''Compagno Lula'', domande dall'utopia
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«Compagno Lula», domande dall'utopia
La testomianza dell'incontro a porte chiuse tra il presidente brasiliano e 60 organizzatori del Forum, tra cui Attak, il Nobel Saramago, Frei Betto e organismi di base, tutti preoccupati per la cautela del suo governo
GIANNI MINA'
PORTO ALEGRE



Il vecchio Francois Houtart, teologo belga, docente all'Università di Lovanio, molto vicino per principi e franchezza ai colleghi della teologia della liberazione del Brasile, Leonardo Boff e Frei Betto, non ha scelto certo un linguaggio diplomatico per domandare mercoledì sera a Lula da Silva da che parte stesse dopo due anni il suo governo indiscutibilmente impegnato in uno sforzo enorme di riscatto sociale del paese, ma, nello stesso tempo, estremamente cauto e attento in politica economica a non dispiacere il fondo monetario internazionale. «Presidente - ha sottolineato Houtart, delegato a parlare, insieme ad altri tre componenti del Consiglio internazionale che sovraintende al forum di Porto Alegre - rispettando il suo ruolo e non dimenticando cosa lei rappresenta nella speranza degli esclusi del mondo io le ricordo, che due anni fa, a Davos, le ho consegnato una lettera dove le ricordavo come, se esistesse un tribunale speciale internazionale per i crimini economici, la metà delle personalità riunite per quell'evento nella cittadina svizzera, sarebbe stata chiamata sul banco degli accusati. Per questo, visto che lei ora torna a Davos, vorrei chiederle se, in futuro, il suo governo sosterrà il progetto di sviluppo sociale, di riscatto, di vita all'ordine del giorno qui a Porto Alegre, o quello ambiguo di Davos dove i responsabili dell'offesa all'ecosistema, dell'agricoltura transgenetica, dell'economia senza regole, hanno scoperto improvvisamente l'indigenza dell'80% dell'umanità. Presidente Lula non si possono servire due padroni. Il suo governo sarà capace a mettere in discussione il sistema economico più spietato della storia dell'umanità?». Lula, l'antico operaio metallurgico capace di fondare e far crescere il Pt, in soli vent'anni diventato il più grande e prestigioso partito progressista dell'America latina, in polemica con la vecchia e superata sinistra continentale, si aspettava una domanda simile, specie dopo le recenti incomprensioni anche all'interno della sua coalizione, ma non un dubbio espresso in forma così cruda. Era, quella in corso una riunione privata con l'anima ideativa e organizzativa del forum che tornava a Porto Alegre dopo la trasferta in India. Io, per invito di Frei Betto, il frate domenicano per due anni responsabile dello straordinario progetto Fame zero, ora tornato per scelta di vita, al suo convento di San Paolo, ero l'unico presente fuori dal protocollo. Ma certo, come gli avrebbe riconosciuto più avanti Flavio Lotti, responsabile del Tavolo della pace italiano e parte fin dall'inizio dell'utopia di Porto Alegre, pochi leader internazionali (e mai premier che blaterano spesso di libertà come il nostro Berlusconi) avrebbero accettato un simile approccio di democrazia reale.

Così Lula prendeva il discorso da lontano: «Questa domanda è un trattato e ci vorrebbero anni per darle una risposta esauriente» ma subito dopo ritrovava l'antico carattere del leader sindacale che lo sta spingendo, per esempio, a restituire al Brasile un ruolo preminente fra le nazioni latino americane e ora anche fra quelle dell'Africa («per lo storico debito culturale che abbiamo verso questo c ontinente da dove vengono i nostri fratelli neri»).

