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Il '900 nella storia delle donne: un secolo di importanza fondamentale per la costruzione dell'identità femminile.



Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio
Abstract:

1. Donne e diritti nel '900
 
Nella storia delle donne il 1900 è un secolo di importanza fondamentale per la costruzione dell'identità femminile: lungo il suo corso le donne hanno infatti conquistato e via via approfondito i contenuti della loro cittadinanza, sotto il profilo della libertà e dell'uguaglianza, dei diritti civili, politici e sociali. A questo riguardo è possibile individuare alcune scansioni significative: nei primi anni le battaglie dell'emancipazionismo, poi le due guerre mondiali, le lotte per la difesa del lavoro femminile e la parità salariale a partire dagli anni cinquanta, i nuovi diritti e le nuove libertà dagli anni settanta agli ultimi decenni. E' tuttavia un cammino non lineare, con momenti di arresto soprattutto negli anni dell'avvento di regimi totalitari tra le due guerre, e intralciato da numerosi ostacoli e resistenze che rendono spesso precari i risultati raggiunti. Una parte rilevante di tale percorso è costituita dalle vicende della partecipazione delle donne alla vita politica e al mondo del lavoro. In Italia, il diritto al voto giunse più tardi che negli altri paesi europei: riconosciuto il diritto a eleggere e a essere elette, fin dai primi anni della Repubblica si pose il problema della cittadinanza femminile, riconosciuta e valorizzata dalla Costituzione, ma di fatto ancora imperfetta per l'esiguità numerica, che ancora permane, della rappresentanza femminile. La cultura politica delle donne italiane è andata però crescendo negli ultimi decenni e reca contributi che sollecitano una riflessione collettiva intorno ai temi della democrazia, dei diritti e dei doveri, della valorizzazione delle differenze.


2. Povertà, maternità, tutela
2a Le prime lotte
 
Dagli anni ottanta dell'Ottocento fino al primo decennio del Novecento, la maternità fu assunta dai movimenti delle donne come riferimento prioritario nelle battaglie a sostegno dei diritti politici e sociali. E' questo un aspetto poco noto del femminismo degli inizi del secolo, e di particolare interesse, se si pensa che proprio la maternità aveva connotato l'esclusione delle donne dalla costruzione della moderna cittadinanza (Rossi-Doria 1993). La richiesta del suffragio era rivolta a ottenere, più che l'uguaglianza formale con gli uomini, politiche sociali più favorevoli alle donne. Le riforme di welfare che vennero varate in quei decenni in vari paesi occidentali riguardavano infatti principalmente i lavoratori e la povertà maschile; le donne fino alla prima guerra mondiale non ebbero piena cittadinanza ed erano scarsamente visibili nel mercato del lavoro. La povertà femminile era aggravata spesso dai numerosi figli, cosicché povertà e maternità erano condizioni strettamente intrecciate (Bock 1992). L'intensa attività dedicata dai movimenti femministi alle politiche sociali e all'assistenza nei confronti delle madri non sposate, delle operaie, delle vedove, delle indigenti e delle abbandonate, muoveva dunque da una concezione della 'differenza' che, nel rielaborare le immagini tradizionali della 'natura' delle donne, individuava proprio nella maternità l'aspetto più qualificante, e positivo, del femminile. Al di là delle diversità di cultura e di classe, nella maternità fu ravvisata una condizione universale capace di suscitare la più vasta mobilitazione per uno Stato assistenziale e una cittadinanza non più neutra, che valorizzassero, nel riconoscimento dei diritti delle madri, le virtù e le competenze femminili, spesso additate come nuove 'virtù civili': in Italia, era questo il contributo che le femministe sentivano di poter portare all'edificazione della comunità nazionale, di recente unificata.

