Rivoluzione "molecolare" contro il pensiero unico - Intervista a Leonardo Boff
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Rivoluzione "molecolare"
contro il pensiero unico
di Alessandra Garusi

Secondo Leonardo Boff, uno dei padri della Teologia della liberazione, per uscire dall’impasse serve una nuova visione non soltanto dell’economia, ma del mondo nel suo compesso: un nuovo paradigma, che metta al centro il rispetto della vita e del pianeta.


«La grande contraddizione del nostro tempo? Lo scontro in atto tra una forma di produzione e di consumo che implica una devastazione delle risorse della Terra e minaccia il sistema della vita, e un’altra forma di produzione che ha al centro non l’accumulazione, ma la protezione e l’espansione di ogni forma di vita». Leonardo Boff, teologo di fama mondiale, sorride dietro gli occhiali spessi. Da tempo si occupa di ambiente e di sviluppo sostenibile, cercando di coniugare diritti umani, democrazia, economia e tutela delle risorse della terra. Nonostante la crisi economica mondiale, è ottimista sul futuro che ci attende perché, dice, «l’umanità sta scoprendo il suo capitale spirituale, che fa rispettare la natura, impone l’autodisciplina, la giusta misura nelle cose. L’istinto di vita è più forte dell’istinto di morte e prevarrà».


Un senzatetto in Paraguay (J. Saenz/AP)
Un senzatetto in Paraguay (foto J. Saenz/AP)


Considerato, insieme a Gustavo Gutierrez, uno dei maggiori esponenti della Teologia della liberazione, messo sotto inchiesta dal Vaticano nel 1984 per i tratti più radicali del suo pensiero – espresso nel libro Chiesa: Carisma e Potere – e ulteriormente preso di mira nel 1992, Boff ha abbandonato in quello stesso anno l’ordine dei Frati minori, ma ha proseguito la sua attività come teologo, conferenziere e docente di Etica, Filosofia della Religione ed Ecologia all’Università statale di Rio de Janeiro.


·         Crede davvero nella valorizzazione del capitale spirituale e nello sviluppo sostenibile? 


«Sì. La nostra società deve diventare una società che sostiene la vita e il Pianeta. La Terra deve essere concepita come un “superorganismo vivente”. Sono due visioni diverse del pianeta: la prima vede la Terra come un baule, e allora si può sfruttarla senza fine. La seconda visione risale ai popoli indigeni, ha predominato fino al XVII secolo ed è ritornata oggi nel pensiero dei più moderni biologi e astrofisici. La Terra è come Gaia (teoria formulata dallo scienziato inglese James Lovelock nel 1979 in Gaia. A New Look at Life on Earth), un superorganismo altamente complesso, con un equilibrio sottile. Va rispettato nella sua alterità, difeso nella sua vulnerabilità».


·         Quali sono i passaggi successivi a questa presa di coscienza? 


«La visione olistica – per cui oggi siamo tutti eco-dipendenti (dall’acqua, dall’aria, dal cibo ) – va trasformata in un’etica, in un atteggiamento personale. Il passo successivo è la creazione di una forma politica capace di amministrare responsabilmente le poche risorse rimaste e di affrontare i problemi globali (la fame, la salute, i cambiamenti climatici, ecc.). Ecco dov’è l’urgenza. Gli Stati-nazione sono inadeguati. Non abbiamo più molto tempo, né molta saggezza».


·         Per quale ragione se ne parla così poco?


«Questi ragionamenti contraddicono l’attuale sistema di pensiero. Lo condannano. Obbligano a ideare un sistema alternativo. Dopo che Al Gore ha pubblicato La scomoda verità e dopo che Nicholas Stern, exvicepresidente della Banca Mondiale, ha pubblicato il dossier sulle implicazioni economiche dei cambiamenti climatici, qualcosa è cambiato. Non sono più i Verdi, gli ambientalisti a ossessionarci con le loro visioni catastrofiche, sono personalità del mondo politico – anche della Cina – a porsi il problema. A questo proposito, ritengo che la crisi economica sia provvidenziale».


·         In che senso? 


«L’economia – l’asse centrale della società, che ha dimenticato la politica e annullato l’etica – ora capisce che le soluzioni economiche non bastano più. Siamo arrivati a un punto di non ritorno. Bisogna pensare all’universalità del problema, che riguarda la Terra intera e non singoli continenti o singole classi sociali. Riguarda tutti, ovunque».


·         Chi dovrebbe prendere l’iniziativa? Da dove bisogna partire? 


«Perché ognuno possa dare il suo contributo, prima deve fare una sorta di “rivoluzione molecolare”: in realtà, posso cambiare solo me stesso, cioè la parte del mondo che sono io. Ma una mosca può disturbare un elefante, assai più che un elefante una mosca».


