questa grandiosa duplicità di sguardo ha sempre contraddistinto la personalità di Adorno e su di essa si interroga uno straordinario numero di “Civiltà musicale”, 48-49, Th. W. Adorno. Musica, filosofia, letteratura, nel centenario della nascita, a cura di Alessandro Cecchi, LoGisma editore, Firenze, novembre 2003, pp. 225. I contributi di musicologi, filosofi, estetologi quali Sandro Cappelletto, Sara Zurletti, Fabrizio Desideri, Quirino Principe, Alessandro Arbo, Giovanni Guanti, Sergio Givone, Alessandro Cecchi, Giammario Borio, Albrecht Wellmer, Michela Garda approfondiscono la parabola che dalla Filosofia della musica moderna porta alla Teoria estetica; ed, ancora, sono oggetto di dibattito le adorniane monografie musicali, i progetti rimasti frammentari ma costantemente perseguiti, le riflessioni di confine tra filosofia della musica e filosofia del linguaggio. L’intermezzo è dedicato alla letteratura e contribuisce a ricostruire la vicenda della collaborazione di Adorno al Doktor Faustus, dopo uno sguardo illuminante sui presupposti letterari, filosofici e religiosi del romanzo. Conclude tale intermezzo la prima traduzione italiana degli appunti e dei testi preparati da Adorno per aiutare Th. Mann, tra il 1943 e il 1947, nella stesura delle descrizioni musicali del romanzo. Chiude l’importante numero un’ampia sezione ‘internazionale’ in cui si ritrova una assai articolata ricostruzione del ruolo di Adorno all’interno dei Ferienkurse di Darmstadt, che attinge a materiali inediti da vari archivi tedeschi, la traduzione di un importante saggio musicologico tedesco, dove alcune delle tesi fondamentali di Adorno subiscono una ‘torsione’ inedita, che le riferisce alla dinamica interna del processo compositivo, per finire con una ricostruzione analitica e completa della ricezione di Adorno nel contesto anglo-americano. Il volume si chiude con una bibliografia articolata in tre sezioni, che danno conto rispettivamente delle opere originali di Adorno, delle traduzioni italiane e di quelle inglesi. Nell’insieme il volume sta a testimoniare l’interesse che quest’autore, a cento anni dalla nascita ed a quasi trentacinque dalla morte, continua a suscitare negli studiosi. A questo proposito sono da sottoscrivere completamente le conclusioni di Sandro Cappelletto: “La singolarità… di Adorno sta anche nel suo volersi ‘piegare’, nella volontà di riconoscere altri contesti. È l’ultima filosofia della musica che ci sia stata donata…”. |