«Sono pronto agli applausi ma anche ai fischi - rispondeva così a Houtart, referente di quel cattolicesimo di base che lo ha spinto al governo - io a Porto Alegre, che è parte della storia mia personale e del Pt, vengo a cercare e proporre soluzioni alla complessa realtà sociale del Brasile e del sud del mondo. A Davos, molto pragmaticamente, vado invece a chiedere come, nello spirito di nuova attenzione alla povertà affermato nel documento di intenti, le nazioni poverose, che si riconoscono in quel summit, vogliono agire per combattere questa piaga enorme dell'umanità, la fame di miliardi di persone. L'ho fatto già in altre occasioni, come al summit in Scozia. E voglio ricordare che nel vertice del Wto a Can Cun, chi ha guidato l'opposizione per bloccare le perverse strategie commerciali delle nazioni più poderose, è stato il Brasile. Ma non mi piace - ha proseguito Lula - agire come quelle famiglie che, assurdamente, accusano i propri vicini o altri dei drammi scoppiati al proprio interno come può essere per esempio il dolore di un figlio drogato. La soluzione ai nostri problemi sta nel modo in cui ci comporteremo in casa nostra. Io voglio rispettare gli impegni presi nella campagna elettorale. Chi di voi avrebbe previsto che dopo il lancio del programma Fame zero, il 65% delle nazioni componenti l'assemblea dell'Onu avrebbe discusso in una seduta storica il nostro progetto indicandolo come esempio alla comunità degli uomini?»

Nel linguaggio di cuore scelto dal presidente brasiliano per rispondere ai dubbi di quei 60 sostenitori dell'utopia che aveva di fronte (dai francesi di Attak alle organizzazioni di base contadine e indigene, dal Nobel della letteratura Saramago ad amici come Frei Betto preoccupati per la cautela del suo governo nelle scelte di politica sociale) c'era tutta la malinconia di chi ha scoperto che gli equilibri politici di una coalizione progressista, dove anche le logiche del centro vanno considerate, possono costringere un ex combattente sociale come lui a trangugiare il proprio legittimo orgoglio.

Fuori, nelle strade di Porto Alegre ci sono 70-80 mila persone venute da più di 40 paesi per inseguire ancora una volta un'utopia riassunta, cinque anni fa, nella frase «un mondo migliore è possibile». C'è una tendopoli pari a venti isolati di una città per ospitare più di 2mila eventi in sei giorni, con duecento traduttori simultanei di tante lingue. E tutto realizzato in buona parte con gli aiuti dell'«economia solidaria» provenienti da tutto il mondo. Ma i giornali che contano, quelli dell'Occidente, hanno spesso ignorato, per anni, questa realtà costruita con fatica in un Brasile che Lula stesso, e il suo Pt, sta contribuendo a cambiare. Anche adesso che i media sono costretti ad occuparsene perché il forum di Porto Alegre ha obbligato i soloni di Davos a scoprire la miseria che buona parte del mondo vive proprio per le teorie di questi soloni, Lula non può godere fino in fondo questo successo. E non solo per gli strumentali pettegolezzi sul costo dell'aereo presidenziale ordinato per favorire i viaggi lampo richiesti dalla nuova politica estera del Brasile in America latina e in Africa, ma perché i tempi dei cambiamenti in politica sociale sono lenti e quindi, nelle stesse pieghe del suo paese, c'è chi è deluso dei ritardi, delle riforme non ancora varate dal suo governo, come quella agraria. «E' come in una partita di calcio: abbiamo solo g iocato il primo tempo. Il secondo deve ancora cominciare.» Ha ricordato Lula ad una rappresentante dei movimenti contadini del Cile, sua antica compagna di battaglie, quando ancora non sapeva che un giorno avrebbe guidato la nazione più estesa e popolata del Continente.

Lo stesso Joao Pedro Stedile, leader dei Sem Tierra in ansia sul destino, a breve, delle proprie rivendicazioni, se la riforma agraria non sarà all'altezza, ha riconosciuto il diritto alla flessibilità dell'attuale politica di Lula. «Il successo delle nostre istanze dipenderà innanzitutto da noi, dalla nostra capacità, dalla forza delle nostre lotte sociali di aiutare Lula a vincere le resistenze alle richieste dei Sem Tierra in seno alla coalizione che presiede, una coalizione che è di centro, più che di sinistra».

Ma il vecchio leader sindacale non ci sta a incassare solo la comprensione del più radicale dei movimenti sociali del paese dei quali, prima di essere eletto, è stato spalla e sostegno. «Io ho un compromesso di vita coi brasiliani» ha detto e poi guardando al suo fianco Oded Grajen, uno degli ideatori del forum ha soggiunto: «Ogni giorno io faccio un confronto fra quello che eravamo fino a due anni fa e cosa siamo adesso. Se non ho fatto, finora, tutto quello che avrei voluto è perché non era possibile. Ma ci proverò ancora con la testardaggine di sempre. Non dimenticate che io sono stato e sono un militante sociale e continuerò ad esserlo».


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/29-Gennaio-2005/art40.html



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