3. Tra lavoro e famiglia
3a Le nuove professioni femminili

 
Tra Otto e Novecento, antichi e nuovi sistemi concettuali concorrono a modificare il rapporto tra le donne e il lavoro. La figura della donna lavoratrice si afferma con difficoltà, nel contesto di una rielaborazione dell'identità femminile strettamente connessa al passaggio dalla forma patriarcale a nuove forme di famiglia. Il modello dominante è ancora una volta quello che destina la donna al governo della casa e all'allevamento dei figli e l'ingresso delle coniugate nel mondo del lavoro deve tener conto di un'organizzazione dei tempi che non le favorisce. Al tempo stesso, soprattutto per le coniugate, la partecipazione al lavoro industriale è limitata dalla legislazione di tutela varata nei primi anni del Novecento. Occorre tuttavia sottolineare come, invece che all' immagine di minorità fisica e morale delle donne, la quale nelle campagne e nelle manifatture aveva per secoli sorretto la divisione sessuale del lavoro, essa si ispiri a un'immagine nuova di 'fragilità', fondata sulla valorizzazione della specificità materna del corpo femminile, e come proprio questa mutata percezione porti al delinearsi di nuovi criteri di inclusione e di esclusione delle donne dal mercato del lavoro (Pescarolo 1996). E' stata variamente sottolineata l' ambiguità degli esiti delle leggi di tutela: esse legittimarono l'esclusione delle donne, laddove il mercato del lavoro presentava una forte concorrenza maschile; al tempo stesso erano il riconoscimento di un diritto femminile. La varietà delle applicazioni dell'obbligo di escludere le donne dal lavoro notturno mostra che spesso nella pratica esso non era rispettato; le donne lo rivendicarono però solo nei settori peggio pagati e dove non c'era concorrenza maschile. Le leggi di tutela ebbero inoltre l'effetto di invertire il processo di femminilizzazione dell'industria tessile, e scoraggiarono l'assunzione di donne nell'industria pesante; nella prima guerra mondiale (S) la manodopera femminile venne utilizzata largamente nella produzione industriale, ma si trattò di una presenza temporanea. La nuova centralità della maternità tra Otto e Novecento modificò d'altra parte gli ambiti di applicazione delle competenze femminili: nel tempo e con lentezza, essa predispose per le donne nuove possibilità di lavoro, che rappresentavano una proiezione dei caratteri materni oltre la famiglia: già dalla seconda metà dell'Ottocento si aprirono alle ragazze dei ceti più istruiti sia l'insegnamento che la medicina. La professionalità delle maestre si era venuta costruendo proprio come prosecuzione nella scuola dei compiti della madre educatrice, la figura femminile più valorizzata dalla cultura ottocentesca. La femminilizzazione dell'insegnamento fu così un processo ininterrotto, a partire dall'Unità d'Italia (Soldani 1996).

