Banca mondiale - Lo sviluppo del mondo nelle mani di Mr Magoo
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Banca mondiale


Lo sviluppo del mondo nelle mani di Mr Magoo


 


di Stefano Palmieri


 


Sarà Paul D. Wolfowitz, sottosegretario alla Difesa statunitense, a sostituire l’australiano John Wolfenshon diventando così il decimo presidente della Banca Mondiale. Lo scorso 31 marzo il consiglio dei direttori esecutivi dell’Istituto ha infatti confermato la candidatura avanzata a sorpresa da George W. Bush quindici giorni prima. È consuetudine che la nomina del Presidente della Banca Mondiale sia proposta dagli Stati Uniti, mentre quella del managing director del Fondo monetario internazionale sia avanzata dai paesi europei. Nonostante che la prassi si sia ormai consolidata nel corso degli anni, questa volta la nomina di Wolfowitz è stata fortemente criticata.

Wolfowitz rappresenta l’ideologo della teoria della guerra preventiva avanzata dall’amministrazione Bush all’indomani dell’11 settembre 2001. È stato tra i maggiori sostenitori della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq alla vigilia della sua invasione, contribuendo alla sua pianificazione. Uno dei suoi principali critici, Michael Lindt, lo descrive come il Mr Magoo della politica estera americana: “Come il miope personaggio dei cartoon – scrive – ogni sua azione produce guai a ripetizione, e lui affabile e gentile lascia al suo passaggio distruzione e confusione”. Per Lindt Wolfowitz incarna alla perfezione il modello del diplomatico tipo: un vero gentleman con un unico neo rappresentato dal fatto di essere totalmente “inetto”. I suoi trent’anni di carriera – continua Lindt - possono essere sintetizzati con la frase espressa da George W. Bush per descrivere la guerra di cui Wolfowitz è stato il principale sostenitore: “un successo catastrofico”. Non è un caso che, per alcuni osservatori di Washington, la sua nomina possa essere vista come il tentativo di Bush di modificare la strategia del Pentagono e di riparare ad alcuni dei danni causati dalla guerra in Iraq.

Proprio per il discusso ruolo svolto nell’ambito dell’amministrazione americana, alcuni economisti – tra cui Jeffrey D. Sachs della Columbia University – si sono chiesti come Wolfowitz possa svolgere, in un’ottica multilaterale tipica della Banca Mondiale, un delicato ruolo di mediatore di interventi di sviluppo nel mondo in generale e – aggiungiamo noi – in quello islamico in particolare. Si teme inoltre che la sua nomina possa far tornare la Banca Mondiale verso una strategia fondata sulle politiche di liberalizzazione e di privatizzazioni, ampiamente criticate da Joseph Stiglitz e poi attenuate dalla stessa Banca in seguito alle pressioni esercitate da più parti (governi, ong ecc.).

A seguito delle perplessità sollevate dalla candidatura di Wolfowitz, nel corso degli ultimi quindici giorni l’amministrazione Bush ha avviato un’intensa attività diplomatica allo scopo di convincere i governi che rappresentano i grandi elettori del consiglio dei direttori esecutivi dell’Istituto. Ricordiamo che, nel suo complesso, l’Europa raccoglie circa il 30 per cento dei voti, e qui si apre una delle questioni principali: se e come l’Europa intende esercitare il rilevante potere di voto di cui dispone per migliorare la governance della Banca Mondiale.

Ciò che è accaduto il 30 marzo a Lussemburgo evidenzia come l’Unione europea si presenti in modo disarticolato di fronte ad appuntamenti di rilievo politico ed economico. In quella sede Wolfowitz ha incontrato i ministri economici degli Stati membri dell’Unione europea per poter discutere con loro della sua nomina.

È quanto mai singolare – come rileva il Financial Times – che in un incontro così importante dei 25 paesi che fanno parte dell’Unione europea solo 7 (Germania, Regno Unito, Svezia, Danimarca, Olanda, Lussemburgo e Belgio) siano stati rappresentati da un ministro o da un segretario di Stato, mentre tutti gli altri hanno ritenuto opportuno farsi rappresentare dal loro ambasciatore di stanza a Bruxelles (unica eccezione la Francia, che ha scelto di inviare il direttore del ministero del Tesoro).

A tale proposito è indicativo come Wolfowitz abbia indirettamente rivelato la natura del patto implicito Usa-Europa intorno alla sua candidatura rispondendo a una domanda della giornalista Lally Weymouth di Newsweek e del Washington Post in merito alle posizioni manifestate dai governanti europei alla vigilia dell’incontro lussemburghese: “…Fra le preoccupazioni degli europei c’è la priorità dell’attività svolta dalla Banca in Africa. Vogliono poi essere sicuri che il senior management della Banca abbia un’adeguata rappresentazione della diversità della banca, e in particolare che alcuni dei molti qualificati esponenti europei possano giocare un ruolo significativo nell’ambito del senior management. E io non ho alcun problema che tutto questo accada”.

Qui che si apre il campo al secondo ordine di critiche che la nomina di Wolfowitz solleva. Lo scorso 22 marzo un gruppo di economisti (fra cui Tito Boeri, Riccardo Faini, Francesco Giavazzi, Richard Portes, André Sapir e altri) ha firmato un appello nel quale chiede che un organismo internazionale come la Banca Mondiale si doti di un meccanismo di nomina del presidente in grado di rispettare i criteri di trasparenza e di selezione (il testo integrale dell’appello si può leggere nel sito web: www.lavoce.info). Attraverso una scelta multilaterale, il più possibile condivisa tra gli Stati membri, sarebbe possibile far ricadere la nomina sul candidato più idoneo al delicato compito per il quale è designato.

Purtroppo la scelta di Wolfowitz non ha rappresentato nulla di tutto questo. Nonostante i tanti dubbi che circondano la candidatura Wolfowitz c’è da augurarsi che si ripeta la vicenda di cui fu protagonista Mac Namara (presidente dal 1968 al 1981). Anche la sua candidatura venne accolta con perplessità. Mac Namara proveniva dal ministero della Difesa americana ed era stato impegnato attivamente nella guerra del Vietnam.

Ciononostante riuscì a dare un impulso efficace nella gestione della Banca Mondiale. Certo, erano altri tempi. Oggi la Banca Mondiale sembra essere più lontana che mai dall’obiettivo iscritto sulla lastra di pietra all’ingresso del quartier generale di Washington: “Noi abbiamo un sogno: un mondo liberato dalla povertà”.

 

(www.rassegna.it, 17 aprile 2005)


http://www.rassegna.it/2005/attualita/articoli/bmondiale.htm



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