"Vengo, duende flamenco"
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Tony Gatlif e lo spirito del flamenco

L'ultimo film di Tony Gatlif  "Vengo, duende flamenco", non è un film sul flamenco, ma utilizza il baile e il cante flamenco come motore, come sentimento portante di una storia ambientata in Andalusia, tra i gitani. El duende del viento, che nel film è rappresentato simbolicamente dal movimento frenetico delle foglie di un albero, in Andalusia sta a significare lo spirito del flamenco. Uno stato d'animo, prima che una danza.
Questa storia raccontatata da Tony Gatlif è una storia di villaggi, faide famigliari, onore e vendetta. Il protagonista è Caco (interpretato da uno dei più celebri ballerini di flamenco Antonio Canales). Caco ha perso la figlia Pepa ed è disperato, il nipote handicappato Diego, innamorato della cugina morta, gli sta vicino accompagnandolo a feste flamenche per annegare il dolore nell'alcol. Ma il padre di Diego ha un conto in sospeso con una famiglia avversaria e qualcuno, prima o poi, dovrà pagare.

Questa trama si svolge tra la musica, bellissima, cantata dalla Caita e la Paquera (due cantaoras molto conosciute in quelle zone, due autentiche figure del cante flamenco) e la musica è suonata tra gli altri, da Tomatito, uno dei più fedeli chitarristi del Camaron de la Isla. La musica è sempre presente, come se fosse un personaggio che vive nel film. Per il resto scorrono i paesaggi andalusi, con le grandi case bianche e le finestre celesti, e i primi piani. I primi piani del popolo nomade che Tony Gatlif ama tanto ritrarre. Le donne anziane vestite di nero, le facce abbronzate dei gitani, i grandi sorrisi degli uomini sdentati e gli occhi tristi di Antonio Canales. Le facce e il paesaggio senza confini sono un elemento costante nei film di Tony Gatlif, come si era già visto in Latcho Drom con i volti dei rom o in Gadjo Dilo, due film che hanno ricevuto parecchi premi festivalieri (inclusi Cannes e Locarno).


Il flamenco e la vendetta, perchè questi soggetti?
La vendetta è parte fondante delle tradizioni del sud, è molto radicata come la gelosia. Io sono nato in questa cultura dell'istinto, della famiglia, delle feste, della musica e della tolleranza verso i popoli e volevo esprimerla in un film. In Andalusia ho ritrovato la mia infanzia algerina.


Come hai scelto la gente del film?
Non ho voluto degli attori, ma dei musicisti di flamenco e la gente del sud Andaluso, immersa nella semplicità e capace di muoversi istintivamente senza recitare, portando davanti alla macchina da presa la propria tradizione. Una tradizione e una cultura che ho cercato di capire, convivendo con gli andalusi e con quella terra.


E' stato complicato dirigere sul set così tanti personaggi non professionisti?
Ho chiesto agli attori di non recitare. Loro incarnano il flamenco e non avevano neanche bisogno di conoscere la storia. Gli ho spiegato a grandi linee i personaggi e loro hanno colto il senso immediatamente. Per esempio ad Antonio Canales dicevo "senza dubbio saprai com'è un uomo distrutto dalla famiglia, dalla cultura, dal fato, dal peso del passato, dai rimpianti e dal dolore". E lui ha capito tutto, così come il ragazzo disabile ha capito che doveva essere l'allegria, la bellezza e la speranza, insomma, continuare ad essere ciò che è.

Tony Gatlif filmografia 

Flamenco in web  

Intervista con Antonio Canales  (in spagnolo)

Conocere l'Andalucia



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