4. La battaglia per la cittadinanza
4a Donne e resistenza
 
In Italia, le donne conquistarono il diritto di piena cittadinanza mediante la partecipazione alla vita politica 'sul campo', durante la Resistenza e la guerra di liberazione. La memorialistica e la storiografia resistenziale hanno a lungo trascurato, e di fatto occultato, tale contributo attivo, sottovalutandone i contenuti politici; nuove ricerche, a partire dalla seconda metà degli anni settanta (A.M.Bruzzone e R.Farina 1977; B.Guidetti Serra 1978), ce ne vengono ora restituendo i tratti. Un suo primo e significativo aspetto fu, dopo l' 8 settembre, il rovesciamento dei comportamenti tradizionali di protezione e difesa delle donne da parte degli uomini, con il passaggio delle donne "dalla compassione alla solidarietà e dalla solidarietà all'impegno politico" (Rossi Doria 1994). Ada Marchesini Gobetti lo ricordava su "Rinascita" nel 1961: "la ragazza che si getta nella lotta perchè il fratello o il compagno di scuola è partigiano, ...la donna che non vuole lasciare il marito o il figlio...quella che prende il posto del compagno o del fratello caduto...sono state mosse, è vero, da un impeto d'amore, ma, a misura che combattono, la loro coscienza si fa più chiara...la battaglia di quelli che amano diventa la loro battaglia". Diventa cioé una scelta politica. Ebbe luogo dunque, a partire da motivazioni affettive e dall'esercizio di ruoli tradizionali, un fenomeno di politicizzazione delle donne, con la messa in atto di energie nuove, sperimentate tra la Resistenza e il primo dopoguerra nell'organizzazione dell'assistenza alle popolazioni, che già tra Otto e Novecento, e soprattutto dall'età giolittiana, era stata il terreno su cui si era giocata l' ammissione delle donne alla vita pubblica, pur tra molte incertezze e limiti, (Soldani 1990). Quello dell' assistenza era anche l'unico campo in cui le donne disponevano di un patrimonio di cultura, di memoria e di lotta: ci riferiamo alle battaglie già ricordate delle emancipazioniste italiane, tra Otto e Novecento, per dare valore alle "competenze femminili" e renderne possibile la traduzione in in strumenti utili per le prime politiche di welfare e la gestione della cosa pubblica (Buttafuoco 1988). Il limite di quelle battaglie era stato l'accentuarsi di uno spirito di "servizio" a scapito della lotta suffragista vera e propria. Durante la Resistenza e nell'immediato dopoguerra, la partecipazione delle donne alla vita pubblica, nell'organizzazione e nel lavoro di assistenza alle popolazioni, fu invece anche un impegno per la costruzione della democrazia, che si espresse nella volontà di contribuire a forme di democrazia diretta negli organi di autogoverno locale. Le donne sono "più tecnicamente impreparate degli uomini", scriveva nel febbraio del 1945 l'organo del Movimento femminile di Giustizia e Libertà, "ma...con tutto il tesoro intatto della loro energia, del loro sentimento, della loro iniziativa". Di queste energie intatte il Movimento si augurava il risorgere della società italiana, e di "organismi e riforme essenzialmente femminili, capaci di equilibrare gli istituti e gli organismi finora creati dal cervello e dalla volontà dell'uomo soltanto". Nella stampa e nelle fonti femminili della Resistenza compare dunque, accanto alla richiesta dei diritti politici, della riforma del lavoro domestico, e della parità nel lavoro tra uomini e donne, la valorizzazione di una differenza, e di una politica trasformata dalle donne. Oltre a questa iniziativa diretta nella società civile e nell'assistenza ai reduci, agli sfollati, ai bambini, vi è un altro aspetto che denota la qualità politica della presenza delle donne, ed è il contributo che esse hanno dato alla guerra di liberazione come combattenti: ma è meno noto perché non ha avuto riconoscimento e non è stato messo in evidenza neppure dalle memorie delle stesse protagoniste. Proprio sul significato della partecipazione armata alla Resistenza, come fonte di legittimazione per l'accesso alla politica e ai diritti di cittadinanza, si aprì nel dopoguerra una divergenza profonda tra comuniste e cattoliche, che fu un elemento non secondario del fallimento dell'unità delle donne. D'altra parte, già durante la Resistenza l'unità aveva avuto vita breve. I conflitti tra le associazioni femminili e il ritorno alla normalità della vita quotidiana e familiare segnarono dopo l'estate del 1945 la crisi dell'impostazione ora descritta. Le donne chiedevano ora di partecipare alla vita pubblica nell'ambito delle comunità locali, valorizzando i tradizionali ruoli femminili di cura nell'elaborazione di un progetto di riforma democratica e di segno femminile dell'assistenza, e immaginavano di costruire così una politica femminile.

5. Diritto e differenza
5a Dall'emancipazione alla libertà femminile
 
In questi ultimi anni, nella società italiana, la riflessione delle donne, in uno stretto intreccio con il dibattito politico generale, ha posto in discussione alcuni nodi a partire dalle lotte degli anni settanta intorno al divorzio (il referendum e' del '74), alle questioni della parità e a quella che continua a essere il terreno di possibili e gravi conflitti, la questione dell'aborto. Il primo nodo è il rapporto tra uguaglianza e differenza. La battaglia che le donne hanno condotto nel dopoguerra per i loro diritti e per la democrazia le ha emancipate da una condizione di discriminazione che le escludeva da diritti 'universali', i quali anche sul piano normativo erano riservati in realtà ai soggetti maschili: il risultato di questo lungo percorso, in particolare dopo le riforme degli anni settanta, è un diritto più egualitario, per cui, sul piano formale e dei principi, si può sostenere che uomini e donne godono oggi degli stessi diritti fondamentali. Questa uguaglianza di carattere giuridico è però, come ormai da più parti viene riconosciuto, un'uguaglianza astratta, la quale se non svalorizza le differenze, in primo luogo quella sessuale, le rimuove in un processo di assimilazione e, come le donne hanno più volte denunciato, le reprime. I diritti, stante le discriminazioni culturali e sociali ancora operanti, restano sulla carta, le differenze non ottengono effettiva rilevanza nei rapporti sociali e l'uguaglianza giuridica è destinata a essere smentita dalle concrete disuguaglianze nelle quali le differenze via via si tramutano.




http://webscuola.it/risorse/storia/sommario/donne/1/index.htm


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