Sterminio
Ebrei e zingari 60 anni dopo
Antun Blazevic - Tonizingaro
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Sterminio significa distruggere per sempre qualcosa o qualcuno,  eliminarlo dalla faccia della Terra,  senza curarsi delle conseguenze: l'importante è sterminarlo.


Uno sterminio comporta  la morte, che è il solo mezzo che garantisce la completa scomparsa di chi si vuole eliminare.


La morte è unica e nella sua specificità cambiano solo i modi con cui viene data, che sono tanti e diversi. Il migliore (se si può dire cosi per la morte) modo è di morire nel sonno e il peggiore è quello quando ci si arriva alla fine di torture o esperimenti scientifici, perché si soffre atrocemente e in quel caso non c'è solo la sofferenza fisica, ma  soprattutto la sofferenza dell'animo per le umiliazioni cui si è sottoposti :"io so che dopo che mi hanno iniettato un' iniezione morirò ma non so quando, con quale dolore, ma in ogni modo morirò".

La parola "sterminio" ha in sé il concetto di "tanti", di "massa", siano cose, animali, e spesso persone. Non si stermina una sola persona, in questo caso esistono le parole "omicidio" o "assassinio". Lo sterminio è strage, è terra bruciata dove non dovrebbe più crescere niente, è annientamento totale di un insieme. In ogni caso, sempre e comunque, è un delitto contro l'umanità: quando si stermina una foresta, ne risente il clima; quando si stermina una razza di animali, questa si estingue e nessuno la vedrà mai più; quando si stermina un popolo, è il suo genocidio.

Quale odio così terribile può indurre un essere umano a volere lo sterminio dei suoi simili? Quali motivazioni lo spingono a compiere atti volti alla distruzione di un pezzo del genere umano? Semplicemente quest'uomo, e chi condivide i suoi pensieri, è convinto che al mondo esistono persone che non sono come lui: le considera diverse e inferiori, oppure le ritiene una minaccia per il suo potere. Il modo migliore di renderle inoffensive  è quindi quello di eliminarle definitivamente, ed è subito strage.

Lo sterminio dei "diversi" nella II guerra mondiale operato da Hitler è il più atroce nella pur violenta storia dell'umanità. Non voglio ripercorrere le motivazioni che portarono Hitler ad ordinare il genocidio degli Ebrei, degli zingari, degli omosessuali, dei Testimoni di Geova, degli oppositori politici: tanti storici lo hanno fatto in modo più o meno brillante ed obbiettivo, ed io non voglio aggiungere altro. Vorrei dire però che le conseguenze dei crimini nazisti non si sono esaurite nel tempo e non sono finite con la disfatta del III Reich e del fascismo. Rimane tra di noi, a volte strisciante, a volte evidente, il sentimento di fastidio e molto spesso di odio nei confronti dei figli e dei nipoti delle vittime dell'Olocausto. Ne sono eloquente testimonianza gli episodi di anti-semitismo, la xenofobia di molte persone (compresi esponenti Antun Blazevicdel Governo e del Parlamento.), l'ironia crudele verso gli omosessuali, l'incomprensione verso i Testimoni di Geova che rifiutano alcuni tipi di cure mediche, l'insofferenza verso lo zingaro sporco e ladro. Tutto questo mi preoccupa: se in tanti anni dall'Olocausto l'uomo non è riuscito a liberarsi da questi pesanti pregiudizi, vuol dire che può nascere e farsi grande un altro Hitler, o un altro Saddam Hussein, o un altro Bokassa, o un altro Stalin. Del resto, nel mondo crescono le vittime innocenti degli stermini provocati dalle guerre: siano guerre locali o planetarie, la razza umana è comunque sempre vittima dei "signori della guerra", che in nome del potere condannano a morte centinaia di migliaia di esseri umani. Per il potere, per il denaro, milioni di innocenti muoiono ogni giorno di fame, di sete, di malattie che pure sarebbero facilmente curabili.

Esiste poi un altro tipo di sterminio, che non comporta spargimento di sangue, violenza fisica, morte: è l'isolamento fisico e politico in cui vengono costrette alcune minoranze. Lentamente, ma inevitabilmente, l'emarginazione cui sono sottoposte dalla società cosiddetta "civile" le porta all'annientamento intellettuale, all'apatia mentale, alla disperata rassegnazione di non poter mai entrare a far parte del mondo evoluto e alla negazione del futuro per i loro figli. Credo che tra questi emarginati un posto a parte spetti ai Rom, che, se vogliamo fare una classifica della disperazione, sono sicuramente all'ultimo. I Rom sono tradizionalmente un popolo pacifico, che non ha niente che in apparenza possa essergli portato via: terra, ricchezza, armi, potere.Perché allora tanto accanimento nel volerli escludere dalla società? E' vero, il loro modo di vivere è di per sé limitato, la loro vita collettiva si svolge essenzialmente nell'ambito delle grandi famiglie patriarcali, non sono molti quelli che tentano di varcare i confini dei "campi" in cui sono relegati per cercare un'opportunità di vita sociale in comunione con il resto della gente "normale".  Ma la gente "normale" quasi sempre li respinge, li mette all'angolo, li esclude senza scrupoli e loro si rifugiano ancora di più nel loro piccolo mondo, in cui hanno facile presa il disagio giovanile, la droga, l'alcolismo, la criminalità, tutti elementi che finiscono per distruggere qualsiasi capacità di inserimento e qualsiasi tipo di intelligenza. E' il futuro negato ai bambini, è la strage silenziosa e senza sangue di un popolo diverso, che come tale deve essere eliminato se non fisicamente, almeno intellettualmente. I Rom sono cittadini senza città, stranieri senza patria, soggetti senza diritti, uomini fuori dall'umanità. Ancora adesso, come nel Medio Evo, come nell'Europa delle guerre mondiali di ieri e nell'Europa unita e grande di oggi. Ancora per quanto, prima che diventino il niente?


Antun Blazevic - Tonizingaro


www.tonizingaro.it


   



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