MILANO — L’esordio è spiazzante: «Dovrebbero ringraziarci». Perché? «Da anni evitiamo allo Stato italiano le spese per 500 ragazzi e 30 insegnanti». Nel pieno delle polemiche, l’imam Abu Imad, 43 anni, egiziano, trova il modo di sorridere. Poi torna serio: «Ma invece di venirci incontro, ora tutti ci danno addosso». Dalla sua scrivania di guida spirituale e direttore della moschea di viale Jenner, prova a ribaltare il punto di vista sulla scuola di via Quaranta: «Nessuno considera il ruolo che ha svolto per la città e per centinaia di famiglie, togliendo un peso alle istituzioni». E attacca: «Ci rifiutiamo di fare da combustibile per una guerra tra partiti».
Ma una relazione dei tecnici del Comune stabilisce che gli edifici sono inagibili. Non è un buon motivo per chiudere la scuola?
«Siamo noi i primi a dirlo. Da anni chiediamo un luogo più adatto. Se ce lo avessero concesso, ora sarebbe tutto diverso. Anche noi vogliamo il riconoscimento ».
Perché allora avete continuato con un istituto non autorizzato?
«Ricevere un insegnamento di lingua araba e religione è un diritto dei nostri ragazzi, garantito dalla Costituzione italiana. Le abbiamo provate tutte, ma i tentativi sono sempre falliti. Così non abbiamo avuto altra scelta. E comunque quell’edificio in origine era una scuola, un istituto tecnico, e non una fabbrica».
Una scuola per soli arabi non è un segnale di chiusura?
«Non vogliamo isolarci, ma essere parte di questa società. Un bambino musulmano che impara la propria lingua e la propria cultura propone uno sviluppo positivo per tutti».
Qual è il modello di educazione che preferite, scuola parificata o statale?
«L’importante è riuscire a conservare in modo serio e obiettivo la cultura e la lingua araba. Speriamo che in ogni caso si stia attenti a questo punto, per creare una società che abbia come obiettivo la cooperazione e il bene comune».
Come si conciliano conservazione dell’identità e integrazione?
«Una società davvero multietnica punterebbe a creare ponti di cultura con questi alunni, e non a farne delle copie sbiadite e senza identità. La conservazione dell’identità non genera attrito, perché al contrario di quel che viene accreditato dai mezzi di comunicazione, la sharia non invita allo scontro,ma al dialogo».
Cosa vi aspettate in questo momento dalle istituzioni?
«Chiediamo che la scuola non venga chiusa immediatamente. Bisogna evitare che i bambini perdano l’anno. Non possono essere abbandonati così, su due piedi. Dal punto di vista pedagogico sarebbe un disastro. Già ora sono molto turbati».
E se le autorità decidessero di impedire le lezioni?
«Ci adegueremo. Per le famiglie sarà un problema. Ogni padre dovrà trovare un’alternativa per i propri figli».
Perché non avete mai presentato la domanda per un riconoscimento della scuola?
«Nove anni fa c’erano già trattative per un luogo più adatto a ospitare i ragazzi. Ci dissero: "D’accordo, vi daremo un edificio", e ne proposero uno a 300 milioni di lire di affitto l’anno. Come dire: prendete questa penna, costa 10 mila euro. Quella non era una trattativa reale, ma un rifiuto mascherato. Allora sono io che faccio una domanda».
Prego.
«Perché via Quaranta crea così tanti problemi? Quella scuola realizza un equilibrio, eppure c’è sempre qualcuno che cerca di alzare il livello dello scontro, tenere alta la pressione psicologica. Alcune forze politiche dichiarano guerra alla scuola e chiedono di chiuderla senza conoscere il modello educativo ».
Come può una scuola non riconosciuta dallo Stato realizzare un equilibrio?
«Nessuno sa come funziona: si studia il programma egiziano, continuamente integrato con quello italiano, compresa la lingua, ci sono ore di matematica, geografia, scienze, inglese e francese, accanto ad arabo e religione. Non è una scuola coranica. E chi la definisce tale, non conosce i rudimenti minimi dell’islam ».
Gianni Santucci