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Intercultura
*Mbacke Gadji - Tra passato e presente, tra cultura e umanità. Vite e storie di confine nelle pagine di uno scrittore senegalese. Intervista.

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

Mbacke Gadji

Vite e storie di confine nelle pagine di uno scrittore senegalese. Tra passato e presente, tra cultura e umanità

Mbacke Gadji - 38 anni - ha lasciato il Senegal nel 1986. Ha abitato in Francia, e dal 1994 vive in Italia. Ha collaborato come pubblicista con alcune testate nazionali. Dal '96 al '98 è stato consigliere circoscrizionale della zona 3 a Milano, nelle liste di Rifondazione Comunista.



Ha pubblicato finora tre libri, tutti con le Edizioni dell'Arco:

Numbelan. Il regno degli animali, 1996
Lo spirito delle sabbie gialle, 1999
Pape, Ngagne, Yatt e gli altri, 2000



Il primo è una raccolta di favole, mentre negli altri due la lettura ci conduce in un fitto mondo di personaggi e di vite che si intrecciano, tra speranza e disperazione. I luoghi, che qui si chiamano Nizza, Milano e Adrara San Rocco (un paese del bergamasco), sono quelli in cui immigrati dai tanti volti e dalle tante storie transitano come sospesi in un tempo provvisorio e incerto, alla ricerca appassionata della propria identità. Si incontrano e si raccontano sullo sfondo di città un po' estranee, al fianco di uomini e donne europei che ne condividono l' inquietudine esistenziale.

Martedì 8 ottobre, a Roma - presso la Libreria Odradek (via dei Banchi Vecchi 56), alle ore 18 -nell'ambito dei Martedì dell'Africa, ci soffermeremo a lungo sulla sua esperienza e su quella di chi come lui - esule e figlio lontano - racconta l'Africa dal di fuori.

Intanto abbiamo incontrato Mbacke per sapere qualcosa di più della sua vita di immigrato e di scrittore.

Da quando sei partito dal Senegal la tua storia ha attraversato città ed esperienze diverse. Hai studiato, lavorato con alcune Ong, fatto il giornalista; hai vissuto in Francia e in Italia. Se dovessi riassumere in poche righe la tua esperienza di migrante, come la definiresti?

Sono via dal Senegal da ben 17 anni, un tempo sufficiente per crescere e per correggere la percezione del mondo e della vita. Ho passato anche un lungo periodo a lottare per la sopravvivenza, per realizzare un sogno: ritrovare la mia umanità violata come individuo e come popolo o gruppo.

Quali progetti avevi quando hai lasciato il tuo paese?

Il progetto di ritrovare la mia dimensione umana, di vivere la normalità e di rendermi utile all’umanità.

Quando e perchè hai cominciato a scrivere?

Quando ho iniziato a dubitare di me e della mia esistenza, ho intrapreso a convincermi della valida di ciò che sono. Mi sono detto: non sei uno straniero in questa terra, né un alieno. Scrivere per me è la risposta al bisogno di affermare principi sacrosanti. Negli anni ‘40 e ‘50 i primi intellettuali africani - studenti in terra francese - hanno cominciato a rivendicare e a confermare una cultura: la “Negritude”. Questo è avvenuto più nell’ambito di una loro crisi d’identità che di una dimostrazione e di una capacità di confidenza perfetta con la lingua francese. Non sono certo né Senghor, né Cesaire, né Damas - i padri della negritudine - ma sono nello stesso stato in cui si trovarono loro per sentire la necessità di chiedere la parola.

Nei tuoi libri, soprattutto in “Pap, Ngagne, Yatt e gli altri”, si avverte in un ritmo incalzante delle idee, come se avessi urgenza di raccontare. E’ solo un’impressione?

Necessità di raccontare senza dubbio. L’urgenza è motivata forse da un bisogno di risposte, se non di soluzioni, per le vite avvolte o travolte dal sistema di alcuni ceti della società; un bisogno di giustizia.