·         Lei è consigliere in tema di ambiente del presidente del Paraguay, l’ex vescovo Fernando Lugo. Una persona da tempo attenta ai poveri. È così?


«In realtà, non ho alcun incarico ufficiale. Conosco il presidente Lugo da quando era un semplice prete, poi da teologo, vescovo. Ultimamente, ho fatto da intermediario nella trattativa fra la grande compagnia idroelettrica brasiliana Itaipu e il governo di Lugo per fondare un’Università dei saperi e delle cure ecologiche, che coinvolge Paraguay, Brasile, Argentina e Uruguay. Ho questa funzione di facilitare il dialogo. Lugo si sente ancora profondamente radicato nella Teologia della liberazione, in senso spirituale: di opzione per i poveri. Lugo ha lavorato in Ecuador con monsignor Leonidas Proaño e gli indigeni; poi è rientrato nella parte più povera del Paraguay, San Pedro. È stato nominato vescovo, parla un fluente guaraní. Il lavoro accanto ai poveri è una costante nella sua vita, tanto che la prima visita da presidente l’ha fatta ai contadini più poveri di San Pedro. Come dire: “Siete i primi destinatari della politica di questo governo”».


·         Nel 1985 lei è stato richiamato e messo sotto osservazione dalla Santa Sede. In quell’occasione vennero con lei due cardinali brasiliani a spiegare il ruolo della Teologia della liberazione (Tdl) in un contesto di oppressione e povertà. Quel discorso è ancora valido? 


«Certo. L’argomento dei due cardinali di fronte a Ratzinger, che era all’epoca prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, era “La Tdl è un bene della Chiesa locale. Noi, come vescovi, ne siamo responsabili. Siamo qui per testimoniare il fatto che è adatto al nostro contesto. Ma se contiene errori, bisogna correggerli”. E poi hanno chiesto la produzione di un secondo documento, dopo il primo molto critico nei miei confronti. I due cardinali lo avevano bocciato, dicendo: “Cardinal Ratzinger, questo documento non corrisponde affatto alla base della Tdl, che noi ben conosciamo. È inaccettabile; esigiamo un altro testo. Perché non viene in Brasile a vedere con i suoi occhi come si vive nelle Comunità di base, come si prega? Così potrà constatare di persona come questa teologia è funzionale ai poveri”. Il secondo documento è stato positivo. Nel 1986, alla Conferenza dei vescovi, Giovanni Paolo II ha chiuso definitivamente la polemica con la frase: “In una condizione di oppressione, la Tdl non è solo utile, ma necessaria”. Credo che questo sia ancora vero».


·         Anche se suo fratello Clodovis, recentemente, ha definito la Teologia della liberazione «culturalmente miope e storicamente anacronistica»? 


«Abbiamo due visioni diverse: Clodovis ha la preoccupazione di conservare l’identità “teologica” della Tdl. Pone l’accento sulla “Teologia”, piuttosto che sulla “Liberazione”. Penso che sia una preoccupazione giusta. Abbiamo sempre insistito su questo: e cioè sul fatto che la “Liberazione” non debba avvenire partendo da Marx, ma dalla tradizione profetica di Gesù e degli apostoli. Tuttavia lui pone un accento così forte sul termine “Teologia” che il rapporto con la “Liberazione” scompare. Clodovis vede il povero più come il rappresentante di una categoria sociologica, che nella prospettiva cristiana. Questa fu la prima intuizione di Gustavo Gutiérrez (autore del libro Teologia della Liberazione, 1971) e, curiosamente, anche di Clodovis: nel povero vedono Gesù crocefisso, innanzitutto; poi si possono indagare le cause della povertà. Allora esiste un legame fra la povertà, nell’ottica della fede cristiana, e la Teologia. Una Teologia che vede un Dio che non è neutrale, che non rimane là fuori. Ma un Dio che entra nella Storia ed esige la risurrezione. Clodovis è molto formale nella sua visione. Ma la nostra, in realtà, è una discussione che va avanti dai tempi in cui studiavamo, lui a Losanna e io a Monaco di Baviera. Ora è arrivata a una puntualizzazione. Mio fratello sta scrivendo una risposta. Me ne ha anticipato solo il titolo: “Con Cristo e con i poveri, contro coloro che strumentalizzano la povertà”. È positiva, tuttavia, l’apertura di questo dibattito fra i teologi della Tdl. Fa chiarezza. Ed è un esempio anche per la Chiesa: serve a dire che la fede cristiana ha una dimensione in continua trasformazione. Che nasce da dentro ed è sensibile alla causa dei poveri».


Alessandra Garusi



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