Mor, Issa, Ngagne, Yatt…. I tuoi libri pullulano di personaggi, e le storie che racconti, secondo la prassi del romanzo, sono date dall’intersecarsi delle loro vite e dei loro destini. In che misura si fondono nei loro ritratti e nelle loro vicende realtà e fantasia?

Questi personaggi esistono in carne ed ossa, le storie sono più vere che mai: sono vissute. Se sembrano uscite dalla “new age”, è di sicuro la qualità della narrazione che lascia a desiderare. Posso avere una visione strabica della realtà o una memoria corta e/o una mente prigioniera degli schemi che travisano le storie o che le riscrivono, ma per queste persone per fortuna tutto è ancora normale. La percezione invece di un altro mondo parallelo in cui siamo protagonisti e autori di vite è una realtà umana. Che questo mondo si chiami aldilà, paradiso o inferno o quant’altro, non cambia niente nella sostanza, ribadisce solamente il concetto di vita eterna, di un bisogno di eternità del genere umano verso il quale la procreazione e la religione confermano in larga parte l’aspirazione.

In particolare i personaggi europei sembrano essere l’espressione di una fetta di società atipica e anticonformista; è come se l’incontro tra gli immigrati protagonisti delle tue storie e la società di “accoglienza” avvenisse solo attraverso delle persone fuori dai canoni e dagli schemi della vita quotidiana (Daniela e Stefania, Martine). Non c’è incontro, per un immigrato senegalese con il resto della società?

Cosi è stato per i senegalesi di Nizza, ma ritengo di non poter generalizzare. La disponibilità a rapportarsi con gli stranieri in un quadro normale di vita non è accettato da tutta la comunità di accoglienza. Nel benessere la gente aspira all’appiattimento (genere pensiero unico) per comodità, il conformismo è una pigrizia mentale. Per lo straniero che sono devo star lontano dagli schemi di omologazione e quindi collocarmi laddove lo spirito critico permette di vigilare -sulla vita e non - per migliorare. Se tutto questo è destino o errore d’impostazione invece di essere scelta e libero approccio socio-culturale non lo so, allora mi limito a prenderne atto. Il fatto di non disporre di tutti gli strumenti, gli spazi, il tempo e le opportunità per vivere una vita a tutto campo in Europa è per me un fatto oggettivo.

Una certa fede animista sembra contrassegnare la tua interpretazione della vita, tanto che “Lo spirito delle sabbie gialle” è costruito proprio sull’esperienza di chi – attraverso il susseguirsi di fatti apparentemente inesplicabili – trova il senso della propria esistenza e del legame con le proprie radici. Quale valore dai a ciò che - spesso semplificando – chiamiamo “magia”?

La fede animista è la cosa che mi avvicina di più a tutto ciò che esiste. L’armonia tra me e gli altri componenti di questo universo passa per la fede animista, in quanto mette tutti e tutto al centro. L’uomo al centro con diritto di vita e di morte su tutto e tutti è a capo di tutti problemi del mondo e dell’umanità.

Il tuo primo libro - “Numbelan” – è una raccolta di favole africane. Scriverlo è stato per te un modo per metterti alla prova, oppure attraverso le favole hai scelto il modo per attingere alle radici più profonde della tua cultura?

Se per prova intendiamo un test per auto-valutarmi come scrittore o narratore non ci siamo. Le favole rivestono un doppio senso per me.
Con questa forma letteraria si attinge veramente nel profondo della cultura africana. Nella cultura orale il racconto assume il modello d’istruzione per i più piccoli, attraverso il quale viene trasmesso il comportamento da tenere all’interno della comunità, il ruolo da scegliere nella stessa, ma anche il posto che occupano gli altri esseri nella sua vita, e tutto secondo i canoni della comunità.
In questo ritorno alla mia infanzia c’è un persona da ricordare: mia nonna materna che mi raccontava le storie.

I suoi libri possono essere richiesti a:
Edizioni dell'Arco - Gruppo Solidarietà Come
via Tortona 18 - 24144 Milano

http://www.cipsi.it/africa/dettagli.asp?ID=324&tipo=3



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